Il cemento a supporto della modernizzazione
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Senza il conglomerato cementizio, comparso agli inizi del XIX secolo, non vi sarebbe stato lo sviluppo della regione perché la tecnica muraria né quella in ferro che la precedono sarebbe stata in grado in termini di strade, acquedotti, case, aziende produttive, scuole e così via di fare altrettanto. Essendo stato il materiale predominante nelle costruzioni ad esso si attribuisce la colpa delle trasformazioni del paesaggio molisano.
Le grandi trasformazioni del nostro territorio avvenute negli ultimi 50 anni, così come la crescita intensa dei principali comuni molisani, in particolare Campobasso, Isernia e Termoli, sono state consentite dalla diffusione dell’impiego del cemento armato nelle costruzioni. Per quanto riguarda il paesaggio è negli ultimi decenni del XX secolo che si sono avute le maggiori alterazioni, addirittura più consistenti di quelle prodotte agli inizi del nuovo millennio dagli impianti eolici; ci si sta riferendo specialmente alle grandi arterie che hanno occupato le fondovalli con i lunghi viadotti in conglomerato cementizio (le travature in ferro compaiono in seguito), nel rinnovato tracciato della strada che congiunge il capoluogo regionale con Casacalenda.
L’impatto percettivo fu notevole anche perché subitaneo mentre si era abituati in precedenza ad evoluzioni lente dell’assetto territoriale. Quasi di colpo con queste opere fummo ricacciati dal medioevo alla contemporaneità, almeno in riguardo all’aspetto paesaggistico; luoghi che erano rimasti come immagine fermi per centinaia e centinaia di anni cambiano improvvisamente la fisionomia consolidata. Tutto ciò per merito o per colpa del cemento armato.
Non solo del calcestruzzo armato, in verità, perché ad incidere su alcuni angoli della regione è pure un’altra categoria di opere, le dighe le quali sono state realizzate qui da noi in terra in quanto in tal modo capaci di resistere alle sollecitazioni sismiche che possono essere estremamente violente in una regione appenninica, il cui loro crollo provocherebbe l’inondazione della intera fascia costiera e non solo delle aree immediatamente sottostanti agli sbarramenti di Chiauci, Occhito e del Liscione.
Si è detto degli ambiti rurali e ora guardiamo il peso che ha avuto il cemento armato nello sviluppo degli insediamenti abitativi. Senza l’adozione del metodo costruttivo in c.a. non si sarebbero potuto avere le cosiddette palazzine, gli edifici pluriplano che costituiscono il modulo-base dei quartieri residenziali sorti al contorno dei nuclei storici e delle appendici ottocentesche dei due capoluoghi di provincia e nella periferia termolese.
Nella versione aggiornata delle “palazzine”, le prime delle quali sono cominciate ad apparire già alla fine dell’ultimo conflitto mondiale, compare l’ascensore che adesso viene considerato una dotazione indispensabile dei fabbricati alti; in altri termini tale tipologia edilizia così pervasivamente presente negli agglomerati urbani anche di taglia ridotta lega la sua fortuna nel presente al conglomerato cementizio da un lato, e cioè per metà, e dall’altro, quindi per la restante metà, ai mezzi meccanici d’elevazione.
Hanno a che fare con il cemento i pannelli prefabbricati con i quali sono stati realizzati i capannoni destinati ad attività produttive, agricole e per il commercio dispersi nell’agro o concentrati negli agglomerati industriali. La prefabbricazione ben si addice a manufatti che, seguendo le tendenze di un’economia, quella odierna, caratterizzata da continui cambiamenti, possono variare di dimensioni nel tempo in quanto, scomponibili oppure possono mutare destinazione.
Per quanto riguarda quest’ultimo punto è da evidenziare che il vocabolo capannone che li identifica è sinonimo, in qualche modo, della parola contenitore, impiegata nel gergo architettonico per indicare volumi edilizi capaci di accogliere funzioni differenti in quanto spazi non calibrati esattamente su uno specifico uso. Pure questi sono un segno della modernità che ha inciso a volte molto su gran parte dei comprensori rurali e periurbani regionali. Il cemento armato in questo sistema costruttivo realizzato “fuori opera”, ovvero in stabilimento è indispensabile così come lo è per quelle componenti delle strutture che vanno eseguite necessariamente “in opera”, ossia in cantiere, tipo le fondazioni.
Un’esigenza imprescindibile delle opere fondali è che esse siano impermeabili e il cemento è un materiale che risponde a tale requisito per cui è impiegato pure per i capannoni metallici. Da sola l’introduzione della tecnica del cemento armato non avrebbe consentito il concepimento dei centri commerciali le cui necessità di spazio impongono la progettazione di capannoni “dilatati”, cioè pur sempre capannoni ma voltimetricamente assai ampi, assai più ampi di quelli usuali; anche in questo caso, come in quello delle abitazioni che abbiamo visto in precedenza, l’ammodernamento delle attrezzature, intese sia come case che come locali di vendita, passa per l’introduzione contestuale di apparati tecnologici e di soluzioni strutturali (il c.a.) nuove.
Qualcosa di analogo la si può constatare a proposito dell’acciaio che è tornato ad essere un protagonista nel mondo edile da quando la scienza applicata ha risolto il problema della prevenzione incendi, in precedenza temuti perché il ferro è intrinsecamente sensibile al fuoco. Tale preoccupazione aveva indotto in precedenza ad abbandonare tale tecnologia, affermatasi specialmente nelle architetture per l’industria, portando a privilegiare quella fondata sul c.a., dove il cemento protegge dal fuoco l’armatura in ferro che sta al suo interno.
Con una sorta di rincorsa continua, il ferro che era l’attore unico sulla scena degli spazi di grande luce nel XIX secolo pur se negli schemi a telaio gli era figlio, viene sostituito in tale ruolo dal c.a. ma a questo sorpasso esso risponde con una ripresa del suo impiego e la competizione si conclude con un pareggio, sancito non troppo tempo fa.
In ogni settore dell’infrastrutturazione civile che ha accompagnato il progresso economico della nostra società a partire dagli anni del “boom” il conglomerato cementizio ha una parte (ancora la metafora del teatro) importante: da quelle per lo sport (palazzetti e piscine) a quelle culturali (auditorium, museo, biblioteca e scuola), da quelle industriali a quelle per i servizi di vendita, da quelle ricreative e turistiche a quelle alloggiative, da quelle sanitarie a quelle igieniche.
Vi sono, poi, a sostegno dello sviluppo le infrastrutture stradali nelle quali sono compresi i viadotti (il “Molise 1” sulla Bifernina è l’antesignano) e i ponti (non il più antico, però il più interessante è quello denominato “3 Archi” essendo sostenuto il piano carrabile dall’alto, non dal basso) e le infrastrutture idrauliche (le tubazioni degli acquedotti della Cassa per il Mezzogiorno e quelle per l’irrigazione della pianura costiera, oltre ai serbatoi che svettano su quasi tutti i borghi tradizionali, funzionali all’approvvigionamento idro-potabile della popolazione). Degli impianti per l’agricoltura e della zootecnia se ne è già fatto cenno. Trattandosi di opere di più di 50 anni di vita il futuro ci vedrà impegnati in azioni di manutenzione straordinaria.
Francesco Manfredi Selvaggi652 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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