Più corsie (ospedaliere), ma un solo accesso
di Francesco Manfredi-Selvaggi
L’ingresso all’ospedale è unico per ragioni di sorveglianza, mentre i percorsi che si diramano da esso per raggiungere i vari comparti dei quali si compone sono molteplici
Si conviene che occorra un unico ingresso all’ospedale per esigenze di controllo al fine di bloccare malviventi o persone con atteggiamento minaccioso che intendano introdurvisi dentro, magari per fare un furto in corsia. In genere la vigilanza è collocata in un’apposita postazione (dotata di telecamere) all’esterno nel vano di accesso della recinzione che delimita l’area ospedaliera. Se ciò è utile è opportuno pure diversificare subito le percorrenze dentro il nosocomio differenziando i flussi degli utenti diretti chi verso i reparti di degenza chi verso le attività ambulatoriali chi verso i laboratori dedicati agli esami diagnostici.
È quasi superfluo precisare che i locali di servizio, prendi i depositi, la lavanderia, la cucina hanno autonome porte, così come la camera mortuaria tutte collocate nel livello più basso dell’edificio; una propria apertura la ha pure il locale ristorazione in qualche caso. C’è una particolare unità di cura che richiede di avere percorsi separati ed è quella dedicata alle malattie infettive. L’infettivologia si occupa dell’Hiv, della tubercolosi, delle meningiti, delle epatiti virali che sono trasmissibili per cui occorre evitare contatti.
Un rapporto diretto con la viabilità automobilistica è obbligatoria per il Pronto Soccorso il quale ha una corsia preferenziale per consentire l’arrivo immediato delle ambulanze. È necessario, inoltre, al fine di razionalizzare gli spostamenti nella struttura ospedaliera appena varcata la soglia della stessa disegnare un “itinerario” specifico che conduca agli ambulatori. La domanda di esami clinici e di indagini strumentali è assai cresciuta e, quindi, le dimensioni della zona delle visite ambulatoriali si è ormai molto estesa tanto da conferire a tale insieme il valore di un settore assistenziale a sé stante; si devono aggiungere, poi, i locali per i day hospital e i day surgery che hanno anch’essi un’autonoma rilevanza che giustifica la segnalazione di appositi camminamenti in seno all’organismo ospedaliero.
La vicinanza all’uscita la deve avere pure il centro dialisi che ha una frequentazione giornaliera e nel quale i posti letto sono solo di supporto, non essendo previsto, di regola, il pernottamento. Si va all’ospedale, infine, per usufruire delle prestazioni intra-moenia, che sono a pagamento, trattamento differenziato alla quale una quota di cittadini non vuole rinunciare; esse si svolgono in studi medici che per quanto possibile devono avere un’accessibilità che non interagisce con il resto dei movimenti che avvengono nell’ospedale. Distinzione, va precisato, non va confuso con frammentazione degli spazi ospedalieri; un nosocomio ha la peculiarità di essere sempre un volume compatto.
A livello distributivo bisogna tendere verso soluzioni nelle quali le funzioni ospedaliere siano ravvicinate per ridurre le spese di riscaldamento, di illuminazione e di pulizia dei corridoi e per una migliore utilizzazione del personale. In effetti, lo sforzo della densificazione delle attività cozza un po’ con il sovradimensionamento di alcuni nostri ospedali, si pensi a quello di Larino in cui si hanno consistenti superfici inutilizzate. Al Cardarelli si riuscì a recuperare spazi fino ad allora non occupati per lo svolgimento dei corsi della scuola infermieri.
Qui una migliore distribuzione interna da attuarsi in sede di futura, eventuale, auspicabile ristrutturazione dell’immobile, consentirebbe, mantenendo gli attuali posti letto, di trasformare le camere di degenza che oggi sono in prevalenza da 5 o da 6 letti in stanzette da 1 o al massimo 2 letti e ciò per garantire al paziente la privacy che se in ogni settore della società contemporanea è diventata un’esigenza fondamentale lo è ancora di più negli istituti di cura dove si è in una condizione di sofferenza. Inoltre, ognuna di queste stanze, per assicurare il confort del degente, dovrebbe essere dotata del servizio igienico, del telefono e del televisore.
Alla Cattolica, quindi sempre nel capoluogo regionale, già è così. Per quanto riguarda la riservatezza vale la pena far rilevare quanta differenza c’è tra il modo di vedere attuale e l’atteggiamento che si aveva in passato e ad avvalorare ciò ci sono delle proposte di suddivisioni degli ambienti tese non a conferire intimità alle camere di degenza, bensì, all’opposto, a renderle “trasparenti” trasformando la parete che divide il corridoio in una vetrata; l’obiettivo era duplice, da un lato, quello di permettere al ricoverato di partecipare visivamente alla vita dell’ospedale e, dall’altro lato, di consentire agli infermieri una osservazione continua al fine di poter prestare una pronta assistenza.
Le stanze di degenza stanno costantemente ai piani superiori mentre al livello terraneo sono posizionate le funzioni comuni; vi sono, infatti, i servizi generali e, quindi, l’atrio, lo sportello informativo, la cappella, la sala conferenze (nel Cardarelli c’è quella larga rampa coperta in cui si svolgono le manifestazioni) e il Centro Unico di Prenotazione, il CUP, il quale gestisce gli appuntamenti medici. Nella medesima fascia basamentale la quale include i primi due piani e che in gergo architettonico è denominata piastra vi sono i laboratori di analisi centralizzati a supporto dell’insieme del complesso ospedaliero ed essi sono diventati molto numerosi per il moltiplicarsi delle specialità diagnostiche.
Trovano posto qui, inoltre, un fondamentale comparto che è quello dell’emergenza con il Pronto Soccorso la Rianimazione. Ancora, a piano terra c’è la mensa, mentre le cucine stanno a quello seminterrato; questo della ristorazione (per gli assistiti, gli operatori, i visitatori) è un comparto non da poco dovendo occuparsi della preparazione dei pasti per oltre mille persone al giorno (al Cardarelli). Il cibo che si cucina non è identico per tutti i consumatori e in particolare per gli ammalati ognuno dei quali ha una scheda dietetica individuale.
Il mangiar bene è, per i riflessi che ha, sia di tipo sanitario sia di tipo psicologico, fondamentale per il benessere e perciò l’impegno che bisogna profondere in tale campo è notevole. Data la mole dei pranzi da servire non c’è niente di artigianale nel cucinare gli alimenti ed anche le apparecchiature utilizzate sono tecnologicamente avanzate. L’acquisto e conseguentemente il rinnovo del macchinario è costoso. In definitiva anche ciò che è secondario in sanità è complesso.
Francesco Manfredi Selvaggi625 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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