Il mattone e il suo formato maneggevole

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Le misure di un mattone sono sempre le stesse da millenni e ciò perché così la mano del muratore riesce a maneggiarlo facilmente. Ci sono state trasformazioni nella produzione dei laterizi ma esse non hanno riguardato la dimensione del mattone. Le nuove tecnologie hanno portato ad una industrializzazione nella fabbricazione di questo fondamentale componente delle costruzioni e al conseguente abbandono delle fornaci, le “pincere” tradizionali (Ph. F. Morgillo-Una pincera a Boiano)

Il boom edilizio che si è registrato in Italia nel secolo scorso, specialmente nei decenni successivi alla II Guerra Mondiale, in particolare nelle grandi città, ha avuto un eco anche nel Molise. Per far fronte alla richiesta di materiali da costruzione al fine di soddisfare il bisogno di nuove case si è dovuto, necessariamente, passare da una produzione artigianale dei laterizi ad una industriale. Tale passaggio dall’artigianato all’industria è stato favorito da un’importante innovazione tecnologica, la comparsa già ai primordi del ‘900 del forno Hoffmann che accelerava la fornitura di mattoni.

Quest’ultima non era più intermittente come succedeva nelle “pincere” bensì continua con il fuoco nella fornace degli stabilimenti moderni che non solo non veniva mai spento ma che conservava costantemente la temperatura idonea alla cottura dei laterizi; nella pincera occorreva, una volta completata la cottura, che si sfornassero i mattoni per poi procedere ad un’altra infornata mentre nelle nuove fabbriche le pile di mattoni crudi vengono introdotte in molteplici fornetti posti in serie con la fiamma che muovendosi su un carrello che corre su binari cuoce le diverse cataste durante il suo incedere.

In definitiva, pure in questo settore come nel resto dei rami industriali si afferma il “ciclo continuo” il quale si associa alla “catena di montaggio”, novità assolute che hanno rivoluzionato la fabbricazione di oggetti, libri, ecc. oltre che la vita dei lavoratori e della società in genere. Se questa è l’ “innovazione di processo”, l’innovazione del processo produttivo, non si è avuta, però, l’ “innovazione di prodotto”, il prodotto è sempre lo stesso, il mattone. Infatti, salvo che nel caso della prefabbricazione, ma l’impiego dei pannelli prefabbricati qui da noi è stato molto limitato, si è continuato a costruire, in abbinamento o meno con il cemento armato, con i mattoni.

Questi hanno fin da epoche remote dimensioni costanti, altezza cm. 5,5, larghezza cm. 12, spessore cm. 5,5, misure rapportate a quelle della mano dell’operaio che lo deve, appunto, maneggiare e che tiene conto dello strato di malta da applicare, quel cm. 0,5 che manca per fare cifra tonda, per sovrapporre i mattoni in filari. Inoltre, e adesso introduciamo un ulteriore concetto che ha sempre più preso piede nella produzione industriale, quello della “qualità del prodotto” per garantire la quale il mattone non può essere più spesso altrimenti la cottura e la successiva asciugatura non avviene in maniera uniforme. Riprendiamo un po’ fiato prima di riattaccare l’esposizione senza, comunque, cambiare discorso che è quello che abbiamo appena toccato della qualità la quale dipende anche dall’omogeneità del prodotto. Questa dipende dalla “materia prima” utilizzata.

L’impasto con il quale era formato il mattone presentava nel passato una grande variabilità, essendo differente nelle tante pincere, l’argilla utilizzata dipendeva dalla cava disponibile in loco. I laterifici odierni presuppongono un sito di estrazione del materiale argilloso di grande estensione per cui l’argilla ha le medesime caratteristiche il che permette di avere materiali qualitativamente identici. È questo della vicinanza con un giacimento estrattivo di consistente ampiezza (Petrucciani sopperisce ad una non immediata contiguità con l’area di prelievo dell’argilla mediante una teleferica) una condizione necessaria ma non sufficiente.

È richiesta pure la prossimità ad una linea ferroviaria rivelandosi capace lo stabilimento di influenzare la stessa ubicazione della stazione per favorire il pronto carico dei laterizi sui treni merce (succede così a Baranello, a S. Pietro Avellana, a Ripalimosani, a Petacciato, è addirittura una regola e allorché si deroga ad essa, accade con la SILS a Castellone di Boiano, si va incontro a problemi irrisolvibili). L’ubicazione di tali fabbriche di mattoni dovrebbe privilegiare le moderne aree urbane se non fosse che i fumi emessi dalle altissime (e bellissime) ciminiere potrebbe provocare l’inquinamento dell’aria cittadina e perciò, consapevolmente o inconsapevolmente, se ne stanno discoste (a Isernia il mattonificio sta nei pressi del fiume Cavaliere).

I motivi per cui dovrebbe lo stabilimento stare in contatto con la città è, da un lato, il motivo principale, che essa è il principale mercato di sbocco dei manufatti laterizi, quindi la riduzione dei costi di trasporto e, dall’altro lato, che un tempo era difficile il pendolarismo della forza-lavoro (Petrucciani si preoccupò di realizzare allo scopo delle casette per gli operatori all’interno del perimetro dello stabilimento). Rimanendo in tema ma spostandoci dal fronte dei laterifici a quello delle pincere vediamo che anche queste sono in connessione stretta con gli agglomerati insediativi. Innanzitutto va detto che sono moltissime perché sono moltissimi i comuni molisani.

A Boiano che è un insediamento di rilievo le pincere sono numerose, in genere sono una per paese, e raggruppate nella medesima borgata che prende il nome proprio di Pincere. Ciò fa pensare ad un qualche rapporto mutualistico non fosse altro che la cava, la quale è in località Mucciarone, viene sfruttata in modo condiviso. C’è da immaginare pure che ci deve essere stata una certa relazione fra i pinciaioli i quali dovevano evidentemente collaborare fra loro in presenza di un forte fabbisogno di mattoni per soddisfare la domanda. È lecito presupporre inoltre che vi sia stato un intermediario che provvedeva a smistare fra i numerosi pinciaioli le richieste dei costruttori, all’esatto identico modo del mercante il quale è una figura fondamentale in quella fase della storia dell’economia europea denominata Mercantilismo, un tipo di sistema economico che si associa alla nascita dell’industria, pure quella dei laterizi, e dunque precede il Capitalismo.

Francesco Manfredi Selvaggi641 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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