Le architetture ottocentesche troppo giovani per essere beni storici e troppo vecchie per essere idonee agli usi contem-poranei

di Francesco Manfredi-Selvaggi
I casi che esamineremo sono quelli di edifici rappresentativi presenti a Campobasso risalenti al XIX secolo che hanno adottato quale stile architettonico quello dell’eclettismo storicistico del quale se ne disconosce il valore. Vedremo pure il caso del carcere borbonico (Ph. F. Morgillo-Il muro del carcere)
Il “decennio francese”, siamo agli inizi dell’800, è stato fondamentale in Campobasso per 3 motivi, legati fra loro. Essa venne investita del ruolo di capoluogo di Provincia, la Provincia di Molise la quale era stata appena istituita (2 motivi insieme), con il conseguente ampliamento della città attraverso la creazione del Borgo Murattiano approvato dal governo “napoleonico” (terzo motivo). Questo nuovo quartiere era stato concepito secondo le regole urbanistiche fissate nel precedente “secolo dei lumi”; dunque strade larghe per assicurare l’arieggiamento e il soleggiamento delle abitazioni che vi prospettano e una notevole dotazione di verde pubblico per assicurare la salubrità dell’aria.
La forma dell’insediamento era ispirata ai precetti illuministici i quali però non trovarono una piena attuazione al di là dell’urbanistica nella realtà campobassana forse per la breve durata dell’esperienza governativa “bonapartiana”. Probabilmente fu a ragione del tempo ristretto che la “ragione”, il mito di pensatori come Voltaire e Rousseau, non si affermò in ogni campo; Non vennero create istituzioni culturali considerate essenziali dagli Illuministi ai fini della crescita della società, la triade costituita da Archivio, Biblioteca e Museo che sono i templi moderni della cultura. Solo l’Orto Botanico venne effettivamente realizzato, l’attuale giardino intitolato all’architetto Musenga il quale è l’autore del piano del Nuovo Borgo e dell’Ode a Cerere declamata all’inaugurazione di questo orto.
Bisogna aspettare l’Unità d’Italia perché il centro molisano si doti di queste importanti attrezzature per la cultura, il Museo Sannitico, la Biblioteca Albino e l’Archivio di Stato. Nel frattempo cioè durante la Restaurazione borbonica nonostante sia stato definito un periodo oscurantistico, venne costruito un modernissimo carcere figlio del pensiero riformatore settecentesco. La sua progettazione segue i dettami più avanzati dell’architettura penitenziaria ispirati all’opera di Cesare Beccaria “Dei delitti e delle pene” nella quale la prigione era vista più che un luogo di reclusione uno strumento per la redenzione del condannato. Lo schema compositivo è quello definito dal filosofo Jeremy Bentham nel 1794 imperniato sul Panottico, un torrino centrale da cui il guardiano, uno solo alla volta, poteva vigilare senza essere visto su tutti i detenuti che si sentono costantemente sorvegliati; un po’ il modello del Grande Fratello.
Da tempo si parla di una riconversione di questa struttura in un polo di attività socioculturali perché ha il pregio di trovarsi nel cuore dell’abitato, trasferendo il penitenziario fuori dall’ambito urbano. Esso viene considerato un generico contenitore disponibile per molteplici e intercambiabili usi, magari anche funzioni ricreative, puramente ludiche, le quali contrastano con il senso di questo posto, un posto di dolore; si è dell’avviso che in un eventuale progetto di restauro venga salvaguardato il “vissuto” dei reclusi continuamente sottoposti allo sguardo delle guardie carcerarie, la pena mentale, le condizioni di grande sofferenza in cui vivevano costretti, la pena fisica, in più persone in celle anguste, l’annoso problema ancora attuale del sovraffollamento delle carceri italiane.
Va, comunque, notato che nel dibattito in corso in città emerge sempre la consapevolezza che esso sia una significativa eredità architettonica, cosa che non è scontata per altri edifici ottocenteschi per i quali si fa fatica a valutarli secondo una prospettiva storica, una visione che li porti ad essere inclusi nel patrimonio artistico cittadino. Un suntuoso palazzo in stile eclettico qual è il Municipio meno di 50 anni fa è stato violentato costruendo una “protesi” vetrata per ampliare il numero di uffici da contenere. L’incongrua aggiunta alla casa municipale è il sentore di una mentalità che minimizza il valore delle opere dell’Eclettismo Storicistico.
Si riscontra, avvertendo che si sta passando da un tema specifico ad una problematica di salvaguardia più generale, che nella nostra nazione i monumenti nei fatti si distinguono tra maggiori e minori, i primi sono sottoposti a un regime di protezione più rigoroso; infatti nessuno si immaginerebbe che possa essere consentito l’innesto di un corpo “estraneo” come è stato fatto nel palazzo del Comune su, mettiamo, il Castello Monforte. La legge in materia non prevede tale suddivisione tra interesse culturale superiore e inferiore per le testimonianze del passato. Su questa questione è bene fare un inciso il quale è che se su tale punto, quello dell’uniformità del valore, la normativa non viene riformata continuerà ad essere impossibile stabilire un ordine di priorità negli interventi di restauro da effettuare; senza la gerarchizzazione, il lascito patrimoniale nazionale risultando vastissimo è difficilissimo da gestire compiutamente ai fini della sua conservazione.
Si contravviene frequentemente alla disposizione legislativa che equipara fra loro le “cose di interesse storico” applicando criteri più rigidi di tutela per gli episodi monumentali giudicati di qualità più elevata, mentre per quelli ritenuti ordinari per quanto riguarda la rilevanza culturale si adottano modalità per così dire semplificate o, altrimenti, soft di conservazione. Si adopera per questi ultimi la parola recuperare piuttosto che restaurare quando si definiscono i lavori che si effettuano su di essi. In definitiva l’inserimento di elementi spuri sulla sede comunale deve essere stato giudicato ammissibile perché attuato su un immobile di valenza secondaria nonostante che sia pur sempre il fabbricato di rappresentanza della “capitale” della regione, dunque dotato di una notevole aura. Una puntualizzazione in chiusura è che maggiore e minore, è scontato, non si riferisce alle dimensioni dell’immobile, nessuno potrebbe pensare che la Cripta dell’Abate Epifanio a S. Vincenzo al Volturno, poco più di una cappelletta, sia di pregio inferiore di qualsiasi altro monumento solamente perché di volumetria superiore.

Francesco Manfredi Selvaggi688 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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