Trivento, un gradino al giorno e in un anno sei in cima

di Francesco Manfredi-Selvaggi

La scalinata di via Salita San Nicola è uno dei luoghi più caratteristici del centro trignino. Non è solo un luogo di passaggio, ma anche di permanenza, in quanto la stessa è contornata da lunghe schiere edilizie. È una zona pedonale giocoforza, diversa quindi da quelle che le amministrazioni comunali istituiscono per migliorare la vivibilità dell’insediamento, una “moda” nota negli anni 70. Qui è bella e fatta, non c’è stato bisogno di provvedimenti amministrativi.

Sembrerebbe scontato che in tantissimi centri storici, sviluppandosi i nostri insediamenti per lo più in pendio, ci siano scalinate, ma, in effetti, non è così. Se nella rete viaria del borgo medievale di Campobasso, impostata su un’asse orizzontale, v. S. Antonio A. – v. Ziccardi, vi è una serie di stradine che da essa si diramano, la principale è v. Chiarizia, in senso verticale risalendo il colle, dotate di gradini, Boiano e Venafro, pur se nella loro parte antica sono disposte su versante, non hanno strade gradonate.

Neanche Isernia e Larino, per rimanere ai comuni maggiori e alle zone storiche, le hanno nonostante siano posizionate su un rilievo, nota bene allungato, ma sono giustificate in quanto ne sfruttano il crinale il quale è per sua natura in piano. Trivento rientra tra i paesi che hanno la scalinata, e che scalinata in quanto qui i gradini sono tanti, per la precisione quanti i giorni dell’anno, ben 365 i quali si susseguono lungo la direttrice viaria centrale dell’abitato! In verità oggi sono di meno poiché il pezzo iniziale, un tratto peraltro breve, è stato reso carrabile.

La sua monumentalità la deve non solo alla lunghezza, ma pure ad altre due caratteristiche, da un lato la larghezza, davvero inusuale nella viabilità del passato, e dall’altro la rettilineità, smentita solo nel pezzo finale, peraltro anch’esso un tratto breve, dove Salita S. Nicola presenta un lieve flesso. È un’opera monumentale anche per la sua pavimentazione in materiale lapideo e laterizio e l’alternanza tra pietra e mattoni messi a coltello, lo si rileva incidentalmente, rende la superficie della pedata scabra in modo che chi la percorre non corra il rischio di scivolare.

Chissà quanto saranno costati i lavori in quel lontano 1893, l’anno in cui venne realizzata! Sarebbe stato molto più economico costruire al posto della scalinata uno stradone pavimentato, nei tempi moderni con semplice asfalto e una volta con pietrisco. In definitiva, per il suo pavimento di ottima fattura, per le sue consistenti dimensioni, trasversale e longitudinale, per il suo essere dritta che ne fa un segno deciso, perentorio, la scalinata può essere considerata una delle più importanti emergenze di tipo culturale di questa cittadina.

Oltre che come un fatto di rilievo architettonico, come se fosse stata progettata da qualche architetto di valore, esso è di pregio anche quale opera di interesse urbanistico, è un connotato saliente della struttura urbana triventina. Costituisce il trait d’union tra la zona a monte e quella a valle dell’abitato. La scalinata, rettilinea com’è, mette in relazione diretta la parte alta a quella bassa dell’agglomerato insediativo. Percettivamente parlando è un filo, o meglio un nastro data la sua ampiezza, che lega i due poli del centro trignino, l’uno in cima al colle l’altro ai suoi piedi, due nuclei distinti e separati, separati appunto dalla scalinata.

I rioni, in effetti, sono 3: oltre ai due quartieri di monte e di valle vi è quello intermedio che sorge al margine della scalinata, denominati in dialetto rispettivamente capammonte, capaballe e santanicola. La forma urbis ha un aspetto sicuramente originale, una configurazione dell’aggregato abitativo ben riconoscibile. È doveroso evidenziare che ci si sta limitando alla descrizione dell’ambito urbanizzato consolidato senza prendere in considerazione l’estesissima fascia periferica, una propaggine che è in divenire (consolidato versus in divenire).

Finora abbiamo discusso della scalinata in generale, adesso entriamo nel dettaglio. C’è, però, un problema prioritario da affrontare antecedentemente alla lettura analitica del corpo scala che è il seguente: è nata prima la scalinata cui si sono addossate ai lati successivamente le case oppure il viceversa? Se fosse vera, come si propende, tale seconda ipotesi, cioè che le schiere edilizie sono precedenti alla costruzione della scalinata, allora dobbiamo ritenere che il loro notevole distanziamento dipenda dalla circostanza che il sedime della futura scalinata si trasformava in occasione di precipitazioni intense in un canale.

L’acqua meteorica che proviene dal settore urbano superiore per via della presenza dei caseggiati ai bordi della sua naturale via di fuga ovvero linea spessa di scorrimento è come se risultasse incanalata, costretta in un letto che ha alle sue sponde stecche edilizie alla stregua di argini dai quali non può fuoriuscire. Al di sotto della mezzeria della scalinata per tentare di far defluire sottoterra la portata idrica vi è un fognolo in muratura che è così capiente da essere ispezionabile da un operaio in posizione eretta.

Si cascherebbe in una contraddizione in termini, comunque, se si presupponesse che si tratta di un vallone poi colmato sovrapponendoci la scalinata in quanto è evidente che la morfologia del luogo è quella di una dorsale, una specie di costola del rilievo su cui si attesta il nucleo originario; mentre il vallone ha la forma concava, quella della dorsale è convessa. È stata l’edificazione al contorno a determinare la formazione del rivo.

La compattezza è una caratteristica precipua di questo percorso stradale smentita localmente da alcuni vicoli, interposti tra i blocchi edilizi, ortogonali a questo asse che nella volgata popolare sono denominati rue e, soprattutto, a metà dell’ascesa dall’incrocio con due stradine campestri dirette verso due località situate sugli opposti versanti, la Marasa e la Citerna, parziali wayout per l’acqua. La centralità di questo punto è rimarcata dalla chiesetta di S. Nicola che è stata eretta proprio nel baricentro, la quale dà il nome alla strada.

Nella toponomastica cittadina, è interessante notare, quest’ultima si chiama salita e non scalinata, un cambiamento di nomenclatura che sarebbe stato opportuno dato la modifica sostanziale che la gradonatura ha apportato alla funzionalità del camminamento. I gradini impediscono il transito dei carretti obbligando a trasbordare le merci sui muli (il Vescovo al momento del suo insediamento raggiunge l’Episcopio a dorso di un cavallo bianco) con i risvolti negativi conseguenti; di positivo c’è che i gradini obbligano la massa idrica a continui salti nella sua discesa verso il basso rallentandone la corsa, delle microbriglie.

Potrebbe far ritenere valida la tesi in precedenza scartata (e non ritorniamo sui nostri passi), è un po’ la faccenda di chi sia nato prima l’uovo o la gallina, cioè che gli edifici al contorno siano successivi alla creazione della scalinata è il non allineamento delle loro entrate con le pedate dei gradini tanto che c’è stato bisogno di una serie di pianerottoli laterali a quote differenti, seppur minimamente, da quelle delle pedate, ripiani posti a livello degli accessi alle abitazioni che sono più o meno grandi a seconda del numero di porte del fabbricato cui sono a servizio.

Dunque, la salita si compone per 2/3 della sua sezione trasversale di una scalinata e per 1/3 da minuscoli slarghi di raccordo tra questa e gli usci che antecedono l’ingresso a residenze, botteghe e negozi (queste ultime due attività sono ormai scomparse essendosi trasferite nell’area di espansione). La scalinata vista planimetricamente e in prospettiva ha le sembianze di un fiume, sarebbe più opportuno dire di una fiumara, il quale ha di regola un alveo che nello svolgimento del suo corso progressivamente si allarga ed è questa l’immagine con la quale ci congediamo dal lettore, rimandano, per le conclusioni all’occhiello appena sotto il titolo del presente intervento.

Francesco Manfredi Selvaggi578 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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