Piazza Pepe, piazza Prefettura o piazza Cattedrale?
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Nel centro della città ve ne sono tante e ognuno le chiama come vuole, piazza Prefettura invece che piazza Pepe, piazza del Municipio al posto di piazza Vittorio Emanuele e così via. Non è, comunque, questo il problema, bensì il loro affastellarsi l’una accanto all’altra, quasi che una volesse trasmigrare nell’altra. Per conservare questo effetto bisogna porre grande attenzione all’arredo urbano.
Ci sono tanti che non conoscono il nome ufficiale di questa piazza: c’è chi la chiama, correttamente, piazza Pepe, chi piazza Prefettura e chi piazza Cattedrale. In effetti, il posto è «segnato» dalla compresenza dei tre elementi, tutti e tre rilevanti, con il medesimo grado di significatività. La statua di Gabriele Pepe, il Palazzo del Governo e la Chiesa Cattedrale della Diocesi; ciò giustifica in qualche modo, l’intercambiabilità della denominazione nell’uso comune.
Deve essere stato un vero dilemma per la commissione comunale che ebbe il compito di stabilire la toponomastica della città prima ancora della scelta del nome quello se tale ampia particella che nello Stradario cittadino è piazza Pepe fosse una realtà unica oppure se andasse considerata come due, o addirittura, tre (se non quattro) luoghi distinti e separati, come si dice, seppure accostati l’un l’altro. Non è un problema da poco, per niente facile da risolvere, il quale si ripete in tutta l’area centrale del capoluogo molisano in cui singoli episodi sono intrinsecamente connessi fra loro, quasi fossero parte di un continuum.
Ci stiamo riferendo alla serie di piazze, a partire da quella della Vittoria proseguendo per quella che oggi è diventata piazza Musenga e poi quella del Municipio passando per Villetta Flora che è un’appendice di piazza Pepe, la quale è il punto terminale di tale teoria di spazi pubblici. Essi sono tenuti insieme dal «corso» la cui larghezza e lunghezza ne fanno la componente principale del Borgo Murattiano; sembra che ogni momento urbano della Campobasso ottocentesca sia ad esso subordinato, a cominciare da quello che sono abbiamo indicato come piazza del Municipio e che, invece, agli atti è piazza Vittorio Emanuele II, al quale è intitolato anche il corso, fatto, che rafforza l’idea che si tratti, questi ultimi due, di qualcosa di unitario.
Il corso è il filo conduttore che, per un verso, congiunge le superfici aperte del Borgo (peraltro molto superiori a quelle coperte) contigue e, per un verso diverso, le fonde tutte insieme. I legami sono stringenti, non unicamente tra una piazza e la successiva, bensì pure, per via appunto di tale maestoso asse viario, complessivamente fra le varie componenti pubbliche di questo particolare “quartiere” (limitatamente, beninteso, alle parcelle di terreno libero); sono collegate in modo forte le due piazze che stanno ai due capi opposti del corso, i suoi due vertici, di inizio e di fine, non solo in quanto in ciascuna di esse è presente un deciso “segno” verticale, l’obelisco e la statua, costituenti i traguardi prospettici di tale asta stradale, ma anche perché siamo in presenza di due piazze celebrative dell’Unità d’Italia, dedicata la prima alla figura dell’ufficiale molisano che pur in forza all’esercito borbonico era animato da ideali risorgimentali e la seconda ai Caduti della Grande Guerra con cui si conclude il processo di unificazione nazionale, numerazione corrispondente alle fasi di questa gloriosa epopea, quella che la antecede e quella del successo finale.
È un unico racconto, con un prologo e un epilogo e le due piazze rappresentano, immaginificamente, l’incipit e la fine, il lieto fine. Seppure non volessimo seguire la chiave di lettura che si è proposta, cioè il nastro viario che nel suo svilupparsi a tratti si allarga per dar vita ad una piazza e a tratti, invero bravi, si restringe, si deve ammettere, comunque, che siamo di fronte ad una sequenza serrata di piazze (le si è elencate prima), cosa inusitata, non presente in centri analoghi né dentro né fuori della regione. Piazze differenti da tutti i punti di vista, sia dimensionale sia figurativo sia funzionale e soprattutto per rango.
Le più importanti sono indubbiamente le piazze sedi di istituzioni civiche e statali e perciò piazza Municipio e piazza Prefettura. Per quanto riguarda il “senso” dei luoghi, il genius loci, la piazza Pepe sulla quale ora ci soffermeremo, nonostante ridotta ad un incrocio di percorsi automobilistici, forse il più frequentato per la sua posizione baricentrica rispetto al tessuto urbanistico costituisce un po’ l’ombelico della città, lo ricorda la sua pianta pressappoco circolare. Vi confluiscono le direttrici stradali provenienti dai diversi quartieri e in questo crocevia nessuna è subordinato da un altra per cui viene a rivelare un carattere egalitario garantendo simbolicamente l’accessibilità al cuore della civitas a tutti i cittadini in maniera identica (ben diverso, per intenderci, sarebbe, se vi fosse un ramo stradale prioritario sul quale il resto della viabilità si deve innestare).
La valenza semantica si configura nel non essere un semplice rondò perché sono curvilinee pure le pareti della piazza, idealmente un cerchio, figura geometrica che in modo traslato rimanda, tra i numerosi significati cui si associa, all’assembramento comunitario.
I due fronti che la delimitano, i soli in quanto la restante parte del suo perimetro è interessata dal passaggio di strade, uno contrapposto all’altro sono concavi e seppure non estesi sono capaci di suggerire la forma dl circolo; uno dei due lati è costituito dalla facciata dell’ex Banco di Napoli con l’entrata, mentre quello opposto è un prospetto secondario della Banca d’Italia il che farebbe pensare ad una mancanza di interesse, in termini di rappresentatività, di questo istituto finanziario verso tale spazio, quasi voltargli le spalle, se non fosse che proprio un muro privo di ingressi è ciò che serve a questa piazza, un muro tondeggiante che viene a fungere da nicchia grande anche, se non tanto da essere scambiata per un emiciclo, sul retro della statua dell’eroe (ci si può camminare intorno e scoprire che anche la veduta posteriore di tale scultura è assai bella per i panneggi del mantello mossi dal vento).
Per inciso, è una fortuna che si sia optato all’epoca per una disposizione su un bordo della strada e non al centro, seguendo il modello classico della place royale, centro occupato oggi da un alto lampione, altrimenti essa sarebbe diventata inevitabilmente una specie di spartitraffico come succede in molte situazioni. È da sottolineare, inoltre, che sulla piazza convergono due rappresentanze di enti, ambedue del campo economico, che hanno la sede direzionale all’esterno del Molise, le quali, per la prima volta, qui da noi, vengono ad assurgere all’”onore” di fronteggiare una piazza, posizione che ne accresce presso la popolazione il prestigio.
Va, in aggiunta, notato che non vi sono residenze e negozi, la cui presenza renderebbe questo uno spazio ordinario e non extraordinario, la sensazione che si prova qui, in quanto l’unica piazza circolare, disegno planimetrico che la rende un luogo un po’ astratto essendo difficile l’edificazione al contorno. Si evidenzia, in ultimo, che in tale punto Berardino Musenga pose nel suo piano per il Nuovo Borgo uno snodo viario che la piazza in fin dei conti conferma.
Francesco Manfredi Selvaggi625 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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