Puoi modulare quanto vuoi una chiesa, il modulo finale è sempre il presbiterio
di Francesco Manfredi-Selvaggi
S. Maria delle Fratte a S. Massimo è una tipica chiesetta rurale la quale non si distingue per assetto architettonico dalla maggioranza degli edifici di culto posti in campagna. Una componente comune, indispensabile, è la zona presbiteriale (Ph. F. Morgillo- Veduta verso il presbiterio)
Il passaggio dall’aula, che è destinata ai fedeli, al presbiterio, che invece è il luogo deputato ai ministri di culto, è sottolineato in due modi, da un lato dalla presenza di un gradino, dall’altro lato dall’arco trionfale. Per quanto riguarda quest’ultimo si fa notare che non si è utilizzato il termine arcone trionfale che è quello che, di regola, viene impiegato per indicare gli archi che separano la sala dalla zona presbiteriale perché nel nostro caso l’accrescitivo, per così dire, della parola arco è proprio inappropriato essendo l’arco che conclude la navata di S. Maria delle Fratte più piccolo di quelli che la suddividono in campate, esso ha un raggio di lunghezza inferiore.
Quello in questione, comunque, ha dell’arcone trionfale due caratteristiche, la prima, la stessa da cui siamo partiti, di porsi tra l’aula e il presbiterio, la seconda, la sovrapposizione al suo colmo del cartiglio celebrativo della divinità, il “trionfo” delle entità celesti, qui della Madonna. Il diametro dell’arco è rapportato alla dimensione dell’altare e si spiega subito il perché: il setto divisorio tra lo spazio per i fedeli e quello per il celebrante delle funzioni religiose, diviso, a sua volta, in due pezzi che fanno da ali all’arco posto al centro, il vuoto che ha nel mezzo serve quale inquadratura dell’altare il quale se tale parete forata centralmente da tale “buco” non vi fosse apparirebbe un oggetto “spaesato”, poggiato lì, non integrato con altri elementi di arredamento del vano perché senza nessuna cosa, mettiamo il coro, al contorno, il nudo muro di fondo come sfondo.
Le due porzioni simmetriche della partizione muraria, le due spalle dell’arco trionfale, che divide la sala dal presbiterio nascondono alla vista dei partecipanti alle celebrazioni religiose i segmenti del muro terminale della chiesa spogli di qualsiasi arredo, fisso o mobile; se essi fossero stati visibili sarebbe stato necessaria almeno una ornamentazione murale, si fa per dire un progetto di interior design. Non è solita, va segnalato, una così netta distinzione, pur mancando la balaustra, tra aula e presbiterio, in genere tale differenziazione è meno marcata. Si è appena parlato di decisa cesura e subito lo si smentisce, per certi versi.
Sono contraddittorie, infatti, le due nicchie ricavate nella faccia che volge verso l’aula della parete che suddivide in due pezzi la chiesa, uno è ¾ della stessa e l’altro l’altro quarto, uno per ciascuno spezzone di muratura su cui si imposta l’arco trionfale. I fori nel muro sono stati richiusi, forse per non indebolire la struttura muraria, rimanendo la loro impronta; le statue, invece che essere collocate dentro questi, vengono poggiate su mensole in marmo adiacenti alle predette nicchie, una specie di prolungamento in avanti. Le statue sono quelle di S. Giovanni Evangelista e di S. Lucia che formano con la Madonna posta al centro, la quale, però, seppure allineata frontalmente sta arretrata rispetto alle prime collocata com’è sopra all’altare e per il medesimo motivo più in alto, la triade divina che si venera a S. Maria delle Fratte.
Ai due santi, situati, lo si ripete, lateralmente, non sono dedicati altarini i quali se ci fossero darebbero l’idea di una chiesa con 3 absidi, due avanzati e uno, il principale, arretrato. La si è buttata giù questa immagine nonostante si sia consapevoli dell’inappropriatezza di avere in un’architettura ecclesiastica a navata unica una triplicità di absidi, ad un’abside corrisponde, di norma, una navata. Rimanendo alle immagini, l’obiettivo della macchina fotografica che riprende la scena deve essere impostato in modo da restituire la “profondità di campo”, non un’immagine “schiacciata” in cui le 3 statue apparirebbero tutte e 3 sullo stesso piano, in primo piano.
Passiamo ora alla copertura del presbiterio che è a calotta, non si può certo chiamare cupola se non altro perché questa va impostata su una pianta circolare non quadrangolare come in questo caso, beninteso a meno che non si realizzino i pennacchi. Il “cielo” del presbiterio è un solido (mica tanto perché è un vuoto!) geometrico originale che possiamo definire una volta cupoliforme, una cupola compressa. L’ambiente in questione manca di una propria fonte di illuminazione, riceve luce dalla sala, non ha alcuna apertura aeroilluminante, neanche una fessura lucifera a mo’ di feritoia.
Pure per questa peculiarità il presbiterio è dissimile dall’aula: il primo è in ombra, la seconda è connotata da una grande luminosità. Il presbiterio è a una quota da un ideale livello del terreno più elevata di quella della sala come ci rivela l’esistenza del gradino. La continuità in orizzontale della terminazione della zoccolatura ci induce, al contrario, a credere che vi sia una altezza dal piano di campagna uniforme dei soliti 2 ambienti. Lo zoccolo non è scalettato e passa dallo spessore in verticale di un battiscopa, nel presbiterio, a quello di un basamento definibile così in quanto emergente dal filo del muro in modo che possa fungere da piedistallo nei punti dove sono impostate le lesene.
È una fascia, lo zoccolo, che cresce in altezza man mano che ci si avvicina all’ingresso e ciò ci avverte del fatto che la chiesa è in pendenza. Pende perché pende il suolo su cui ricade. Il presbiterio è sollevato poiché è ubicato sul lembo di terreno a monte di questo pendio. Per avere una superficie della pavimentazione piatta si sarebbe dovuto o rialzare il piano della sala o incassare quello del presbiterio, solo in questo modo sarebbe stato possibile data la morfologia del luogo che è acclive, moderatamente occorre precisarl
Francesco Manfredi Selvaggi641 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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