Migranti e religioni, addio ai pregiudizi con la filosofia

Intervista a Eugenio Echeverría, uno dei massimi esperti mondiali di Philosophy for Children. Ha utilizzato il modello pedagogico inventato da Matthew Lipman per favorire l’integrazione nei contesti di esclusione e il dialogo fra le fedi.

Di fronte alle complesse sfide del mondo contemporaneo, sono sempre di più le scuole e le istituzioni che hanno trovato nella filosofia per i bambini un valido strumento per educare i figli di oggi e i cittadini di domani al pensiero critico e al dialogo costruttivo. Se in Italia la Philosophy for Children (d’ora in poi, P4C) viene praticata in oltre 300 scuole, oltre che in molte aziende e associazioni, nel mondo l’intuizione pedagogica di Matthew Lipman continua a diffondersi e radicarsi, portando buoni frutti.

Alla Scuola estiva di Pratica filosofica di Comunità di Acuto, fondata da Antonio Cosentino sul modello della scuola di Mendham dello stesso Lipman e gestita dal Centro di ricerca sull’indagine filosofica (Crif), abbiamo incontrato uno dei massimi esperti mondiali di P4C, il messicano Eugenio Echeverría. Allievo e poi formatore per conto del fondatore della Philosohy for Children, Echeverria vanta una vastissima esperienza nell’applicazione di questo modello pedagogico nei diversi Echeverría socio-culturali e ha collaborato con il Governo inglese in un progetto sul dialogo interreligioso.

Echeverría, qual è la specificità della P4C, rispetto ad altri progetti pedagogici?

La P4C non è semplicemente un programma per sviluppare le abilità di pensiero, ma una proposta pedagogica strutturata, perché si basa su un’idea del tipo di persona e del tipo di mondo che vogliamo costruire. I bambini – ma anche i giovani e gli adulti – che la praticano vengono aiutati e elaborare un progetto personale e al tempo stesso un progetto sociale: che persona voglio essere? quale mondo voglio contribuire a creare? Gli obiettivi specifici della P4C sono lo sviluppo della capacità di pensare, la definizione, il chiarimento e la costruzione di concetti, l’esplorazione di idee e valori. E’ uno strumento che consente ai bambini di migliorare la loro capacità di esprimere giudizi e di compiere scelte motivate, di ipotizzare alternative, di calcolare le conseguenze delle proprie azioni e di essere critici nei confronti della società: così “allenati” sono in grado di decodificare il bombardamento di messaggi dei mezzi di comunicazione che li spingono costantemente al consumo. In sintesi, la P4C insegna a essere critici verso se stessi e il mondo.

Da quanti anni si occupa di P4C?

La conobbi nel 1979 in Messico grazie a una lezione che tenne all’università un allievo di Lipman. Da allora mi ci sono dedicato anima e corpo e non l’ho più lasciata.

Lei ha avuto il privilegio di conoscere Matthew Lipman di persona: ce lo descrive come uomo, prima ancora che come intellettuale?

Era una persona semplice, accogliente, accessibile. Ricordo i corsi di formazione che teneva a Mendham, dove accorrevano persone da ogni parte del mondo. Lipman accettava qualsiasi domanda gli venisse posta, era sempre a disposizione di tutti, partecipava personalmente alla preparazione del setting delle sessioni… La sua porta era sempre aperta e, soprattutto, viveva ciò che predicava: era l’incarnazione dei valori che voleva insegnare.

La diffusione della philosopy for children nel mondo e i suoi effetti

Lipman immaginava che il il suo progetto avrebbe avuto tanto successo nel mondo?

Non credo. Si verificarono degli eventi che segnarono una svolta nella diffusione della P4C nel mondo. In primo luogo l’intervista che concesse al programma televisivo Good Morning America, molto popolare, grazie al quale la P4C si fece conoscere in tutto il Paese. Un altro momento decisivo fu quando, nel 1975, la BBC se ne occupò nel programma dedicato alle persone e ai progetti che trasformano il mondo. Le telecamere entrarono nelle aule dove si praticava la P4C e filmarono diverse sessioni. Tornarono dopo sei mesi e filmarono di nuovo, registrando progressi, evoluzioni, cambiamenti. Il programma venne poi tradotto e trasmesso in molti Paesi del mondo, avvicinando tantissime persone ai corsi di Mendham, che si tenevano 3-4 volte all’anno per 3-4 settimane. In questo modo si formarono molti teacher di P4C, i quali, una volta tornati nei loro Paesi d’origine, traducevano i materiali e  applicavano il metodo; insomma gettavano i semi della Philosophy for Children.

In che modo la P4C influisce sulla crescita dei bambini?

Da tempo vengono effettuate ricerche sui partecipanti, dai 4 ai 16 anni, e, benché non si debba pensare alla P4C come a una panacea miracolosa, è stato riscontrato che migliora l’ascolto, aumenta il rispetto dei punti di vista degli altri, fa crescere la capacità di argomentare la propria visione e di elaborare idee, rafforza l’apertura mentale, predispone a quell’umiltà epistemica grazie alla quale, nel corso del dialogo, quando si ricevono dagli altri argomentazioni convincenti, si è in grado di trasformare le proprie idee senza sentirsi per questo in una condizione di debolezza o costretti a difendere la propria posizione a ogni costo. Inoltre, è stato dimostrato che la P4C incentiva una forte sensibilità verso le questioni ecologiche, il consumo responsabile e la giustizia.

Come cambia la P4C a seconda dei diversi contesti socio-culturali in cui si pratica?

Molte scuole sia pubbliche che private continuano a utilizzare i materiali proposti dal curricolo di Lipman. Dopodiché esistono molte esperienze che, ispirandosi ad esso, l’hanno calato in realtà particolari. Conosco bene il caso delle popolazioni indigene del Messico, per le quali sono stati creati materiali ad hoc, scritti nei loro idiomi e adatti alla loro cultura e alle loro dinamiche sociali. Lo stesso vale in quei contesti caratterizzati da una forte presenza di migranti, come negli Stati Uniti. In questo caso praticare la P4C significa lavorare sul tema dell’inclusione e dell’integrazione sociale, contro l’esclusione, affinché gli scolari non vengano discriminati per come si vestono o parlano o per la religione in cui credono, ma vengano accolti e riconosciuti nelle loro differenze.

La P4C e il dialogo fra le religioni

La P4C è stata impiegata anche per il dialogo fra le religioni: ci può illustrare il progetto?

Nel mio Paese, il Messico, dove la maggior pate della popolazione e delle scuole sono cattoliche, la P4C viene richiesta per dotare gli allievi di spirito critico, per educare alla tolleranza, alla comprensione dell’altro come diverso ma non per questo come nemico da combattere e da escludere. Molto interessante è l’esperienza inglese, Paese nel quale convivono fedi diverse. Qui è stato elaborato un curricolo che si chiama Living Difference, praticato con ottimi risultati da 7 anni.

Che tipo di percorso propone?

Per prima cosa i ragazzi vengono invitati ad analizzare filosoficamente i concetti chiave di ogni confessione, mettendo in luce sia i punti di contatto sia le differenti visioni. Scoprono così che ogni religione ha un’idea sull’origine del mondo, sul bene e sul male, sulla morte. Apprendono che ogni fede ha i suoi simboli, i suoi riti, le sue date “sacre”, la sua feste. Si avvicinano in modo razionale e pacifico alle differenze specifiche, imparando a conoscerle e a comprenderne il significato. Vengono messe in evidenza le convergenze e i valori condivisi, in particolare la comune aspirazione alla pace e a una vita armoniosa. Per questa via i bambini allargano i propri orizzonti, confrontano in modo razionale e dialogico la propria visione con quella degli altri, discutono con chi è diverso senza aggressività. Il risultato più rilevante è il superamento dei pregiudizi: nella società inglese, ad esempio, è facile cadere nella tentazione di identificare il musulmano con il nemico, il terrorista e il cattivo tout court. Grazie alla P4C, non solo questo non accade, ma vengono create le premesse per una convivenza serena, fondata sulla conoscenza e l’accettazione reciproche.

Fonte Famiglia Cristiana

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