Il mare non bagna l’Italia

Il mediterraneo misura ciò che l’italia potrebbe essere, fu, ma non è

La geografia fisica parla al condizionale. Disegna la centralità della Penisola nella fenditura acquatica che separa Eurasia e Africa, quel fuso stretto fra Gibilterra, Dardanelli e Suez che connette l’Oceano Atlantico all’Indiano. Mare nostrum secondo i romani, Mar Bianco (Akdeniz) per i turchi, Mar Grande (Yam Gadol) per gli ebrei, Mare Romano (al-Baḥr al-Rūmī) per gli arabi: frammenti di un’onomastica che muta senso allo spazio a seconda dello sguardo che lo battezza. Tanto da svelare il Mediterraneo come somma di mari, denominati e per secoli dominati dalle terre che vi si affacciano.

A marcare un variabile insieme benedetto dalla natura ma sempre rimodellato dall’uomo, incastonato tra le frastagliate, spesso montagnose coste europee e le piatte sponde africane, a ridosso del deserto. Magnete per quei popoli migranti dal fondo dei continenti che per millenni, insediandovisi, ne avevano animato la conflittuale storia comune. Di questo bacino lo Stivale è per natura perno geografico. Potremmo leggere la storia d’Italia come svolgersi dei tentativi o delle rinunce, dei successi o dei fallimenti di elevare a geopolitica tale rendita geografica.

Rovesciando la percezione corrente, per cui siamo periferia d’Europa, l’accento sulla nostra collocazione nel cuore del Mediterraneo evoca un vantaggio comparativo che attende una strategia per essere sfruttato. O per evitare che si volga in nemesi: la storia punisce chi non usa la sua geografia, perché finisce per esserne consumato. Nel clima presente, che sfigura il nostro mare, ridotto a veicolo di minacce e scenario di orrori incombenti, l’oblio del privilegio geografico rischia di produrre danni irreversibili. La storia si esprime al passato remoto. Risveglia la memoria dei secoli in cui l’italica mediterraneità fu leva geopolitica.

Qui fiorì l’unico impero circummediterraneo, quello di Roma, che nella nostalgica iperbole di Rutilio Namaziano «di tutto il mondo fece una città» Il Mare nostrum, bene comune protetto dalla flotta dell’Urbe, a tutela dei commerci imperniati sulla capitale, avendo liquidato le rivali potenze marittime e represso i pirati che ne infestavano le acque. Mediterraneo come tavola pitagorica di una civiltà, la Romania, che vi scavò un fascio di rotte marittime annesse alle vie di terra e tracciò la mappa di un mondo in sé conchiuso, dalla Renania ai margini del Sahara, dall’Iberia al Levante.

Fonte: Limes

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