Lavatoio: lavanderia con lavaggio a mano

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Le lavandaie erano, lo dice il nome stesso, sempre donne le quali svolgevano un lavoro pesante per il quale serviva che uno, una fosse forte, altro che sesso debole. I lavatoi sono attrezzature pubbliche, mai private, proprio il contrario di quello che sono le lavanderie odierne con le quali hanno comunque il fatto che è un’attività che svolgono persone di genere femminile (ph F. Morgillo)

Intendiamo effettuare la descrizione del lavatoio procedendo per fasi, avanzando dal piccolo al grande, dal vedere aspetti di dettaglio alla visione complessiva. Incominciamo, dunque, dalle lastre su cui si strofinano i panni. Ci sono quattro osservazioni da fare: la prima è che la pietra da utilizzare non deve avere la superficie ruvida altrimenti la stoffa nell’attrito si logorerebbe; la seconda è che i pezzi lapidei c’è bisogno che abbiano una certa larghezza per ottenere un lavaggio uniforme poiché se fossero stretti l’indumento da lavare dovrebbe essere posto a cavallo di due lastre con conseguente sfregatura del tessuto lungo la linea di congiunzione delle stesse; la terza è che le pietre sulle quali si esercita la frizione del bucato è necessario che siano lunghe sia per ragioni uguali a quelle del punto precedente sia per poter distendere il panno se non nella sua interezza, quasi, è impossibile con le lenzuola.

Da quest’ultimo requisito richiesto alle lastre ne discende che la vasca dei lavatoi sono profondi, profondità, va evidenziato che è difficile ritrovare sul greto di un ruscello dove, in mancanza di simili strutture, le donne erano costrette a recarsi per il lavaggio (Manzoni risciacquava la lingua nell’Arno, le lavandaie i panni); peraltro sulle rive di un fiume si deve stare inginocchiati, non all’impiedi e, però, chini come nei lavatoi la cui altezza impone di stare piegati con la schiena. Nei modelli più elaborati il lavatoio presenta sulla sommità della balaustra, se così si può chiamare il muretto che lo sostiene, una pietra in piano non zigrinata, un ripiano, utile per poggiare la cesta con cui si trasporta (poggiata sulla testa) il bucato e il sapone preparato in casa.

Il fondo del lavatoio è, in genere, in mattoni, comunque in materiale non sgretolabile per evitare che avvenga l’erosione da parte del flusso idrico dello stesso con le particelle che se ne distaccano possano aderire alla stoffa. Esaurita la lettura della vasca alla scala minima andiamo a osservarla nella sua interezza, muovendo così dalla scomposizione negli elementi-base alla loro ricomposizione in un insieme compiuto, in un manufatto definito. Occorre precisare che avremmo fatto meglio poco fa a dire che guarderemo la vasca nel suo complesso piuttosto che nella “sua interezza”, un piccolo distinguo terminologico, perché essa seppure un oggetto unitario si presenta, a volte, formata da più tronconi, altrettante piccole vasche.

Il caso di Salcito con la sua fonte Caracciolo cui è annesso un lavatoio fatto di molteplici vaschette. I piani di lavoro ovvero di lavaggio sono, normalmente, in ogni lavatoio contrapposti fra loro con alcune eccezioni come il lavatoio di Roccamandolfi presso la fonte La Trainara con il piano, inclinato, in cui si lava fronteggiato da un muro e non da una analoga postazione nel verso opposto. A Salcito il lavatoio è fatto da una serie di vaschette disposte da un lato e dall’altro, mai l’una di fronte all’altra.

Questa salcitana è la soluzione più avanzata per la risoluzione di non far venire in contatto i panni lordi di persone malate, magari di malattie epidemiche con quelli di individui sani. Nei lavatoi usuali si cerca di ovviare a tale rischio di contaminazione tra le stoffe stabilendo che il punto di lavatura dei panni appartenenti a coloro che sono affetti da morbi capaci di trasmettersi al resto della popolazione sia quello prossimo allo scarico delle acque, quindi all’estremità del lavatoio; non vi sono vasche separate per quest’uso, ma è sempre vasca unica, purtroppo.

Terminato ora l’approfondimento sulla vasca, dopo aver concluso in precedenza quello sulle lastre, si scende un ulteriore gradino, in verità si sale perché stiamo transitando progressivamente dal micro, le pietre per il lavaggio, passando per la vasca che le contiene, al macro il volume, se c’è, che la racchiude, aperto o chiuso. Si è appena fatto cenno alla circostanza che vi sono lavatoi inseriti in un apposito manufatto e perciò dotati di copertura che li protegge dalle intemperie. Per copertura si può intendere tanto una mera tettoia quanto un corpo di fabbrica con pareti.

Al maggiore investimento per la costruzione di un locale dotato di muri laterali non corrisponde necessariamente una migliore funzionalità del lavatoio che potrebbe venire penalizzata, in riguardo all’igienicità dello spazio, da una minore ventilazione la quale serve per mantenere asciutto un ambiente reso umido dalle acque che vi scorrono all’interno. Lavatoi racchiusi in una scatola muraria stanno, per limitarsi a 2 centri, uno grande e uno minuscolo, a Isernia e S. Massimo. Tra i lavatoi semicoperti piace indicare quello di Baranello con le colonnine in ghisa, di fattura classicheggiante, che sorreggono una pensilina.

Quello di Roccamandolfi, già nominato, posto com’è sotto un portico arcuato costituisce un’ulteriore variante. Nel dimensionamento della vasca del lavatoio e di conseguenza della superficie, aperta, aperta a metà, chiusa, deputata ad accoglierlo non si coglie una precisa correlazione con la taglia demografica del comune cui è a servizio. Esso doveva ospitare un numero sufficiente di posti per le lavandaie così come i fossi, in sua assenza, il cui greto era sfruttabile nei tratti dell’alveo pianeggianti.

Siamo pronti, dopo aver sviscerato il tema del “contenitore”, allo step successivo, il quarto, riflettendo circa la porzione urbana in cui è inserito il lavatoio. Il percorso che si sta seguendo è lastra-vasca-involucro-intorno urbanistico e ciò, lo si rammenda, dal minimo al massimo, dalla lastra lapidea che è al livello inferiore, al massimo, la sfera insediativa che è a quello superiore. I lavatoi occorre siano fuori dall’agglomerato residenziale e nel medesimo tempo non troppo distanti da questo.

All’esterno in quanto le esalazioni emesse dal lavatoio sono sgradevoli, non molto lontani per evitare tragitti troppo lunghi alle lavandaie. È insopportabile l’odore (puzza?) proveniente dal lavatoio specie al momento dello spurgo che avviene abbastanza di frequente con il cambio dell’acqua nella vasca (a S. Pietro Avellana lo si fa ogni tot minuti immettendo nella condotta un potente fiotto idrico che pulisce la vasca). Ai margini dell’insediamento altrimenti le acque di scarico si troverebbero ad attraversarlo (se non interrate come avviene al Cannello nel centro storico di Boiano. Se le acque in uscita sono luride quelle in entrata nella vasca obbligatoriamente sono pulite affinché non sporchino i panni durante il lavaggio. I lavatoi sono attrezzature igieniche che insieme ai bagni pubblici e alle fognature si sono affermate nel 1800 quando si cominciò a capire l’importanza dell’igiene urbana.

 

Francesco Manfredi Selvaggi578 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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