Sulla soglia di un’amicizia: Luigi Biscardi

di Francesco D’Episcopo

Confesso che ho avuto qualche lieve perplessità, prima di stendere questo nuovo articolo per l’ormai familiare “Il bene comune” per due ragioni: la prima è che con Luigi Biscardi si è instaurata una costante conoscenza, non immune da reciproco rispetto e affetto, che forse non si è mai trasformata in una vera e propria amicizia; la seconda è che egli, a ragione, riceverà i meritati onori da una Regione, di cui è stato apprezzato e autorevole rappresentante culturale e istituzionale.

Mi si perdoni, dunque, direbbe Manzoni, questo “cantuccio” personale, che deve ritenersi la doverosa testimonianza di un molisano di Casacalenda, nato a breve distanza da quella Larino, attraversata frequentemente da chi scrive quando la fondovalle bifernina era ancora di là da venire, sua patria di origine.

Conobbi Luigi Biscardi negli anni dei miei studi universitari, “matti e disperati”. Sollecitato da mio zio, fratello di mia madre, Domenico Lalli, notaio a Casacalenda, lo andai a trovare presso il Liceo Classico “Mario Pagano”, di cui era Preside. Fu un incontro simpaticamente cordiale. Egli conosceva bene non solo mio zio, ma anche mio nonno, notaio anch’egli, a Guardialfiera, personaggio autorevole, mi disse, in un Molise di altri tempi, dove le persone che spiccavano erano note a tutti. Di mio nonno, figura realmente austera ma democratica nel rapporto con la gente, gli erano rimasti impressi i larghi baffi e il fiocco liberale, che nella camicia sostituiva la cravatta, di antico galantuomo di paese. Parlammo delle sue scelte politiche e letterarie, del suo socialismo, del suo culto del De Sanctis.

Lo ritrovai, a breve distanza di tempo, come uno dei più ferventi promotori, con l’amico guardiese Nicola Perrazzelli, del Premio giornalistico “Francesco Jovine”, che si celebrò al Teatro Savoia di Campobasso con la splendida e serena prolusione di Natalino Sapegno. Quando uscimmo all’aperto, la Casa Molisana del Libro esponeva nelle proprie vetrine la prima edizione di Viaggio nel Molise di Francesco Jovine.

Quando cominciai ad occuparmi con crescente intensità di questo scrittore, che tra l’altro frequentava la casa di mio nonno notaio a Guardia e che mia madre bene ricordava soprattutto per la perfetta dizione delle sue parole, pronunciate, diceva lei, fino all’ultima sillaba, proposi a Biscardi un progetto editoriale, che ampliava antropologicamente il discorso e il racconto, avviati da Jovine in Viaggio nel Molise.

Biscardi rimase positivamente colpito dal progetto e dalla sua facile fattibilità, avendo entrambi alle spalle amici comuni, carissimi e disponibilissimi, gli editori Cosmo e Titina Sardelli di Isernia, che tra l’altro mi avevano chiesto di adottare criticamente, essendo anche del mio paese, Giose Rimanelli, che conobbi proprio nella loro bella villa di Isernia. Con Biscardi e Giose si è conservato un cordiale filo comune, che è stato poi districato da altre mani, buone mani molisane. Resta il rimpianto di quel progetto, apprezzato e non realizzato, che forse rientra nella biblicità di molte opere e di moltissimi giorni meridionali, quindi anche molisani, tranne qualche provvidenziale miracolo. Ma, da buon molisano, non è detto che non lo porti a termine, ormai da solo.

E un miracolo, culturale ed editoriale, Luigi Biscardi è riuscito a realizzarlo con l’edizione, da lui sempre auspicata, delle opere di Vincenzo Cuoco, nostro padre ideale e reale, stella polare della cultura meridionale e molisana, e ancora è d’obbligo da parte mia ringraziare l’allora Presidente della Provincia di Campobasso, al quale Biscardi mi indirizzò, per poterla ricevere e godere, tutta intera.

Termino con due testimonianze personali: siamo stati insieme appassionatamente al “Mario Pagano” per onorare il comune amico di sempre, Nicola Perrazzelli; pomeriggio memorabile per la preziosa presenza del diretto interessato, commosso e riconoscente, come tutta la sua armoniosa famiglia.

L’ultima volta in cui ci siamo incontrati al Teatro Savoia, dove era, tra l’altro, riuscito a portare uno dei suoi maestri e miti letterari di sempre, Giuseppe Petronio, molto avanti negli anni, gli ricordai sua moglie, anch’ella Preside, il cui simpatico soprannome era caro a tutta Campobasso. Si commosse, i suoi occhi divennero lucidi e non riuscì a pronunciare, come anche lui era solito fare, le parole fino in fondo. Fu la prima e ultima volta in cui lo vidi così emotivamente coinvolto. E così mi basta, per ora, ricordarlo e rendergli onore.

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