L’anno che viene

È certamente antipatico dire “io l’avevo detto”, e infatti, conoscendo Rossano Turzo, alias Giovanni Petta (o viceversa), sappiamo che non lo farebbe mai.
Di sicuro, però, non può impedire a noi di cogliere certe inquietanti corrispondenze tra il contenuto fantasioso e visionario della sua rubrica pubblicata sul numero di gennaio de Il Bene Comune, intitolata impeccabilmente “L’anno che viene”, e ciò che realmente sta avvenendo. Lasciamo ai nostri lettori digitali cogliere, nel testo che segue, le analogie con quello che stiamo vivendo

L’anno che è appena menuto è l’anno dell’apocalisse. Tutto ciò che gli emigranti hanno costruito e tutti i barracconi fatti con la Regione e con la Provincia di Isernia saranno distrutti dalle cavallette. Tutti i postarielli delle Poste, dello spedale, dell’Ananas e via cantando finiranno dentro al fuoco eterno. Creperanno anche molti pensionati, come a me, e i nipoti che mo si vanno a pigliare lo sprizzo con i venti euro dei nonni s’attaccheranno al tram.

Già molti anni fa, Peppino il fattucchiaro aveva menato la sua astema: «Se dài diecimila euro al mese a venti persone che non ti servono a niente, arriverà un mese che non solo ti mancheranno i soldi da dare a quelli che glieli davi ma non ti potrai manco accattare il coltello per addacciare il porco. E se qualcuno ti presta il coltello ti accorgerai che la stalla è vacante e il presutto è solo un ricordo di gioventù!»

Questo vaticinio, che Peppino menò come a un oracolo di Ripalimosani, fu inciso sotto al pilastro del viadotto di Guardialfiera e mo, siccome il cemento si è sgronzato, si possono ancora leggere le parole «porco» e «presutto» così che tra qualche secolo su quelle parole ci potranno fare la preistoria.

Noi anziani un poco siamo preoccupati e un poco ci scappa la risa. Le strade sono una schifezza. Le littorine sono peggio di quelle che collegavano Agnone a Pescolanciano, perché almeno quelle erano elettriche. Se ti rompi un femore, allo spedale ti tengono cinque giorni al pronto soccorso e ti appendono le bottiglie di acqua alla cossa per fare la trazione. Se vuoi vedere una luminaria, senza vergognarti per quelle che fanno alla Puglia o all’Abruzzo, devi dire a qualcuno di pagarla lui come hanno fatto a Larino.

Alla Cantina Iammacone, a fine anno facciamo le discussioni per quello che è stato e per quello che ci aspetta. Ieri sera aspettavamo Toma che doveva farci una relazione dal titolo «Tutti dobbiamo morire» ma poi non è venuto perché doveva parlare di trasporti con la Calenda. Allora Ruzzone lo ha sostituito con un intervento dal titolo «Anziani, quale futuro? La morte».

Ruzzone ha spiegato che l’unica soluzione per la Sanità è quella di vendere tutti gli ospedali e l’università a Patriciello in modo da fare una gioinvenciur di salute pubblica, la «Unineuromol», che possa impiegare i nostri guagliuni, un poco come pazienti e un poco come medici e infermieri. Solo così ci possiamo salvare.

Gli ospedali di Campobasso, Isernia, Larino, Termoli, Agnone e Venafro sarebbero tutti rimodernati e pieni di giovani con il camice bianco e vecchi col catetere, che finalmente vedi un po’ di gente. Quelli che non trovano posto come malati o come infermieri potrebbero tornare a zappare la terra nella piana di Venafro per fornire i prodotti biologici, già con la diossina incorporata, per le mense ospedaliere. Quelli più intraprendenti potrebbero coltivare la barbabietola radioattiva a Castelmauro per curare i casi più rari direttamente con una tazza di caffè. In questo modo si potrebbe riattivare anche lo Zuccherificio di Termoli.

I camici di medici e infermieri, le traverse e le lenzuola degli ospedali darebbero lavoro alla zona di Isernia perché li potremmo confezionare a Pettoranello facendo un’azienda nuova, la «Iett’n’terra» che sarebbe un vero Perno dell’economia regionale.

Per i trasporti, basterebbe una sola strada, che parte da Pozzili e arriva a Pozzili. Un anello circolare a senso unico, con la corsia per i trerruote e quella più veloce per le ambulanze. Altri tipi di veicoli non servirebbero.

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