Una bonifica agraria fronte mare

A differenza della grande bonifica della pianura pontina che si protrae anche all’interno quella molisana è in gran parte prospiciente la marina. E così nella zona costiera c’è di tutto, per la nascita degli insediamenti industriali per lo sviluppo residenziale dei centri abitati per l’installazione di attività turistiche

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Anche le aree della bonifica, apparentemente immobili, hanno avuto una evoluzione nel tempo, in un tempo che seppure breve, appena 100 anni appena, ha visto modificarsi il territorio bonificato in maniera per certi versi significativa. Bonificare ha significato ridisegnare il sistema idrografico bassomolisano in precedenza caratterizzato dalla presenza di estese paludi, emblematici sono i toponimi Pantano Alto e Pantano Basso. L’idrografia a seguito dell’azione della cosiddetta “redenzione delle terre” viene ad assumere la forma di una rete, non più ristagni d’acqua, che in quanto tale è costituita da segmenti che si incrociano perpendicolarmente fra loro, niente di più “cartesiano”. L’esprit de geometrie teorizzato dal filosofo francese ha il sopravvento sulla natura selvatica, la boscaglia e gli acquitrini che coprivano in passato queste lande disabitate. Nessuna cosa è immutabile, neppure, lo si è detto all’inizio, l’immagine delle zone della Bonifica dove man mano la trama paesaggistica pur rimanendo regolare si fa a maglie larghe, non minute come prima per via dell’abbandono dei poderi da parte di tanti coloni; essa viene riassorbita da quella classica del paesaggio agreste della nostra regione in cui vi è una spinta differenziazione nella dimensione delle parcelle colturali, non appezzamenti di dimensione uniforme. Non si conservano più i canali di scolo nel comprensorio bifernino rendendo obsoleta l’idrovora posta sul litorale di Campomarino e neanche quelli di irrigazione la quale ultima ormai la si effettua con impianti a pioggia o “goccia a goccia”. Bisogna dire che qui da noi oggi non ci sono più terre da bonificare, ulteriori superfici da recuperare per destinarle all’agricoltura, né nel Basso Molise né altrove. Per conquistare nuovi terreni agricoli si è fatto di tutto in passato, fino a tutto il XVIII secolo abbattendo foreste, ce lo
racconta Galanti per quanto riguarda il Matese, con un generale ravvedimento nel secolo successivo per paura di innescare frane, quasi dando retta alla lamentela in proposito di Cuoco, e anzi si procedette a effettuare alcuni rimboschimenti. Dopo, nel secolo scorso, per aumentare l’estensione della superficie agraria invece di togliere i boschi si decise di, per l’appunto, bonificare i terreni acquitrinosi. Le bonifiche, quindi, furono successive ai disboscamenti quasi che non ci fosse più niente da disboscare. Ambedue, le foreste e le pianure alluvionali, erano territori vergini, non sfruttati dall’uomo e, peraltro, scomparsi questi non rimane alcun tratto dell’ambiente originario del Molise.

La bonifica ha riguardato anche le piane interne della regione attraverso i Consorzi di Bonifica Montana, vedi quello che aveva sede a Bojano, con l’identica finalità di prosciugamento del suolo per ricondurlo all’uso colturale. È essenzialmente oltre che, di certo, il quantitativo idrico la grandezza dell’areale a differenziare la bonifica che ha interessato le conche vallive dell’entroterra molisana da quella eseguita nella fascia prospiciente la costa. Non è l’ubicazione si vuole dire che sia l’elemento decisivo che porta a distinguere le due bonifiche, lo si ripete quella del circondario costiero e quella avvenuta nelle pianure infraregionali; sarebbe stata una discriminante fondamentale, al di là dell’ampiezza, la sua posizione contigua alla marina se fosse funzionale al trasporto via mare delle produzioni agricole. Può sembrare ciò un’osservazione priva di significato ma non lo è affatto se si pensa alla priorità assegnata nella realizzazione delle strade ferrate in Molise alla ferrovia Campobasso-Termoli la quale era funzionale al convogliamento dei cereali dal Medio Molise, di cui Campobasso è il polo, l’ambito sub-regionale granaio d’eccellenza storicamente della regione, al porto, all’epoca chiamato significativamente caricatoio, della nostra cittadina adriatica. I conti, però, ancora non tornano, c’è qualcosa che manca nella comparazione tra le aree di bonifica che stanno arretrate e quelle che stanno avanzate ovvero vicine e lontane dalla costa; il confronto sarebbe monco se si trascurasse di esaminare quali sono le piante, guarda un po’, impiantate. Pure per questo aspetto la distanza, adesso non fisica, è notevole. Non nel senso, comunque, che il nostro paesaggio si sia particolarmente arricchito di varietà colturali, sia diventato più ricco di specie vegetali agricole in quanto la maggioranza delle piantagioni che si trovano nel territorio bonificato del Basso Molise le si incontrano anche in giro per il resto della regione è solo che qui, nella “bassa”, si tratta di coltivazioni specializzate mentre là (che sta per altrove) esse non sono in genere monospecifiche, si affiancano ad altre essenze vegetali dell’agricoltura nostrana, che è, poi, l’associazione tipica della “coltura promiscua”, il contrario
della monocoltura. Innanzi alla Bonifica coltivazioni intensive da noi non esistevano, i pomodori, vedi il rinomato “pomodorino di Montagano”, nelle campagne molisane di un tempo cresceva nei vigneti della Tintilia non in orti dedicati esclusivamente a essi e tanto meno in campi a sé stanti.

Un’annotazione finale che non si può non fare è che nell’ampia distesa pianeggiante dell’alto Biferno non si è riuscita a
realizzare un impianto d’irrigazione nonostante che il perimetro del locale Consorzio di Bonifica coincidesse con il perimetro delle acque scolanti di tale conca intermontana posta tra l’Appenino vero e proprio e il «piccolo appennino», il Matese e la Montagnola, una immensa riserva idrica.

Foto di copertina di F. Morgillo-Paesaggio agrario bassomolisano

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