Brescia, piazza della Loggia: fu strage politica

La Cassazione conferma in via definitiva le condanne all’ergastolo di Maggi e Tramonte e ammette che pezzi dello Stato hanno tramato contro la democrazia. Ci sono voluti 43 anni per arrivare alla prima condanna per una strage terroristica di matrice politica. Intanto, Maggi è un uomo anziano e malato e chiederà di non eseguire la sentenza e Tramonte si è dato alla fuga, ma è già stato arrestato dai carabinieri del Ros a Fatima, in Portogallo.

«Adesso ci sentiamo cittadini fino in fondo di questo Stato». Manlio Milani commenta così la sentenza che definisce «strage politica» l’attentato di piazza Loggia e Brescia e condanna definitivamente all’ergastolo Carlo Maria Maggi, il neofascista capo di Ordine nuovo in Veneto, e l’ex camerata Maurizio Tramonte, la cosiddetta fonte “Tritone” dei servizi segreti. Colpevoli per la strage dove persero la vita otto persone e ne furono ferite 102. Quel giorno, il 28 maggio 1974, in piazza a manifestare con i sindacati contro la violenza fascista c’era anche Milani, sopravvissuto alla strage in cui perse la moglie.

Ci sono voluti 43 anni e la testardaggine degli avvocati per arrivare alla prima condanna per una strage politica. Insieme, a tarda notte, davanti al “palazzaccio”, a Roma, dove ha sede la corte di Cassazione, postano la loro foto. Alcuni di loro non erano neppure nati ai tempi della strage. Ma oggi possono scrivere: «Eccoci. Abbiamo mantenuto la promessa di non arrenderci mai e lo abbiamo fatto per loro e per la verità. È finita. Dopo 43 anni. Giulietta Banzi Bazoli, 34 anni, insegnante di francese. Livia Bottardi in MIlani, 32 anni, insegnante di lettere alle medie. Alberto Trebeschi, 37 anni, insegnante di fisica. Clementina Calzari Trebeschi, 31 anni, insegnante. Euplo Natali, 69 anni, pensionato, ex partigiano. Luigi Pinto, 25 anni, insegnante. Bartolomeo Talenti, 56 anni, operaio. Vittorio Zambarda, 60 anni, operaio».

Una sentenza storica che conferma quella emessa a Milano nel 2015, in cui si diceva chiarmante che la strage «era riconducibile alla destra eversiva». Il verdetto arriva alle 23.20, dopo cinque ore di camera di consiglio «Dentro quest’aula fredda, austera», commenta Alfredo Bazoli, avvocato e deputato, «sento pronunciare le parole “la corte rigetta i ricorsi”… E il tempo improvvisamente si ferma, si accartoccia, si comprime. Penso a mia mamma, a me bambino. Dopo 43 anni la giustizia è arrivata. La strage di piazza della Loggia ha dei responsabili, nomi e cognomi, la verità giudiziaria è allineata alla verità storica. È un giorno bello per la democrazia italiana, è un giorno di riscatto per le nostre istituzioni. Mi allontano dal palazzo, cammino lentamente nella notte fresca di Roma, in questo tempo sospeso, pensando a mia mamma, a mio papà, ai miei fratelli, alla nostra famiglia».

«Siamo rimasti nel processo, e nel processo abbiamo portato avanti i valori della legalità assieme agli avvocati, ai magistrati, agli investigatori, a pezzi dello Stato che hanno cercato la verità anche nello Stato stesso», aggiunge ancora Manlio Milani, presidente della Casa memoria, l’associazione che, dal cuore di Brescia, ha continuato a spargere in tutta Italia semi di giustizia, legalità, nonviolenza, democrazia, memoria. Oggi la sentenza della Cassazione dà ristoro alla fatica e alle lacrime di questi anni. Accerta non solo le responsabilità di Maggi che ha svolto «funzioni organizzative e di direzione» e di Tramonte che ha partecipato «alle riunioni in cui l’attentato veniva organizzato, offrendo la sua disponibilità a collocare l’ordigno» ma, per la prima volta, qualifica l’attentato come «strage politica».

E spiega, si legge nella sentenza, che è «maturato nell’identico ambiente incubatorio delle altri stragi che hanno caratterizzato la stagione delle bombe tra il 1969 e il 1980» (Piazza Fontana e strage di Bologna) e nelle quali hanno svolto ruoli da protagonisti «strutture dello Stato che, attraverso gli apparati di sicurezza, hanno gestito gruppi e strumentalizzato ambienti politici di destra e di sinistra al fine di destabilizzare l’ordine pubblico per stabilizzare il potere politico». Soltanto due colpevoli condannati. Uno, Maggi, che aveva 40 anni all’epoca della strage e oggi è un vecchietto malato che chiederà la non esecuzione della sentenza perché le sue condizioni di salute sarebbero incompatibili con il carcere. E l’altro, Tramonte, 22 anni all’epoca della strage, che si è dato alla fuga, ma sarebbe stato subito arrestato all’estero dai carabinieri del Ros.

Ma, l’importante, trapela anche dai familiari, non è l’esecuzione di una sentenza a distanza di oltre 40 anni, ma il fatto che, dopo 5 istruttorie e 13 dibattimenti lo Stato è riuscito a fare i conti con se stesso ammettendo, in via definitiva che «questo processo è emblematico dell’opera sotterranea portata avanti con pervicacia da un coacervo non irrilevante degli apparati di sicurezza dello Stato, nelle centrali occulte di potere, dai Servizi americani alla P2, che hanno prima incoraggiato e supportato lo sviluppo dei progetti eversivi della destra estrema e poi hanno sviato l’intervento della magistratura rendendo di fatto impossibile la ricostruzione dell’intera rete di responsabilità». Una ammissione amara e vera. Che però ci restituisce alla democrazia, fa tornare tutti, non solo le persone coinvolte direttamente nella strage,  a «essere pienamente cittadini di questo Stato».

Fonte Famiglia Cristiana

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