I tanti modi di intendere il territorio rurale

Rurale generalmente si associa ad agricolo, ma vi sono anche altre accezioni di questo termine da quella di Zona
urbanistica a bassissima intensità edilizia (il famoso 0,03 mc/mq) a quella di ambito neutro e pertanto disponibile,
mettiamo, per allevamenti zootecnici intensivi i quali oscillano tra attività produttiva e attività agroindustriale fino a
quella recente di “area idonea”, definizione di legge, per l’installazione di impianti energetici (eolico e fotovoltaico)

di Francesco Manfredi-Selvaggi

La storia è andata così: alla fine del XVIII secolo si è registrata un po’ in tutta Europa una consistente crescita della popolazione e così è stato necessario estendere le colture cerealicole, anche sacrificando i boschi, per dare da mangiare al numero crescente di persone. È stato un processo esponenziale quello dell’incremento delle superfici agricole poiché  aumentando la base demografica sale la quantità di manodopera da impiegare in agricoltura. Addirittura la forza lavoro presente diviene eccedentaria con l’avvento della meccanizzazione delle operazioni agronomiche. Per misurare l’andamento del settore Primario non ha più senso utilizzare quale indice il quantitativo di addetti alle attività colturali.

Da qualche tempo, in verità, non è un indicatore di prosperità economica neanche la SAU, superficie agricola utilizzata, le politiche comunitarie recenti incentivano il set aside, la messa a riposo dei campi, peraltro contraddittoriamente a quanto si era sostenuto in precedenza con il programma europeo Quadrifoglio che spingeva alla massimizzazione della produzione. La campagna si è così, parzialmente beninteso, sollevata dal peso di dover produrre cibo e resa disponibile per altri usi, diventando, immaginificamente, un campo di atterraggio di nuove proposte economiche. Tra queste vi è la realizzazione di impianti fotovoltaici i quali occupando svariati ettari dell’agro regionale creano preoccupazione per il Consumo di Suolo che si determina. Meno significativa è l’impronta a terra, il footprint che però è un concetto più
ampio di quello di semplice orma, distinzione sulla quale qui si sorvola, degli impianti eolici. Non sono unicamente tali presenze a cambiare i connotati del paesaggio rurale e la sua stessa natura, le centrali di energia alternativa che sono fatti innovativi si aggiungono a occupazioni del suolo classiche, ma anche “distorsioni urbanistiche”. Di fronte agli stabilimenti zootecnici, porcilaie, capannoni avicoli, ecc. si rimane perplessi se attribuire ad essi la qualifica di insediamento agricolo oppure industriale perché il loro rapporto con la terra , intesa come suolo da coltivare, è labile, il cibo per gli animali spesso non è prodotto in loco, questi lunghi fabbricati prefabbricati, non è un gioco di parole, per la zootecnia potrebbero essere collocati anche, al limite, nelle Zone D dei Piani Regolatori, le zone industriali, l’unico legame con i fondi agricoli sarebbe quello di utilizzarli per lo spandimento del letame; fanno parte, in genere, tali allevamenti intensivi di filiere di livello extraregionale con il mangime che viene fornito dalla “casa madre” la quale
mette in vendita i capi di bestiame macellati con il suo marchio aziendale. Come si vede il rapporto con la realtà terriera è davvero minimo. Si rimane nel medesimo tema per evidenziare che nella redazione degli strumenti di pianificazione nell’assegnare la destinazione d’uso alle aree extraurbane si fa poca attenzione, il piano è fatto da architetti e ingegneri, alla vocazione precipua dei terreni non escludendo dall’edificabilità quelli che presentano superiori potenzialità agronomiche, cosa che dovrebbe essere valutata da un agronomo. Gli ambiti privilegiati per l’ubicazione dei Piani per gli Insediamenti Produttivi si verifica, di regola, che siano le superfici piane, di fondovalle, valli fluviali e perciò facilmente irrigabili, nei trattati di agronomia i terreni migliori. È in tema, ovviamente, anche l’espansione residenziale dei centri urbani che avviene come è scontato che sia al contorno degli abitati, lì dove vi era tradizionalmente la cintura degli orti sacrificando questi a favore della fabbricabilità; viene eliminata per far posto alle case la fascia suburbana dove vi sono colture di pregio, quelle orticole. A Campobasso, poi, la “campagna campobassana” famosa per i prodotti della terra ha lasciato il posto a una sorta di villettopoli, classificata ufficialmente “insediamento abusivo”, diventando un comprensorio semiurbanizzato. Abbiamo fatto non pochi passi in avanti nel ragionamento che ci ha portato a riconoscere un interesse economico ridotto in confronto ad epoche passate per le attività colturali per cui può essere ammessa la “rifunzionalizzazione” del territorio rurale, ma ora ne dobbiamo fare uno indietro, uno solo e però, lo si avverte decisivo.

Consentendo che vi possano, figurativamente parlando, planare iniziative miranti all’utilizzo di quell’area di qualsiasi tipo anche eterodosse rispetto a quelle agricole si viene a considerare implicitamente la superficie agreste come uno spazio vuoto che può essere, rimanendo nella metafora, riempito con interventi rientranti nei settori Secondario e Terziario, non necessariamente in quello Primario. Ritornare sui propri, quelli dell’autore del presente scritto, passi significa ammettere che la visione agronomicista non è l’unico punto di vista plausibile, ce n’è un altro che è il seguente: la campagna, quella tradizionale, è un luogo ricco di notevoli qualità ambientali che i metodi di coltivazione di un tempo hanno saputo valorizzare per cui occorre sostituire al paradigma economicista quello ecologista e quindi tendere a recuperare i valori naturali dell’agro.

Foto di copertina: Ph. F. Morgillo – Un tratto della campagna del medio Molise

0 Comments

Lascia un commento

Login

Welcome! Login in to your account

Remember me Lost your password?

Lost Password