Gli “Angoli remoti” di Liliana Nobile

Esce per Bertoni Editore la nuova raccolta della poetessa siciliana

di Roberto Russano

Liliana Nobile affida ai suoi versi, che danno vita alla raccolta intitolata Angoli remoti, un pathos esistenziale frutto di una formazione filosofica e di una sensibilità contemporanea: la coscienza che «la vita ha tempo e consuma» (Fine di un sogno) e non è mai pura constatazione, ma impulso a interrogare la fragilità del vivere. Qui il dialogo con autori come Hölderlin e Trakl, amati dall’autrice, emerge come sottofondo nella tensione fra lacerazione e ricerca di un varco di senso.

In questa raccolta, allora, gli angoli remoti non sono soltanto geografici, ma interiori: zone d’ombra e di luce in cui la poesia si fa esercizio di memoria, ascolto di presagi, apertura verso l’altro. È questa la cifra più autentica della poetica di Liliana Nobile: unire la densità del vissuto personale a un orizzonte più ampio, in cui il Mediterraneo, il viaggio e la memoria diventano luoghi simbolici dell’umano.

Nei suoi versi l’autrice esplora differenti aspetti della nostra cultura, valorizzando la natura composita del paesaggio dei sentimenti, conducendoci dentro un paesaggio mediterraneo inteso non solo come scenario geografico, ma come spazio culturale e spirituale.

I luoghi evocati nella silloge – Tunisi, Favignana, Palermo, lo Stretto di Scilla e Cariddi, persino l’Irlanda – non sono semplici coordinate topografiche, ma paesaggi interiori, spazi che si affacciano sul mare. Il mare stesso si fa metafora: talvolta abisso di perdita e nostalgia, talvolta promessa di apertura e dialogo, come nel colore della bandiera europea, «che, pur tra onde / incerte, ci invita a navigare». Non sfuggirà che il riferimento al Mediterraneo richiama la riflessione di Franco Cassano, il quale nel Pensiero meridiano lo ha delineato non come confine, ma come ponte di civiltà.

Il viaggio, nei versi di Nobile, non è mai fuga, ma esperienza trasformativa: «Il viaggio finisce / tra le cose conosciute / e l’avvenire che s’appresta / ad alti voli…». È un cammino che, come in Ungaretti o Quasimodo, porta con sé memoria e inquietudine, fino a risolversi in immagini di «giorni scarni / e assetati d’avvenire».

In altre poesie, la parola poetica si confronta con la fragilità della condizione umana e il tentativo di comprendere dinamiche sociali.

I luoghi contribuiscono a creare immagini evocative, a esprimere stati d’animo e impressioni che riflettono emozioni taciute, le quali trasformano il luogo reale in simbolo dell’esperienza soggettiva modellata dalle storie e dalle esperienze di chi le ha vissute in prima persona.

In particolare, in Ritorno da Tunisi il ricordo personale si intreccia con la storia di una comunità, e le vicende individuali si legano alla percezione degli esisti della Primavera Araba.

Ma il Mediterraneo non è solo scenario di memorie: è anche spazio mitico e archetipico.

In Favignana, le rocce e le acque custodiscono approdi dimenticati e desideri insondabili, mentre il gesto di «disfare il disegno continuato / da orditi e trame di storia» evoca la Penelope omerica, custode di un tempo sospeso, e al contempo si riflette nell’odissea contemporanea di chi cerca senso nei propri viaggi interiori. Ulisse e Penelope riaffiorano così come figure segrete della raccolta, segni di un Mediterraneo che non è solo luogo geografico, ma mito vivente, memoria che resiste e ritorna.

In questa stessa prospettiva si colloca Ottobre a Palermo, dove il paesaggio autunnale della città diventa specchio di contrasti: la bellezza luminosa della pioggia e del mare si intreccia con l’immagine caotica dei mercati e delle vie. La città appare come un «altare multiforme», luogo insieme sacro e disordinato, capace di accogliere la vita nei suoi eccessi e nella sua fragile armonia. Natura e umano convivono in un equilibrio instabile, che è però la cifra autentica di Palermo: città che muta e resiste, come il Mediterraneo che la circonda.

Nella poesia Inquietudine del mare, Liliana Nobile scrive: «nulla trovo / da aggiungere ai fiumi di chiacchiere / defluiti nel mare della vita», sottolineando la necessità di mirare all’essenziale e di non perdersi in discorsi vacui. La sua attenzione si concentra su temi di carattere civile, senza trascurare altre corde che assumono rilievo: le donne, l’arte, il mito, ma anche l’inquietudine, l’assenza, l’amore, un viaggio quest’ultimo nei sentimenti più profondi e contrastanti.

Scrivere diventa così anche un atto di denuncia sociale.

La condizione femminile in alcune aree geografiche, segnata da segregazione e sottomissione, appare come un destino di oppressione che impedisce di scardinare retaggi culturali e di andare oltre il muro di un maschilismo cieco. Restano allora soltanto i sogni di libertà, evocati nel titolo emblematico di una poesia che racconta una realtà difficile da trasformare.

Ma a ben vedere, neppure l’Occidente è immune: la furia omicida che ha ridotto Sarah Scazzi a un «simulacro di esistenza» – come è accaduto ad altre donne cancellate dalla violenza – testimonia come la cronaca quotidiana confermi che i sogni di bambina vengono ancora spenti.

In questo solco si colloca anche la poesia Donne, in cui il verso «scrivo un verso per raggiungervi / nelle case, nelle strade, nel lavoro» mette in luce un legame di solidarietà femminile fondato sul riconoscimento reciproco: il coraggio, pur fragile, si trasforma in forza condivisa e le donne appaiono finalmente «sottratte all’ombra». Qui risuona un’eco che richiama le pagine di Virginia Woolf, quando rivendicava uno spazio tutto per sé, ma anche le voci poetiche contemporanee che, come quella di Mariangela Gualtieri, vedono nella parola un corpo vivo, capace di dare forma a una comunità invisibile ma presente.

Anche l’attenzione all’ambiente rientra in questa prospettiva civile: in Piove, il sole «illumina l’abbandono / aggravato dall’inedia – dalla volontà / di lasciarsi andare – e dall’incuria», sottolineando come la responsabilità collettiva si estenda non solo alle persone ma anche al mondo che abitiamo.

Le poesie d’amore di Liliana Nobile non mirano tanto a celebrare la persona amata, quanto a esplorare la natura stessa del sentimento, fragile e mutevole. L’autrice – come si legge nella poesia in copertina – riconosce che l’amore può finire o trasformarsi: nell’eventualità di una separazione scrive «Custodirò i nostri momenti se non t’incontrerò più», lasciando aperto, in quel “se” non preceduto da una virgola, un lieve margine d’incertezza, un accenno di possibilità non del tutto esclusa.

In Padrone di niente, invece, l’accettazione è netta: «È per me meglio / averti nella scatola / delle cose perdute / che non averti mai trovato». Il ricordo si cristallizza come memoria d’archivio, assumendo il valore di esperienza che, pur conclusa, resta necessaria. L’amore non ha qui nulla a che vedere con l’ars amatoria che rende gli amanti resilienti, ma si avvicina piuttosto alla concezione di Fromm, per cui, nella poesia L’arte di amare, è «nutrimento e cura». Così, in Dell’amore, la voce poetica si interroga: «“Che cos’è l’amore?” / Domanda a cose fatte. / È un regalo disatteso / che non sai / come custodire», restituendo l’immagine di una bellezza effimera, destinata a sfuggire ma anche a lasciare tracce sottili, come il vento sul mare. In Rovine di un amore, il sentimento appare come una costruzione crollata: «torre imponente e fragile», rifugio un tempo sicuro, ridotta ora a macerie. Eppure, tra i detriti, sorge «una promessa che germoglia», segno che la fine non coincide con la morte ma può aprire alla rinascita. La poetessa riesce così a trasformare il dolore in occasione di crescita, secondo un processo che ricorda la catarsi tragica.

Anche in Venere e Marte, prima classificata alla XII Edizione del Premio Nazionale di Poesia “Elvezio Petix” (2012), l’amore si confronta con la dialettica degli opposti: «un dio sedotto / dalla veste languida / di una femminilità sublime» e, al tempo stesso, la tensione delle «belligeranze cortesi». È qui che la poesia trova un equilibrio di forme, proprio come nell’opera di Botticelli evocata nei versi, dove l’armonia resiste pur dentro al contrasto.

In una delle quattro sezioni in cui si articola la raccolta, intitolata Logografia, troviamo la poesia che dà il titolo all’intera silloge, Angoli remoti. Qui la voce poetica scava negli interstizi dell’anima, dove si annidano silenzi, solitudini, dolori ma anche slanci ed entusiasmi: un vivere «sul filo sottile dell’esistenza», che rivendica la necessità della poesia come respiro vitale, contro un quotidiano spesso ridotto a «magre gioie e troppe preoccupazioni».

Non ultimo, emerge con forza il tema della presenza e dell’assenza, che si intrecciano alla consapevolezza del tempo e della memoria, come leggiamo nella poesia Il segno:

«Scrivendo, si accarezza con la penna
la speranza dell’eterno
che ci divora minuto dopo minuto,
e l’anima, nutrita d’affanni infiniti,
si dibatte per non farsi inghiottire…»

In questi versi, la scrittura diventa pratica di resistenza: un tentativo di lasciare un’impronta, di restituire senso al vissuto che altrimenti rischierebbe di dissolversi nell’ordinarietà e nel tempo che scorre senza tregua. La poesia, allora, non è semplice ornamento, ma strumento per afferrare ciò che è fragile e fugace, per comprendere sé stessi e il mondo circostante.

In quest’ottica, la raccolta sembra incarnare quanto sosteneva Rainer Maria Rilke, secondo cui la poesia rappresenta “la maniera più alta di esperire la vita”: non un accessorio dell’esistenza, ma la forma più intensa di partecipazione e di empatia. In Angoli remoti, la parola poetica diventa così mezzo per tracciare segni nell’eterno, lasciando il lettore con la percezione di quanto sia preziosa e necessaria la scrittura per misurarsi con la complessità dell’essere umano.

BIOGRAFIA:

Liliana Nobile, autrice e docente, è originaria dell’agrigentino. Ha studiato Filosofia all’Università di Palermo, dove ha conseguito anche il Dottorato di ricerca, svolgendo parte dei suoi studi all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, come allieva di Jacques Derrida. Ha pubblicato saggi sul pensiero filosofico del Novecento in riviste e volumi accademici, oltre a monografie quali Derrida e Husserl. L’enigma del Presente vivente (Messina 2006), Democrazie senza futuro (Milano 2012) e La sapienza della vita (Milano 2012). Nel 2010 ha esordito nella narrativa con il romanzo Le donne di Klimt (Palermo 2010). Parallelamente si è dedicata alla poesia, ottenendo numerosi riconoscimenti. La silloge La purezza del Giglio (Milano 2011), pubblicata come premio per il secondo posto alla XV Edizione del Premio Letterario Internazionale Jacques Prévert, ha segnato il suo esordio poetico. Con la raccolta inedita Angoli remoti (Perugia 2025) ha vinto la III Edizione del Premio Letterario Nazionale di Calabria e Basilicata. Alcune sue poesie sono state recitate durante la VII Settimana della Lingua Italiana nel Mondo (Asmara, 2007), promossa dal Ministero degli Affari Esteri e dall’Accademia della Crusca, e altre sono state pubblicate in antologie e raccolte collettive.

Cultore presso la cattedra di Storia della filosofia all’Università e docente di Lettere a Palermo, sua città elettiva, ha maturato esperienze di ricerca e lavoro in diverse città europee ed extraeuropee. Attualmente insegna Lingua e Letteratura italiana a Tbilisi; la sua nomina da parte della Direzione Generale per la Diplomazia Pubblica e Culturale della Farnesina si inserisce nel più ampio quadro del Sistema della Formazione Italiana nel Mondo, volto a promuovere la lingua e la cultura italiana all’estero.

Liliana Nobile, «Angoli remoti», Perugia, Bertoni Editore, Collana “Poesia Mundi” diretta da Simona Volpe, 2025.

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