Il Molise è fatto di tre vallate, due in comune con le altre regioni confinanti e una sola tutta sua

Una identità geografica che ai suoi lati opposti, il settentrionale e il meridionale, è in comune rispettivamente con
l’Abruzzo e la Puglia. Di autenticamente ovvero esclusivamente molisano vi è unicamente la valle del Biferno. Nel
tratto terminale di questo fiume vi è una distesa pianeggiante ampia oggetto in passato di lavori di bonifica
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Longitudinalmente il Molise è molto stretto, la linea di costa la quale segue la longitudine è di soli 36 chilometri, e questo è un primo dato da tenere a mente. Il secondo dato è che i confini con le realtà regionali, appunto, confinanti, sopra l’Abruzzo e sotto la Puglia, non sono linee di cesura nette, piuttosto fasce che hanno in comune le regioni contigue, sono valli fluviali e il fiume, ben si sa, si sposta una volta su una riva un’altra volta in quella opposta. Le vallate sono formate da strisce di terra separate dal corso d’acqua che stanno, al di qua, nel Molise e, al di là, in Abruzzo o Puglia; se si esclude la vallata del Biferno che è interamente molisana, il resto del territorio, che è, poi, la metà del totale, è in stretta correlazione appartenendo al medesimo bacino idrografico, da un lato, con quello pugliese e, dal lato
opposto, abruzzese, si intende le loro porzioni rispettivamente settentrionale e meridionale. Ciò fa sì che i connotati naturalistici siano gli stessi sulle due sponde, ancora rispettivamente, del Fortore e del Trigno, abbiamo svelato i nomi dei fiumi. Il bacino idrografico è un’unità geografica e nello stesso tempo, va da sé, un’unità ambientale e, quindi, il nostro territorio regionale condivide l’ambiente con quello pugliese in un angolo e quello abruzzese in un diverso angolo, ovviamente si tratta di due ambienti distinti e separati.
Con ciò non si vuol dire che il Molise non abbia proprie specificità il che confermerebbe il detto che il Molise non esiste, ma che è proprio questa forte relazione con le aree regionali limitrofe ad essere la sua particolarità; non è, in definitiva una terra residuale, neanche lo è la vallata del Biferno, stretta, stretta lo è davvero, tra Puglia e Abruzzo e perciò priva di autonoma identità, quasi fosse l’estremo lembo di queste due regioni le quali apparirebbero in tale modo confinanti fra loro. A tutto quanto detto si aggiunge che proprio nelle aree di transizione c’è la maggiore varietà ecologica partecipando a più sistemi naturali e il Molise è in tutti i sensi una «terra di mezzo». Non deve meravigliare, dunque, che da noi vi sia una ricchezza di ecosistemi e ciò è certificato dall’elevato numero di Siti di Importanza Comunitaria, quasi 100, qui censiti, elevato anche in confronto al resto dell’Italia la quale è peraltro la nazione europea più ricca di biodiversità. In base a quello che si è esposto in precedenza non ci si deve meravigliare di tale affermazione. Il problema è ora quello della conservazione dei SIC, peraltro, rimasti perché in passato, in un tempo, in verità, non troppo remoto, dovevano essere ancora più numerosi. Una perdita di ricchezza ecosistemica si è avuta a cavallo tra XIX e XX secolo a causa della Bonifica la quale ha comportato la scomparsa quasi totale delle “zone umide” con i boschi igrofili o meglio la boscaglia che coprivano vaste superfici del Basso Molise.
Rimaniamo in questo distretto territoriale e all’azione di “redenzione delle terre” messa in atto in quel periodo e riscontriamo che il paesaggio rurale e, di conseguenza, l’ambiente di questa zona ha subito un radicale rivolgimento, non ha più la fascia costiera il suo assetto originario. Il comprensorio sub-regionale che è stato oggetto di più profonda trasformazione è stato proprio quello interessato dalle opere di bonifica. Se in precedenza era una selva paludosa che in quanto tale rappresentava un contesto paesaggistico “confuso”, una serie di patch fatti di macchie alberate e di
stagni oppure pantani, l’Alto e il Basso, il massimo dell’irregolarità ovvero del disordine, in seguito alla bonificazione dei terreni diventa, percettivamente parlando, il luogo con il massimo di regolarità ovvero di ordine.
Si sarà notato che siamo passati dal tema dell’ambiente a quello del paesaggio e proseguiamo trattando di questo il quale, comunque, non è tanto lontano dall’altro. Al disboscamento e alla canalizzazione delle acque stagnanti per favorire il deflusso sopravviene la parcellizzazione del suolo, alla Bonifica succede la Riforma, ambedue agrarie. Il carattere dominante sotto l’aspetto della percezione è ora, specialmente allora, la regolarità, il disegno dei campi con la suddivisione dell’agro in poderi che è uniforme. Si ha quasi una omologazione dei quadri visivi che si susseguono uguali fra loro per l’intero circondario del Molise costiero. La geometria nell’organizzazione territoriale è costantemente frutto di una pianificazione, appunto l’appoderamento, pure se un tracciato geometrico nelle campagne lo si ritrova nelle “quotizzazioni” effettuate a fine ‘800 delle estensioni forestali comunali per ricondurre a coltura, previa l’eliminazione del bosco, i terreni divisi in quote paritarie. Esempi più antichi, nei quali ad ogni modo, non c’è traccia di piano, di lottizzazione dei coltivi, la si coglie anche nella scansione in sottili “lenze”, strisce di terra, di un appezzamento agricolo contiguo ad un corpo idrico in modo che ciascuna di esse sia bagnata dal rivo. Lo “Spirito di Sistema” cartesiano cerca di ordinare il mondo, inquadrando in schemi razionali e così disciplinare la natura.
In copertina foto di F.Morgillo “Il fiume Tappino nei pressi di Toro”
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