Borgo Gioacchino o murattiano, che dir si voglia

di Francesco Manfredi-Selvaggi

È il nome dello stesso personaggio e c’è libertà di scelta nell’indicare il luogo perché la toponomastica ufficiale cittadina non prevede per esso alcuna denominazione. L’interesse per tale porzione urbana non è solo paesaggistico per cui venne apposto l’apposito vincolo di tutela, ma pure storico e vi è uno specifico articolo del Codice dei Beni Culturali che ne permetterebbe il riconoscimento impedendo eventuali ipotesi di alterarne il tracciato viario. Trattandosi de facto di un sito monumentale si potrebbe predisporre una specifica tabellonistica turistica.

La fondazione del Nuovo Borgo (1812) è di poco successiva all’abolizione della transumanza (1805), due accadimenti pertanto coevi. Contemporanei e anche legati fra loro: terminata l’utilizzazione del suolo tratturale da parte dei pastori transumanti esso diviene disponibile per altri impieghi, tipo la realizzazione di un insediamento edilizio come avviene alle porte, sono 6, di Campobasso dove sul sedime del Braccio Trasversale Matese-Cortile si costruirà un intero quartiere, all’epoca periferico. In vicinanza del sobborgo sorto extra-moenia il predetto tratturello è come se si dilatasse tanto da permettere al demanio tratturale di ospitare in occasione del passaggio degli armenti le grandi fiere che hanno fatto grande la nostra città.

Il mercato ha bisogno di uno spazio piano e questo luogo lo è, non per niente si denomina Piano delle Campere. Il sito che è ampio oltre che pianeggiante (il che rende agevole l’edificazione) viene sfruttato per soddisfare il bisogno di un accrescimento dell’abitato a seguito del ruolo assegnato nei medesimi anni (1806) a questo centro di capoluogo di Provincia. Tra i connotati morfologici di tale località “fuori porta” da segnalare vi è pure quello di avere la forma allungata il che significa, per ciò che qui interessa, possedere una direzionalità intrinseca la quale asseconda, da un lato, lo sviluppo del nastro tratturale il quale è il generatore e, dall’altro lato che è, poi, lo stesso in quanto la strada si sovrappone al tratturo, l’arteria che conducendo a Napoli, la capitale del Regno, è un canale di comunicazione prioritario.

C’è da sottolineare, poi, che è un terreno di proprietà pubblica, sia quello tratturale che lo è da sempre sia quello ex-conventuale del convento della Libera dopo la soppressione, ancora agli inizi del XIX secolo, degli ordini monastici. Infine, occorre mettere in evidenza che si tratta di un areale sgombro, ad eccezione dei resti del predetto convento colpito dal terremoto del 26 luglio del 1805, un ulteriore evento che in meno di un decennio, il “decennio francese”, ha smosso, letteralmente per quanto riguarda la scossa sismica, ha cambiato il volto della regione.

Ricapitolando, un appezzamento di terra sufficientemente esteso, libero da costruzioni e piatto, tre caratteristiche che lo fanno assomigliare a un foglio di carta bianca, vuoto, di formato consistente, steso su un tavolo, il tavolo da disegno dell’architetto Musenga. Per inciso, è la prima volta che nel Molise compare la pianificazione ed è la prima volta che compare la figura dell’architetto, osservazione, la seconda, ovviamente tanto logica in quanto il piano lo fa l’architetto.

Di fronte al foglio bianco Berardino Musenga poteva liberamente optare per qualsiasi disegno di piano, l’unico condizionamento essendo rappresentato dallo sviluppo oblungo, non uno spazio isotropo, dell’ambito da urbanizzare. La geometria è pressoché rettangolare con il lato maggiore che segue la direttrice della via di collegamento extraurbano di cui si è detto. Passando ora ad analizzare le scelte di piano, vediamo (anzi non vediamo perché non è riportata nella pianta) che questo asse stradale pur di livello primario scompare nell’elaborato progettuale del cosiddetto Borgo Murattiano, ma sicuramente permane nella realtà fattuale.

È lapalissiano che la strada esterna, nata proprio per raggiungere Campobasso, conducesse fino al perimetro urbano pre-murattiano, non si arrestasse prima, è un assurdo, eppure nel disegno del Musenga non c’è. Lo schema viario della zona di espansione progettata dall’architetto campobassano avrebbe dovuto tener conto della viabilità sovracomunale e invece no. Nessuno dei 3 assi longitudinali, idealmente paralleli alla strada “provinciale” (se non “nazionale”), della maglia stradale disegnata dal Musenga, sembra riprodurre tale arteria e, comunque, non sarebbe facile decidere basandosi sulla sezione della carreggiata poiché hanno tutti la stessa larghezza, chi ne costituisca il sostituto, la “replica”.

Qualcuno di essi dovrà, però, pur essere e allora si propende per l’asse centrale, proprio per la sua centralità, posizione che legittima una sua certa superiorità. A proposito di tale identificazione è da sottolineare, per chiarimento, quanto segue: mettiamo pure che l’asse baricentrico di questa lottizzazione ante-litteram facciale veci del tratto conclusivo del percorso stradale per Napoli, i suoi connotati formali sono, ad ogni modo, completamente diversi e vediamo subito perché: mentre la strada per la città partenopea poiché, come diremmo oggi è a scorrimento veloce non può subire nel suo svolgimento troppi rallentamenti dovuti all’innesto di vie secondarie, la “bisettrice” così come ogni  asta della griglia musenghiana è soggetta ad interruzioni frequenti e con cadenza regolare per l’incrocio con i rami del reticolo delle percorrenze ad essa ortogonali.

L’asse risulta, quindi, frammentato in molteplici segmenti, per capirci quello che attualmente va da piazza Pepe all’innesto con via Pietrunti, quello, proseguendo, che partendo da questo punto incrocia via De Attellis, quello, in successione, che porta da qui all’intersezione in cui ha origine via Romagnoli e, l’ultimo, quello che superato questo crocevia si conclude in piazza della Vittoria. Il Corso, è il suo nome, è suddiviso in parti anche se chi lo percorre lo avverte quale camminamento unitario, o meglio come passeggiata unitaria.

Sarà perché è bordato da alberatura (in verità solo da un lato) viene assimilato al modo di sentire comune ad un boulevard o promenade che dir si voglia, diventando il posto prediletto dei campobassani per il passeggio ovvero per lo “struscio” serale e per lo shopping nelle ore diurne. Il fatto che è stato pedonalizzato, per metà per via degli alberi simile ad un viale, ha reso impensabile che esso fosse l’arteria vitale della città in cui scorreva, alla stregua del sistema sanguigno, il traffico cittadino e quello proveniente dal resto della Provincia e dalla sede del potere regio.

Francesco Manfredi Selvaggi643 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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