Strada da rispettare

È quanto si fa stabilendo fasce di inedificabilità al contorno, più o meno larghe in dipendenza dell’importanza del tracciato viario.

Ci sono diverse ragioni che giustificano l’esistenza di una fascia di rispetto delle strade di comunicazione principali. Una è quella di avere un certo spazio libero a disposizione per impiantare cantieri per la manutenzione del manufatto viario ai lati dello stesso. Un altro motivo è quello della raccolta delle acque, a monte per impedire che esse si riversino sulla piattaforma stradale e a valle per convogliare il flusso idrico proveniente dai pozzetti nei canali naturali presenti che abbiano sufficiente capacità. Non può essere addotta come motivazione, invece, quella che necessita una striscia di terreno lateralmente per eventuali futuri allargamenti della strada con la creazione di nuove corsie (neppure se si tratta di quella d’emergenza) perché allora la “fascia di rispetto” non rientrerebbe tra i cosiddetti “vincoli conformativi” i quali, cioè, rimangono per sempre, bensì risulterebbe essere un vincolo preordinato all’esproprio e quindi avente una durata temporale limitata; del resto, che senso avrebbe una fascia di rispetto per allargare la sezione viaria, quando poi, una volta fatto ciò, automaticamente si sposta più in là, della stessa estensione di quanto è stata allargata la strada, la fascia di rispetto. Vi è una lampante contraddizione in tale giustificazione sulla necessità della fascia di rispetto.

Le fasce di rispetto risultano essere utili, un’ulteriore argomentazione, per evitare che coloro i quali si trovano al di sopra dell’arteria, magari vi abitano o sono impegnati in qualche attività lavorativa collocata lì, possano provocare la caduta di oggetti e colpire gli automobilisti in transito; analogamente chi percorre la strada lanciando dal finestrino corpi contundenti o per qualche incidente in cui incorre causa il danneggiamento di beni o il ferimento di persone poste al di sotto della stessa. Succede, pure, che un camion possa perdere accidentalmente parte di ciò che trasporta. In tema di cose che precipitano dalla carreggiata stradale e sempre in riferimento alla fascia di rispetto è da evidenziare che nei tratti stradali costituiti da viadotti non ha senso l’invocare l’imposizione di una fascia di rispetto perché essi ai lati sono staccati dal resto del territorio e perché se qualcosa casca a terra da qui non è facile determinare se essa tocca il suolo entro 30 metri dalla fascia di rispetto per via della traiettoria che segue e di raffiche di vento impetuose. Piuttosto che una fascia di rispetto c’è bisogno di specifiche norme per impedire che le luci di qualche torre faro posta per sorvegliare le macchine messe in esposizione sul piazzale di una rivendita di auto possa abbagliare un guidatore che percorre la strada vicina e ciò vale pure per le lampade che illuminano gli ingressi dei negozi, bar e ristoranti. Quelli appena citati trovano posto quali punti ristoro spesso nelle aree di pertinenza della strada, cosa ben diversa dalle fasce di rispetto.

Alla medesima maniera dei problemi prodotti dalle sorgenti di luce abbiamo che sia per rumori, ad esempio quelli di una discoteca, sia per i fumi, di un impianto per la macinazione di inerti o di una fabbrica che produce emissioni gassose, conta poco l’ampiezza della fascia di rispetto potendo, essere raggiunti, e disturbati, i conducenti delle auto anche da fonti lontane; tanto i suoni tanto il vapore si trasmettono via aria e perciò essi si diffondono a distanza, almeno il secondo, in presenza di ventosità. La fascia di rispetto ha un senso anche nel caso delle strade panoramiche che, però, è una categoria viaria che non si addice alle arterie principali poiché esse sono percorse ad una velocità sostenuta. Quasi smentendo quanto si è affermato adesso si fa notare che, però, è sulle arterie maggiori che si ha una fascia di rispetto consistente e quindi solo a fianco ad esse si ha una significativa superficie priva di ingombri visivi i quali possono ridurre la panoramicità; si aggiunge che quando si attraversano i centri abitati, se è vero che si riduce la possibilità di godere dei paesaggi, rimane una fascia di rispetto seppure ristretta che urbanisticamente andrebbe destinata a Verde Pubblico (nell’organizzazione urbanistica non è concesso lasciare zone prive di funzioni, vuote, ovvero bianche, o meglio, assomiglianti ai “buchi neri”).

È giusto che nei nuclei urbani si abbia una riduzione della fascia di rispetto, perché altrimenti si perderebbe la continuità tra le sue parti che è, poi, la caratteristica precipua degli agglomerati insediativi e, comunque, qui si va lenti e ciò è già garanzia di sicurezza. Sono, ad ogni modo, poche le strade  statali (che la gente chiamava “nazionali”) che attraversano gli abitati e se lo fanno interessano ambiti periferici essendo state declassificate all’interno dell’abitato. È più probabile che tale tipologia di strade si debba confrontare con le Zone urbanistiche poste al di fuori del’aggregato urbano che generalmente sono le Zone D. Le Zone per attività produttive sono localizzate, di solito, nei fondovalle in quanto luoghi pianeggianti che permettono l’installazione di capannoni industriali. La pianura è la sede preferita per i percorsi viari di collegamento regionale e, appunto, hanno appellativo di fondovalle la Bifernina, la Trignina e la f.v. Tappino, che risalgono tutt’e tre a pochi decenni fa, mentre statali più antiche, la “venafrana” e la S.S. 17, corrono sì per il piano, ma discoste dal fiume.

La piana, dunque, attrae sia le strade sia le zone industriali. In genere, si applica una fascia di rispetto inferiore, la stessa che viene applicata all’interno dei centri urbani anche quando l’arteria passa al’intorno della Zona D: la legge viene così rispettata alla lettera e invece non nel suo significato concreto non ritrovandosi l’esigenza nel territorio rurale di uno sviluppo continuo dell’insediamento poiché qualunque Zona D occupa normalmente solo uno dei due lati della strada. Zone D le nostre sempre minute, salvo quelle di Termoli e di Pozzilli, per cui le fabbriche delle quali si riempiranno prese nel loro insieme non saranno di turbamento alla circolazione automobilistica portando ad una limitazione della visuale, fondamentale per la sicurezza stradale, per pezzi brevi della viabilità. In altri termini, è difficile che esse siano di ostacolo alla vista dei guidatori; questi sono costretti ad aumentare l’attenzione in vicinanza di curve e di intersezioni per cui è in prossimità di tali punti singolari che è necessario che non si creino barriere alla visuale per viaggiare sicuri.

Francesco Manfredi Selvaggi571 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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