A Campitello un rifugio che non serve più per rifugiarsi

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Oggi per via della presenza di numerose strutture ricettive nella nostra località turistica montana non si coglie l’utilità del rifugio EPT il quale andrebbe destinato ad altri usi, tipo centro visita o museo della montagna. In quota, sopra i 2000 metri alla fine dell’800 venne costruito un bivacco che poi il tempo e le intemperie hanno fatto scomparire (Il rifugio Iezza prima della nascita della stazione di sport invernali)

Ogni qual volta si discuta di parchi è evidente che uno dei temi da trattare sia quello dei rifugi. Ebbene anche in questo caso, il caso del Matese, ci tocca parlare di tali manufatti costruttivi che, poi, sono gli unici ammessi in un’Area Protetta qual’è la nostra essendo la montagna in questione diventata Parco Nazionale. In verità, qui di volumetria realizzata ce n’è tanta, tutta concentrata a Campitello.

Il rifugio per sua natura è una struttura isolata ma in questa località non è affatto solinga attorniata com’è di molti residence edificati in passato il che ne altera il suo senso precipuo, quello di presidiare l’altura per garantire la possibilità di rifugiarsi, alla bisogna, ai frequentatori di questa zona d’altitudine; non c’è, certo, ora più la necessità di un attrezzatura specifica per soddisfare l’esigenza di un posto dove ripararsi al sopraggiungere di fenomeni atmosferici intensi e inattesi oppure per ricoverarsi al chiuso allorché la notte ti colga all’improvviso, essendoci in loco diversi alberghi che potrebbero servire all’uopo.

Il rifugio dà, ad un tempo, alloggio ai praticanti di monti e al conduttore dello stesso il quale avrebbe il compito di soccorrere chi, a causa di un qualche incidente occorso durante un’escursione montana, sia in difficoltà e anche di rintracciare le persone che si sono smarrite lungo un sentiero (operazione fattibile se si è preventivamente informato il gestore del rifugio dell’itinerario che intendevano seguire). Il rifugio di Campitello, specie antecedentemente alla realizzazione, siamo intorno al 1960, della strada che conduce alla stazione sciistica, è stato utilizzato, una sistemazione spartana, recandovisi la sera prima da coloro che volevano intraprendere percorsi che impegnano un’intera giornata per cui è necessario che si parta all’alba.

È da dire che gli oneri a carico di colui che gestisce il rifugio erano, appunto, onerosi con molte spese, compensati, in certo qual modo, dagli introiti dell’attività ristorativa aperta anche a coloro che non sono frequentatori della rete sentieristica, bensì che vengono fin qui per una scampagnata, il rifugio quale meta di una gita domenicale. Se il rifugio ha perso ormai il ruolo che aveva all’origine conserva ancora delle vestigia del suo antico prestigio legato all’essere approdo sicuro per i camminatori, imponendosi per la sua centralità nel contesto insediativo; la sua muratura in pietra a vista richiama le architetture tipiche di montagna, è, in miniatura, il nucleo storico dell’urbanistica di Campitello.

È ben riconoscibile, è il fulcro percettivo delle vedute di questo centro di sport invernali da qualsiasi angolatura lo si guardi. È, in qualche modo, il suo cuore. Campitello non si può dire che sia nata proprio dal nulla, c’era già il rifugio quando si decise di farne un polo turistico. Il rifugio che si chiama ancora comunemente EPT, le iniziali di Ente Provinciale per il Turismo, è di proprietà pubblica, peraltro l’unico locale di proprietà di enti in quota, salvo l’infermeria e la sua conduzione viene affidata ad un soggetto privato.

Se così stanno le cose allora è plausibile, essendo venuta a cadere, per quanto detto, la sua ragione sociale originaria, il poter essere destinato ad altre funzioni. È possibile immaginare, vista pure la sua centralità all’interno dell’insediamento, la sua utilizzazione quale centro visita oppure museo della montagna. Una differente utilizzazione ipotizzabile è quella a foresteria (nel Programma di Fabbricazione è indicata una particella dove dovrebbe sorgere una cosa del genere rimasta vuota) per guardia-parco e ogni genere di operatori preposti alla cura degli ambienti naturali.

Se rifugio deve rimanere occorrerà privilegiarne la fruizione da parte di persone non abbienti o di ragazzi, gruppi, gruppetti, perché piccolo quasi fosse una colonia alpina. Va lasciata in tal senso al volume edilizio una porzione nelle disponibilità del Soccorso Alpino e degli specifici corpi delle Armi confermandosi, in questa maniera, l’essenza di un rifugio che è un indispensabile presidio per garantire la sicurezza in montagna, una primaria esigenza. Esso appare indispensabile per supportare la pratica dell’escursionismo e il primo è in coincidenza, guarda caso, siamo alla fine del XIX secolo, con lo sbocciare di tale passione in prossimità della vetta del monte Miletto, un piccolo bivacco in cui rifugiarsi all’occorrenza.

Tale capanno fu eretto dalla Società Alpinistica Meridionale, una associazione nata da una scissione, poi rientrata, del Club Alpino Italiano, sezione di Napoli, promossa da un gruppo di giovani ardimentosi in contrasto con l’atteggiamento “posato” del consiglio direttivo della stessa in cui erano presenti Benedetto Croce e il nostro, era di S. Giuliano del Sannio, Pedicino, degli amanti dei monti da tavolino e non in ambiente. Il CAI partenopeo è del 1871, la seconda realtà sezionale in ordine di tempo d’Italia, precedendo di 14 anni quella di Campobasso.

In quel lasso temporale sono stati i campani a fare le veci dei molisani in quanto a promotori delle gite sui rilievi matesini; del resto questo massiccio è in condivisione fra Campania e Molise. Questa capanna era in possesso della SAM (il rifugio EPT lo era della SME, Società Meridionale di Elettricità, sigle che si assomigliano) che l’aveva tirata su; essa non era proprietaria del suolo il che ha fatto sì che una volta andato giù il suo sedime è tornato nella piena disponibilità del Comune di Roccamandolfi all’interno dei cui confini amministrativi ricade. Tale casupola poteva essere utile per proteggersi durante i temporali estivi.

Durante l’inverno non ci si spingeva tanto in alto e, a tale proposito, si ricorda che la prima vetta del Matese scalata in invernale, a gennaio del 1892, fu proprio la più elevata, i m. 2050 del Miletto, ascensione documentata in un resoconto a stampa di Beniamino Caso, l’organizzatore dell’impresa, di Piedimonte d’Alife dove era attivo il club dei Pionieri del Matese non il Club Alpino Italiano. Dovette essere un’autentica prima assoluta perché neanche i pastori nei mesi freddi si spingevano fino a queste quote; forse i cacciatori, gli unici peraltro che si inoltravano nei canaloni o si arrampicavano sulle pareti rocciose all’inseguimento di prede.

L’abitacolo del rifugio SAM era parzialmente interrato, l’ingresso era sul muro a valle, il solo che fuoriusciva da terra; è da evidenziare che il terreno, la pianta è di circa mq.10, su cui poggia non è una rientranza del fianco del monte, ma è frutto di scavo. Non vi erano ulteriori aperture, nessuna finestra. La muratura costituita da sassi tenuti insieme da scarso legante è stata fiaccata dalle condizioni estreme della fascia cacuminale fino a scomparire. L’immagine di un edificio a due piani, la tipologia è quella classica della casa su pendio, va intesa quale disegno ideale.

Francesco Manfredi Selvaggi577 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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