Ombre e misteri paesaggio molisano

È difficile trovare un filo conduttore sicuro nell’analisi dei caratteri paesaggistici molisani. Per fare ciò forse si dovrebbe risalire a ere geologiche remote.

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Nel Molise è proprio difficile descrivere il paesaggio, almeno in modo sintetico. Ciò perché nello spazio di circa 100 chilometri si incontrano forme molto diverse fra loro le quali si susseguono senza un ordine preciso quale potrebbe essere l’andamento montagna, collina e pianura come sarebbe da attendersi in una regione appenninica. Infatti, troviamo piane all’interno, la conca di Boiano, e monti in prossimità della costa, monte Mauro, colli qua e là. Superfici pianeggianti si alternano a rilievi montagnosi, la piana di Sepino stretta tra il Matese e il monte Saraceno, rilievi alto collinari si mescolano insieme nell’alto Molise alle emergenze montane perché il territorio ha sempre quote elevate.

Proviamo, comunque, a delineare alcuni caratteri essenziali e partiamo in questa impresa dal Molise centrale che è il comprensorio più esteso, seguendo un criterio idrografico e non quello usuale di cui si è detto di distinguere la regione in montagna, collina e pianura. Dunque, si ripartisce l’insieme in bacini che sono quelli del Trigno, del Biferno e, parzialmente del Sangro e del Fortore, tutti di forma allungata in quanto si tratta di valli strette. Qualsiasi elemento posto a cavallo delle vallate non si legge come individualità, vedi Montevairano o Monteverde per rimanere vicino al capoluogo regionale, bensì quali porzioni di insieme formato dal crinale che separa il Biferno dal Tappino, affluente del Fortore.

Si è detto che noi non abbiamo bacini larghi, ma adesso dobbiamo in qualche modo correggerci, il Volturno allargandosi di molto una volta raggiunto Roccaravindola quando s’incontra con il Vandra; analogamente fa il Fortore dopo la diga di Occhito, anche qui al seguito della confluenza di un torrente, il Tona, ma già in Puglia. La fascia costiera è esclusa da questa suddivisione in bacini in quanto si è ormai in pianura, pianura che gli stessi fiumi provenienti dall’Appennino hanno contribuito a formare. La piana litoranea di una fascia continua non interrotta dai solchi vallivi e questa condizione di continuità fisica è un fatto unico nel Molise dove in qualsiasi altra parte i corsi d’acqua con le loro valli, vallette, vallicole hanno frammentato il territorio, oltre a porsi come ostacolo agli spostamenti.

I principali fiumi qui diventano delle aste, in passato meandri formi, poco incise rispetto al terreno; vi sono poi corpi idrici minimi, es. il Tecchio, il Mergolo e il Sinarca, che nascono nella prima schiera collinare che si affaccia sul mare e perciò paralleli ai maggiori, in senso est-ovest, i quali poco si avvedono da chi attraversa in direzione nord-sud il litorale. Il Basso Molise è distinguibile morfologicamente per l’assenza di vallate fluviali nello stesso tempo per essere ambito pianeggiante; pure quest’ultima è una singolarità, la nostra regione essendo davvero povera di pianure (nell’entroterra ci sono solamente quelle di Boiano e di Venafro).

Figurativamente sembra che le alture abbiano scacciato le piane sospingendole verso il mare, magari proprio mediante la corrente fluviale. Il metodo di analisi territoriale per bacini idrografici non può essere applicato alla parte della regione coincidente con l’Appennino. Esso è composto dal Matese e dalle Mainarde i quali, comunque non vengono a formare, come ci sarebbe da attendersi, un complesso montuoso collegato, separati come sono dal Volturno (ancora una volta un fiume). Il Matese seppure inserito nella catena appenninica, deve essere visto come un massiccio a sé stante; contribuisce a configurarlo un rilievo autonomo il fatto che è delimitato da due corsi d’acqua, il Tammaro e sempre il Volturno, che ne costituiscono confini certi.

Il Matese più delle Mainarde è una lunga groppa montuosa disposta parallelamente alla linea di costa mantenendo per tutta la dorsale una distanza pressoché costante da essa e invece le seconde lievemente divergenti da essa. Per quanto riguarda quest’ultima annotazione si aggiunge che le Mainarde se viste insieme ai monti dell’Alto Molise dei quali è il valico di Rionero posto a oltre 900 m. di quota a dividerle vengono a definire una sorta di semiarco che ha la convessità verso l’interno del territorio molisano.

Sia il Matese che le Mainarde non stanno sull’asse mediano della Penisola, bensì sono spostate in direzione del Tirreno; trattandosi di rilievi consistenti che raggiungono l’altitudine di duemila metri essi fungono da barriere alle perturbazioni provenienti da occidente e, quindi, da regolatori del clima. Tali montagne neanche rappresentano degli spartiacque come dimostra il fatto che il Tammaro e il Volturno pur nascendo nel versante adriatico confluiscono in quello tirrenico.

Hanno un’altra cosa in comune il Matese e le Mainarde ed è la loro formazione geologica che è il calcare appartenendo tutt’e due alla «piattaforma carbonatica abruzzese-laziale» e, pertanto, sono caratterizzate dal carsismo il quale comporta l’assenza di idrografia superficiale. Non c’è, dunque, nessuna possibilità di farli rientrare nella logica dei bacini fluviali sui quali è impostato il nostro discorso.

Adesso ci soffermiamo su una diversa questione che è quella che non c’è corrispondenza tra le aste fluviali e quanto avviene nel sottosuolo, nel senso che, limitandoci al Biferno, il suo alveo non delimita formazioni differenti e ciò lo si può verificare guardando la carta geologica del Molise dove l’avvicendarsi caotico di formazioni, dalle «arenacee di Cercemaggiore» al «flysh numidico» nella grande fossa riempita nel Miocene dalle «argille varicolori» che è il comprensorio del Matese Centrale non tiene in alcun conto la presenza del fiume.

Vale la pena raccontare quanto avvenuto qui nelle lontane ere geologiche: successivamente all’emersione del basamento calcareo del Matese frutto del’orogenesi collisionale, quella della teoria delle «placche», sempre per lo stesso tipo di meccanismo si è avuto il riversamento nella fossa già citata di materiali argillosi che inglobano zolle di altra natura, arenacee e calcaree, con dimensioni variabili, anche molto grandi.

Gli eventi deformativi sono stati gli agenti fondamentali dell’assetto del paesaggio italiano e così è da ritenere che non sia il sistema idrografico ad aver determinato i lineamenti paesaggistici della regione, bensì la tettonica. I corsi dei fiumi sono, in altri termini fattori secondari della configurazione attuale del territorio e quindi non capaci di rendere pienamente ragione dell’aspetto fisico del Molise il quale rimane perciò indecifrabile, misterioso, confuso e, infine, affascinante.

Francesco Manfredi Selvaggi606 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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