Non monumenti alla guerra, ma ai caduti in guerra

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Tutti i Comuni molisani piangono i propri concittadini morti durante il I conflitto mondiale. Vi fu a causa della guerra un’autentica decurtazione della componente giovanile della popolazione e ciò non può non aver avuto conseguenze negative sul futuro di quelle comunità.

Tutti i Comuni molisani hanno il monumento ai Caduti della Grande Guerra, non solo quelli dove avvenne il reclutamento degli Alpini, cioè i paesi di montagna; gli avvenimenti bellici, infatti, si svolsero non solo sulle Alpi, ma anche in piano, come la famosa Battaglia del Piave. Dunque, vi sono monumenti anche nei paesi costieri dai quali provengono i Fanti (non i Marinai in quanto si ebbero solo combattimenti terrestri). Termoli, il maggiore centro della costa, ha, peraltro, uno dei monumenti più apprezzati tra quelli che si trovano in Molise, opera di Enzo Puchetti, un artista di valore al quale si devono tanti altri Monumenti ai Caduti nel Centro meridione e, pure, quello di Trivento, altrettanto bello.

Vale la pena, avendone parlato, mettere in evidenza l’iconografia di entrambi, in quanto simile, che è quello della Patria che sorregge il soldato morente, tema che se non è antibellicista è, però, lontano dalla volontà di celebrare il mito del guerriero. A riguardo della ricorrenza delle medesime raffigurazioni, seppure con varianti, va aggiunto che questa non è una cosa rara né qui da noi né altrove come dimostra l’impiego dell’obelisco, emblema della perennità della memoria, a Campobasso, a Toro, a Matrice in cui il Monumento è a metà tra obelisco e piramide, ambedue simboli tratti dalla civiltà egizia nella quale il culto dei morti era molto forte.

Si prende spunto sempre da Termoli il cui monumento è situato in piazza Vittorio Veneto, la cittadina sede dello scontro finale, per dire che vi sono in molti centri della regione strade intitolate a località che furono siti di importanti battaglie a cominciare dalla sua “capitale” con un quartiere le cui vie hanno tutte nomi di questo tipo (Montegrappa, Pasubio, Montesabotino, ecc.) proseguendo con Isernia, via XXIV Maggio, una delle principali arterie urbane, l’altro capoluogo di provincia e così via. Vi sono pure nella toponomastica percorsi stradali dedicati a eroi, cioè Medaglie d’Oro, della I Guerra Mondiale, prendi a S. Massimo via Luigi Piccirilli.

Ancora Termoli offre il cosiddetto destro per evidenziare che in diversi monumenti del nostro territorio il soggetto rappresentato è una figura femminile, sia nelle vesti della Patria quale madre come nella cittadina adriatica sia, di nuovo a S. Massimo, di personificazione della Vittoria che alza al cielo la fiaccola, gesto che ha in comune con la Statua della Libertà a New York; la donna se non è stata al fronte ha comunque svolto un ruolo importante negli anni ’15-’18 avendo sostituito gli uomini nella conduzione, per quanto riguarda la realtà nostrana, della campagna.

Non furono poche quelle che rimasero vedove le quali si andavano a sommare ad un’ulteriore categoria di vedova, la “vedova bianca”, cioè la condizione di colei il cui marito è emigrato, l’emigrazione comincia allora, fino al ricongiungimento familiare che può avvenire numerosi anni dopo la sua partenza.

Ci si è soffermati a lungo sulla città del Basso Molise, adesso lo si precisa, perché l’osservazione del suo Monumento ai caduti ci permette di fare il punto su alcune questioni ricorrenti relative a tali monumenti che sono, riassumendo, la prima quella della loro presenza in ogni insediamento abitativo, tanto a vocazione montana quanto marittima, la seconda quella che ve ne sono alcuni davvero di pregio, appunto quello termolese, realizzati da scultori noti, comunque pochi poiché la maggioranza è di autore anonimo, la terza, quella che non è affatto detto che il monumento debba esaltare le azioni guerresche e non, come succede proprio in questo caso, inculcare un sentimento di pietà verso le vittime dei combattimenti, la quarta, quella che a lasciare traccia di sé la Grande Guerra ci ha pensato anche attraverso lo stradario cittadino ricco di riferimenti agli eventi bellici, la quinta (non c’è un ordine prefissato), quella della varietà delle espressioni artistiche che sono a volte di natura figurativa, la statuaria, a volte informate ad una specie di esoterismo per i rimandi all’antico Egitto, la stele.

Inoltre, continua l’analisi di ciò che si può dedurre vedendo il monumento di Termoli e che ci potrebbe, in contrapposizione, indurre in errore, spingere ad un falso convincimento, c’è il rischio che si creda che i Monumenti ai Caduti siano costantemente di uguale “stazza”, di equiparabile imponenza se non si estende lo sguardo all’insieme dei monumenti, perlomeno, molisani: allargando la vista si coglie che essi hanno dimensioni differenti, sono di “taglia” diversa e ciò non necessariamente in dipendenza della consistenza demografica del paese (Mirabello S. e Montagano, che hanno una quantità di residenti pressoché identica, hanno il primo un gruppo scultoreo a scala 1 a 1 su piedistallo in pietra, mentre il secondo ha una semplice lastra in marmo, seppure arricchita da decorazioni sui bordi, con l’elenco dei morti).

Forse esiste un indizio, piuttosto che il reddito pro-capite registrato in quel comune, per cui in quelli più floridi economicamente vi sarebbero monumenti più grandi, che consente di stabilire la ragione della diversità dimensionale dei monumenti, da cui sicuramente dipende il loro costo, che è l’attivismo di qualcuno dei componenti della società del posto che si preoccupa di raccogliere fondi tra i concittadini, magari estendendo la raccolta pure alle comunità di emigrati. Talvolta i promotori sono stati associazioni, innanzitutto quella degli “ex combattenti e reduci” e dei Cavalieri di Vittorio Veneto, ad essere i promotori dell’iniziativa costruttiva.

Di certo, non c’è un rapporto tra grandezza del monumento e, lo si ripete, tra spesa sostenuta, e le perdite subite da quel determinato centro abitato e l’esempio che illustra meglio ciò è Castelpizzuto, poco più che un villaggio e, però, montano dal che si desume che i giovani del luogo siano stati arruolati nel Corpo degli Alpini, arma che ha subito addirittura una decimazione dei militari durante il conflitto, svoltosi in consistente misura in montagna; in questo Comune c’è solo una lapide a ricordare i periti. Proprio lì dove, in proporzione, vi sono stati più morti il monumento è più piccolo.

Francesco Manfredi Selvaggi569 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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