Bojano, episcopio fuori porta

Quando ci fu bisogno di costruire la sede della residenza vescovile lo spazio intorno alla cattedrale era già saturo.
L’unico lotto libero era quello dove si insediò il feudatario. C’è un legame stretto tra il palazzo feudale e il duomo
che in precedenza aveva l’ingresso fronteggiante proprio quello dell’edificio baronale

di Francesco Manfredi-Selvaggi

È come se il vescovo fosse arrivato in ritardo, battuto sul tempo dal feudatario nell’occupazione del sito prossimo alla cattedrale, per realizzare qui il proprio palazzo. Un ritardo notevole se si considera che anche la sede feudale deve essere stata trasferita a valle dal castello di Civita Superiore in età non troppo remota. Infatti il titolare del feudo sceglie di installarsi in città e non rimanere arroccato sull’altura solo alla fine del medioevo con il cessare durante il dominio aragonese delle esigenze difensive che richiedevano l’arroccamento. Un’altra ipotesi, alternativa alla precedente, è che il duomo all’inizio, cioè nel periodo paleocristiano, non era poi una chiesa di valenza tanto superiore alle altre. Ciò è perché non era ancora così importante la figura del vescovo, lo diventerà con la Controriforma la quale gli assegnerà funzioni decisive, non di un semplice pastore di anime come il resto dei preti bensì di un rappresentante dell’autorità ecclesiastica. Si è di fronte ad una gerarchizzazione spinta della “squadra” dei “ministri di Dio”, un rafforzamento dell’organizzazione della Chiesa Cattolica per far fronte alla sfida lanciata dalla Riforma Protestante.

Il vertice della struttura clericale su base diocesana in definitiva non aveva ancora una riconoscibilità forte nella società di quel tempo ante Concilio di Trento. Da qui ne deriva che non si sentiva la necessità di una sede di rappresentanza per il vescovo da collocarsi nel cuore della città. Il posto che occupa la chiesa di S. Bartolomeo dove officia i riti religiosi il vescovo se è di prestigio perché centralissimo non lo è, comunque, per tale presenza quanto piuttosto, oltre che e soprattutto per la centralità predetta, per la contiguità alla dimora dei signori della contea, venendo ad essere intesa, in qualche modo, quale cappella palatina seppure non proprio una cappella privata. Siffatto modo di sentirla dovette, di certo, essere incrementato allorché un componente della famiglia feudale dei Pandone divenne vescovo di questa diocesi. La cattedrale come il palazzo comitale sono in una posizione focale dell’agglomerato insediativo mentre la residenza vescovile a giochi ormai fatti, esauriti gli spazi liberi nel polo urbanistico il quale si era ormai saturato, non potendosi l’episcopio accontentare di un eventuale angolo residuale nel baricentro dell’abitato, fu costretto ad accettare di stabilirsi in una zona periferica. Fu una specie di esilio a ovest del nucleo antico ai margini delle mura urbiche, in prossimità di una porta cittadina, Porta Torre. In questo sito non manca, comunque, la vicinanza con una chiesa che è quella di S. Erasmo, bella, antichissima ma di dimensione contenuta, il quale ultimo è un requisito evidentemente fondamentale per un edificio di culto annesso ad un palazzo vescovile. Non c’era altro suolo a disposizione, le uniche particelle di terreno “avanzate”, disponibili erano all’esterno della città; del resto l’intera serie dei fabbricati religiosi bojanesi, in ordine da S. Biagio a S. Maria del Parco allo stesso duomo ad appunto S. Erasmo a S. Nicola al Purgatorio a S. Maria dei Rivoli stanno al limite del borgo. Quando si ebbe l’avvento del cristianesimo, in altri termini, l’insieme dei lotti urbani era già riempito da volumi edilizi. Si è trattato, l’insediamento vescovile, di un adeguarsi alla realtà dei luoghi: la piazza, la quale è una componente urbanistica ricorrente di fronte all’ingresso dell’episcopio, è in pendenza perciò scomoda, una superficie poco idonea per lo svolgimento di manifestazioni cultuali, dato che su di essa affaccia pure S. Erasmo, come potrebbero esserlo l’uscita di una processione, l’arrivo di un funerale, l’impartire benedizioni alla comunità dei fedeli. Al contrario lo slargo fronteggiante la cattedrale è in piano e sta a metà tra piazza e sagrato.

Si segnala quale punto di dubbio che è strano che in una città di pianura proprio l’area antistante la magione del principale esponente del potere religioso sia in pendio mentre tutte le architetture sacre, elencate prima, di questo centro prospettano su terreni pianeggianti. Il distretto urbano assegnato, o altrimenti acquisito, al vescovo si rivela, pur ampio, nel tempo insufficiente come rivela la dislocazione del seminario diocesano, solitamente collegato alla curia vescovile, altrove, lungo il corso del Calderari, ma si sa i seminari sono di età tarda, fondati da S. Carlo Borromeo nel 1600. La disposizione del suolo su più isoipse impedisce la realizzazione di un isolato dedicato su un’unica curva di livello. Non è solo questa la ragione per cui la “casa” del vescovo si presenta disarticolata in distinti corpi di fabbrica posti a quote differenti, c’è dell’altro. A determinare tale frammentazione volumetrica vi è pure sia il processo di crescita per blocchi successivi del palazzo, per tale varietà di manufatti edilizi è appropriato utilizzare il termine complesso palazziale, sia la circostanza che non sono costruzioni ex novo bensì riattamenti di preesistenze edilizie.

Da ciò deriva la disorganicità della forma, l’assenza di una configurazione definita se non in un lato, quello di Largo Episcopio. Qui per l’esigenza di omogeneizzazione dell’immagine e di continuità funzionale vi è una teoria di finestre che corre anche sul prospetto di S. Erasmo dove corrispondono, all’interno, ad un soppalco nella parte anteriore della chiesa. Il palazzo non ha un portale rappresentativo, ma una pluralità di porte corrispondenti alle sue varie sezioni; il portone “d’ordinanza” è costituito da un cancello che introduce ad un cortile “di rappresentanza” dal quale, mediante una scala esterna il cui lungo ballatoio di smonto assomiglia a un loggiato, si accede alla dimora episcopale. Non si può neanche dire che vi sia una stretta coerenza tra ciascuna di queste fabbriche formanti la “cittadella vescovile” e tra queste e la loro specifica destinazione d’uso come potrebbero essere la sala delle udienze, lo studio del vescovo, l’amministrazione, gli alloggi per i canonici, ecc.; non vi è un disegno unitario.

(Nella foto il cortile del Palazzo vescovile a Bojano)

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