Lettera per amici e benefattori

Cari Amici e Benefattori,
E’ da tanto che non mi faccio vivo con voi per ringraziarvi della vostra partecipazione alla mia missione tra i fuoricasta. Nello scorso mese di agosto, nella notte tra i 5 ed il 6, ebbi un attacco cardiaco, di cui sul momento non mi resi conto. Ero solo alla missione così come lo sono attualmente. Il mattino del giorno 6 telefonai al mio superiore per metterlo al corrente di quello che mi era successo. Mi vennero a prendere in macchina e fui ricoverato d’urgenza in una clinica della città di Khulna, dove mi diagnosticarono l’infarto e mi dissero che dovevo essere operato. Io volevo essere operato qui in Bangladesh, ma il superiore e i nostri due medici saveriani fecero pressione perché andassi in Italia per motivi di sicurezza.

Mi convinsi a partire quando seppi che l’intervento qui sarebbe costato intorno ai 7 mila euro. Così il 2 settembre in compagnia del mio vescovo Romen Boiragi, che andava a Roma quale invitato speciale alla cerimonia della canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta, andai in Italia per essere operato. Il cinque entrai in ospedale a Parma ed il giorno sei fui operato: due stent sulle coronarie. Appena ristabilito, volevo rientrare, ma la cardiologa, che mi teneva sotto controllo, era inflessibile.

Passati 5 lunghi mesi, finalmente ai primi di febbraio potei riprendere il volo e tornare a casa mia, fra la mia gente. Cari amici, scusatemi se mi sono permesso di trasmettervi la cronistoria di questo mio ultimo incidente di percorso. L’ho fatto perché vi ritengo partecipi con me della medesima azione missionaria. Durante la mia lunga assenza, il catechista Martin Das ha portato avanti senza difficoltà tutte le attività della missione. La domenica un padre dalla missione più vicina veniva a celebrare l’Eucarestia. Lo scorso 25 aprile ho celebrato i miei 40 anni di missione in Bangladesh: 25 aprile 1977-25 aprile 2017.

Ho reso grazie al Signore per tutto quello che, grazie all’aiuto di amici e benefattori, ha voluto operare attraverso di me. 40 anni sono una lunga storia, che corre quasi parallela a quella del Bangladesh, nato come nazione indipendente nel 1971. Quando arrivai, la popolazione era di 70 milioni; oggi sono 160 milioni su un territorio che è meno della metà di quello dell’Italia. Ho visto capitolare l’uno dopo l’altro governi dittatoriali con successivi colpi di stato, ma ho anche visto il ristabilirsi del governo democratico, quale è quello attuale.

Non conto cicloni e alluvioni che hanno colpito questo paese e nei quali, più di una volta, anch’io mi son trovato coinvolto. Ho vissuto i miei primi 12 anni della mia missione a Borodol senza corrente elettrica, al lume della lampada a petrolio. Adesso la luce elettrica ha raggiunto quasi tutti i villaggi, resi oggi accessibili dalla rete stradale. Benessere e miseria corrono di pari passo, ma più aumenta l’uno, più si allarga e diventa incontenibile l’altra. Ringrazio il Signore per la missione che mi ha affidato durante tutti questi anni tra gli ultimi, gli esclusi, i fuori casta, i Das, di cui ho assunto anch’io il nome e tra i quali mi trovo e spero di concludere la mia vicenda umana. Anche se i medici me lo hanno vietato, il mio mezzo di trasporto è sempre la vecchia moto e spesso, durante questa stagione delle piogge, tutti e due rimaniamo bagnati.

E mi vengono in mente, senza ovviamente gloriarmene, le opere realizzate durante tutti questi anni sempre con l’aiuto di coloro che da lontano hanno condiviso la mia missione: la terra data ai senza terra, dove essi hanno potuto costruirvi la loro casetta; i tanti tentativi di riabilitazione e promozione umana; scuole e chiese costruite nei villaggi; il convento a Borodol per le suore di Madre Teresa e, per terminare, le opere realizzate nella missione di Chuknagar, in cui vivo ed opero ormai da più di 16 e in cui il Signore mi ha dato la grazia di dar vita dal nulla ad una piccola comunità cristiana. Sto cercando e qualcuno mi sta già aiutando, di comprare un pezzo di terreno per una comunità di suore, che renderebbe più completo il lavoro della missione. Così con voi “Voglio cantare al Signore finché ho vita, cantare al mio Dio finché esisto. A lui sia gradito il mio canto; la mia gioia è nel Signore” (Sl. 103).

A conclusione di questo inno di lode e di ringraziamento al Signore e a voi cari amici e benefattori, voglio anche trasmettervi una nota che amareggia un po’ il mio cuore. Sì, è un po’ amaro constatare che la missione sta diventando sempre più una cenerentola negli interessi dei cristiani del vecchio continente e questo disinteresse si ripercuote ovviamente sull’azione missionaria. Soprattutto le iniziative di riabilitazione e di promozione umana ne hanno ricevuto un grosso contraccolpo. E piange il cuore dover dire tanti no a gente che viene ad implorare aiuto per la casa, per il pezzo di terra, per il lavoro, per le medicine.

Sì, il caso più pietoso è proprio quello degli ammalati. Qui, in Bangladesh, l’assistenza sanitaria è a pagamento: può curarsi soltanto chi ha i soldi. Tanto per fare un esempio, un parto cesareo viene a costare 10 mila take, equivalenti a 100 euro, che è il doppio della paga che un operaio prende in un mese. E potrei continuare all’infinito, ma non voglio annoiarvi e soprattutto non vorrei lasciarvi con questa nota negativa, bensì con l’invito a ringraziare con me il Signore per quello che si è degnato di operare con me, indegno suo servo.

Fonte p. Antonio Germano Das, sx.

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