Susy Scardocchia: “Mio padre mi ha insegnato il rigore e la disciplina”

Il mese scorso è stata data alle stampe la definitiva biografia del più grande giornalista italiano del ‘900.
Titolo “Gaetano Scardocchia, La grande lezione di un maestro di giornalismo” (IBC Edizioni HUMUS). Per l’occasione l’autore del libro, Giuseppe Tabasso, ha chiesto alla figlia di Scardocchia, residente in Spagna, un ricordo del padre che è stato letto alla presentazione del libro presso il Comune di Campobasso e che siamo felici di pubblicare.
“Mio padre mi ha insegnato il rigore e la disciplina” – Susy Scardocchia
Sono passati più di trent’anni da quel 17 novembre. Ricordo come se fosse ieri, la telefonata di Mamma, quando
mi disse, siediti, ti devo dire una cosa importante. Ho riflettuto a lungo sul significato di questo arco di tempo, e come
chiamarlo: è trascorsa una vita? (o più di una vita? come per gli artisti del Club 27 che apprezzo molto – Jim Morrison,
Janis Joplin, Kurt Cobain – o mezza vita? O meno di mezza vita, come per mio padre, che scomparve a 56 anni?
E cosa significano 30 anni per me? Ho vissuto più anni senza mio padre che con lui, soprattutto anni da adulta,
considerando che io ero già adulta – anche se molto giovane – nel novembre del 1993. Ho preso tutte le decisioni
importanti, quelle che mi hanno portato ad essere la persona che sono adesso, dopo la sua morte. Ma ho veramente preso queste decisioni senza di lui? Cioè: in sua assenza? Non credo. In realtà, e sembra banale, le parole di mio padre mi hanno guidato in ogni mio gesto, da allora.
Io non ho scelto il mestiere di giornalista. Magari le cose sarebbero andate diversamente, se mio padre ci fosse stato
più a lungo. Sta di fatto che sono diventata avvocato, e poco più di vent’anni fa, quando sono arrivata all’EUIPO,
organizzazione comunitaria in Spagna che rilascia i marchi dell’Unione Europea, ho, anch’io, cominciato a scrivere
professionalmente. Orbene, io non scrivo articoli ma decisioni giuridiche, ma provo a farlo applicando gli stessi principi a lui cari, con una struttura il più possibile chiara e sintetica, poche parole ma buone, evitando discorsi inutilmente prolissi.
Tornando a mio padre, le sue parole, dette nella sua voce, occupano, nei miei ricordi, un posto fisso, d’onore. Tuttavia,
non sono in grado di ripeterle letteralmente, anche se posso riassumerne l’essenza. Mio padre mi ha insegnato il rigore e la disciplina, in genere dandone lui il buon esempio. In secondo luogo, insisteva spesso che era necessario, nella vita, rimanere fedeli a sé stessi. Ed infine – e qui riprendo un principio ben noto a coloro che hanno avuto la fortuna di lavorare con lui – teneva molto alla propria integrità professionale.
È proprio l’integrità professionale la qualità di mio padre di cui mi sento maggiormente orgogliosa. Con il senno di poi posso dire che questa sua qualità era, e continua ad essere, fuori dal comune, sia nel giornalismo (che conosco solo dall’esterno, essendone meramente assidua consumatrice), sia nel mio mondo del diritto dei marchi.
Nel corso della mia carriera professionale, forse come implicito omaggio a mio padre, ho cercato anch’io di agire sempre con integrità. Può darsi che sarei arrivata più in alto, o che ora sarei famosa e guadagnerei più soldi, se non l’avessi fatto. Forse si può dire lo stesso su mio padre. Comunque, resta il fatto che mio padre mi manca, anche a distanza di tanti anni, e quanto mi dispiace non avere colto l’opportunità di porgli domande quando ancora era in vita. La maggior parte di queste domande resteranno, per sempre e purtroppo, senza risposta. Per fortuna però alcune risposte ci sono, leggendo tra le righe, nei suoi articoli.
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