La Turchia che aveva ragione e la figuraccia di Alfano

Adesso che la vicenda di Gabriele Del Grande è finita bene, assorbiti gli applausi troppo facili della prima ora, e i giramenti di scatole educatamente nascosti per la montatura mediatica che abbiamo visto in scena, al terzo giorno un piccolo tentativo di ragionamento.

Qualche osservazione dovuta al giovanotto Del Grande sulle regole elementari del mestiere che vorrebbe praticare, visto che con i turchi si è dichiarato giornalista. All’improvvido ministro Alfano la colpa dell’infelice sceneggiata messa in piedi all’aeroporto di Bologna.

Datato reporter, frequentatore abituale di zone di guerra, allergico agli improvvisatori con la mancia sul loro eroismo. Può valere come autobiografia dello scrivente, può valere per l’amico e collega Amedeo Ricucci, inviato speciale del Tg1 che ho beccato a Beirut dove sta seguendo qualche pista mediorientale. Oggi, sul sito fecebook di Amedeo, una rilettura eccellente su quanto accaduto a Gabriele Del Grande in Turchia. «Ad avventura finita -scrive Amedeo- vorrei provare a levarmi qualche sassolino dalla scarpa e offrirlo a tutti come spunto per la riflessione».
 Troppo gentile il collega, ma è per questo che ho scelto di cedergli la parola, nel timore di un mio eccesso di severità. Che lascerò alla fine, tutta riservata al ministro.

1) Come sempre in Italia, ha prevalso una rappresentazione deformata di quanto stava realmente succedendo, sia sui media che sui social network. Da un lato c’era chi vedeva in Gabriele un EROE che si stava immolando sull’altare della libertà di stampa e dall’altra chi lo additava come un MOSTRO, capace delle peggiori nefandezze.
Non c’è bisogno al proposito si scomodare Bertold Brecht per ricordarci che così proprio non va: un Paese infatti che ha bisogno di eroi , o di mostri, è lo stesso – non è un Paese messo bene.

2) E allora cominciamo col dire che Gabriele Del Grande – di cui mi ritengo un amico e che stimo – recandosi nelle zone di confine fra Turchia e Siria ha fatto una stupidaggine colossale. 
Perché chiunque va da quelle parti per un lavoro giornalistico non può non sapere che serve un accredito stampa senza il quale lavorare è assai arduo, soprattutto a partire dall’ultimo anno. 
Perché Gabriele non l’ha chiesto? Non mi risulta che ne abbia parlato in conferenza stampa e però, se si decide di contravvenire alle regole, bisogna accettarne le conseguenze senza fare i martiri. 
Per anni, quando si entrava in Siria illegalmente dal confine turco, noi giornalisti abbiamo rischiato di farci espellere dal Paese – oltre a pagare una multa salatissima, di 3000 o 5000 dollari se non ricordo male.
 Ebbene, nessuno di quelli che si sono fatti beccare – e sono colleghi validissimi, solo sfortunati – si è mai sognato di protestare e di ergersi a paladino dei diritti umani.

3) A chi mi ribatte che Gabriele non poteva chiedere l’accredito stampa, non essendo iscritto all’Ordine dei Giornalisti, rispondo che occorreva comunque “metterci una pezza”, in un qualche modo, magari chiedendo l’accredito attraverso un qualsiasi sito on line. Perché il lavoro che lui andava a fare in quella zona di confine – un lavoro sull’ISIS – avrebbe di sicuro scatenato l’attenzione dei servizi segreti turchi.
Faccio un esempio per chiarire meglio: se un giornalista vuole andare a Gaza deve e non può non sapere che serve l’accredito stampa israeliano, che si ottiene (fra l’altro) esibendo una lettera di assignement di una testata.
E’ così, punto e basta. E chi vuole andarci si arrampica sugli specchi e si inventa qualsiasi cosa pur di avere le carte in regola. Nessuno si lamenta.

4) Com’è ovvio, visti i tempi, la Turchia non poteva non approfittare di un’occasione così ghiotta. Il fermo di Gabriele si è protratto perciò fino ai limiti del consentito – 14 giorni, come previsto dalla legislazione d’emergenza, se non erro – e bene hanno fatto sia le autorità italiane sia la società civile a mobilitarsi per vigilare sulla situazione.
Ma per favore, non confondiamo fischi per fiaschi: la stretta alle libertà civili in Turchia, così come il fatto che ci siano 150 giornalisti nelle galere turche, hanno poco a che vedere con il fermo di Gabriele, che è del tutto legittimo, ripeto – nei tempi e nelle modalità. E se si vuole protestare contro il regime di Erdogan, per come maltratta i diritti umani, che non si scelga per favore questo caso, perché con la questione ha una parentela molto, molto alla lontana».

Amedeo Ricucci, dovrete riconoscerlo tutti, è stato decisamente buono, e conclude concedendo il beneficio del dubbio sui presunti finanziamenti al giovanotto italiano da parte della Open Society Foundation di Georges Soros, rimproverandogli, alla fine soltanto «che poteva e doveva essere più accorto (e magari evitare qualche parola di troppo, al suo ritorno, sulla libertà di stampa che sarebbe stata violata)».

Troppo buono Amedeo Ricucci, ma lui è persona buona.
Io che sono cattivo, tutta la mia cattiveria la riservo alla vergognosa sceneggiata di un ministro degli esteri che va ad esibirsi di fronte alle telecamere vantando meriti inesistenti. Il rilascio dell’avventuroso italiano è avvenuto nei termini fissati dalle severe leggi turche del dopo golpe, e non per merito di una qualsiasi azione diplomatica o di servizi segreti o di trattativa occulta e rischiosa, comunque dovuta per qualsiasi cittadino italiano e senza strombazzamenti.
A perderci, in questo caso, è stata soltanto la dignità del ruolo di ministro degli esteri di questo nostro piccolo ma dignitoso Paese.

Fonte Remocontro

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