Accostarsi alla costa
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Si descrivono qui i caratteri originari della fascia costiera molisana oggetto di profonde trasformazioni a seguito dello sviluppo del turismo balneare partito negli anni 70 dello scorso secolo.
La costa fino a mezzo secolo fa era sostanzialmente un luogo solitario; se non ci fosse stato il traffico, ferroviario e automobilistico, in direzione nord-sud e viceversa non si sarebbe avvertito alcun rumore. Era un posto ideale per stare in solitudine per l’assenza di disturbi e questa dovette essere una delle ragioni che portò il pittore Carlo Carrà a soggiornare per qualche tempo, per dipingere, a Petacciato, frequentando il suo litorale.
La fascia costiera era una zona, in qualche modo, vuota e le cause principali di tale stato dovevano essere l’impaludamento dei corsi d’acqua i quali provenienti dall’Appennino (Trigno e Biferno) qui raggiungono le portate maggiori (ma anche il Sinarca, un corpo idrico che nonostante abbia un’asta breve nei periodi di precipitazioni consistenti rischia di provocare inondazioni) e l’atavico ricordo delle scorrerie dei saraceni per far fronte alle quali vennero erette ben 5 torrette di guardia in soli 36 chilometri di costa.
Vale la pena aggiungere che il reticolo idrografico dell’area è fatto anche da altri torrenti, il Tecchio, il Mergolo, la Foce dell’Angelo a nord di Termoli il corso dei quali è assai breve tale che l’acqua da essi trasportata non suscita preoccupazioni di allagamento e ciò vale pure, a sud della cittadina adriatica, per il Rio Vivo e per il Rio Salvo (toponimo ricorrente che rivela una certa salinità delle acque) il quale segna il confine con la Puglia; questi rivi, tutti perpendicolari alla linea di costa e privi di tributari per la limitata pendenza non hanno capacità erosive e non trascinano detriti e, perciò, non contribuiscono al ripascimento dell’arenile.
Con la costruzione delle dighe di Chiauci e del Liscione è limitato l’apporto di materiale da parte, rispettivamente, del Trigno e del Biferno sulla battigia con arretramento della stessa. A riguardo delle aste fluviali più grandi, è un ulteriore inciso, a partire dalle Marche per arrivare al Tavoliere dove sbocca il Fortore, parzialmente molisano, nel mare Adriatico, in maniera ortogonale ad esso, trovano conclusione i fiumi che avevano avuto il loro inizio ai piedi della catena appenninica; essi sono diventati i corridoi con i solchi vallivi che hanno generato lungo i quali si attestano le superstrade che congiungono l’interno con la pianura litoranea le quali sarebbero dovute diventare canali diffusori dello sviluppo secondo il cosiddetto modello marchigiano.
Quanto si è detto all’inizio del sentirsi soli in riferimento alla costa si voleva intendere unicamente la superficie pianeggiante di questo comprensorio non la parte collinare dove si è sempre registrato un certo popolamento umano; è un sentimento di solitudine, va precisato, ben diverso da quello che si prova in un deserto (ad esempio quello in cui si ritirò S. Antonio Abate) perché qui le dimensioni sono molto ridotte.
L’estensione della banda pianeggiante che fronteggia la distesa marina, in senso trasversale è assai limitata presentando unicamente a Ramitelli (Campomarino) e a Montenero di Bisaccia una certa consistenza (5 o 6 chilometri); non si è considerata Termoli in quanto la larghezza della piana la quale è così ampia da ospitare il Nucleo Industriale primo per grandezza della regione, in cui, certo, non si avverte di essere soli per il movimento di operai, autotrasportatori ecc., ma il piano che occupa sta a metà tra la pianura formatasi vicino al mare, in continuità con quella che la precede e la segue ricadente negli altri comuni rivieraschi, e il fondovalle fluviale del Biferno.
Questo è l’unico caso di piana che penetra nell’entroterra, fondendosi con quella alluvionale originata dal fiume. In qualche modo, si compenetrano l’una nell’altra; esse, comunque, rimangono distinte poiché sono poste a quote leggermente differenti, addirittura, a tratti, quella più bassa, con altitudine inferiore al livello del mare. È lo stesso nome a darcene conto: Pantano Alto e Pantano Basso. Non è percepibile alla vista questa mancanza di un livellamento completo del comprensorio degradando il terreno in maniera lieve.
Del resto, c’è bisogno di una certa pendenza per favorire il deflusso delle acque. In verità, c’è un’ulteriore tipologia di terra piatta che si scorge nel lungomare nord di Termoli ed è la cimosa, costantemente corta, che sta tra il bagnasciuga e la campagna che è ad un livello più alto (a volte ben 3 metri), dalla quale la distingue anche l’essere sabbiosa mentre invece quest’ultima è coperta da vegetazione. La cimosa appartiene all’ambiente marino, contrariamente a ciò che gli è alle spalle che è di sicuro terraferma.
Un sentimento di solitudine quello che si provava sulla costa che non era smentito neanche dalla presenza di Termoli, insediamento di una certa dimensione e, soprattutto, sede vescovile. Nella stessa Termoli si doveva avvertire di essere soli e ciò a causa della sua separatezza rispetto al resto del Molise causata dai vasti acquitrini conseguenze della fuoriuscita delle acque dall’alveo del Biferno nel suo tratto finale.
Per i termolesi, dunque, sembrava probabilmente di essere al confino stretti davanti dall’Adriatico e alle spalle da lande paludose, un paesaggio liquido ai due opposti lati. In definitiva, un centro di frontiera, un avamposto umano in un circondario “ostile”. La presenza stabile dell’uomo sulla riva del mare consisteva in un unico abitato come visto con gli altri, più piccoli, appollaiati sulle colline.
La distribuzione di questi ultimi non è regolare, essendovi due paesi a settentrione di Termoli che è il baricentro geografico della costa molisana e, cioè Petacciato e Montenero di Bisaccia e uno solo a meridione, Campomarino. In altri termini, nonostante siano territori della medesima lunghezza, da una parte, si incontrano due agglomerati insediativi e, dall’altra, il nucleo abitato è unico.
La spiegazione a ciò c’è ed è che andando verso la Puglia i rilievi collinari, i siti prediletti per la collocazione degli aggregati urbani, man mano si trasformano in qualcosa di poco più di modeste ondulazioni inidonee per assicurare la difesa, primariamente affidata alla morfologia del luogo e solo secondariamente alle fortificazioni, della popolazione che lì si troverebbe a vivere.
La morfologia determina anche la scarsa, o nulla, propensione degli abitanti di questi borghi verso le attività marinare, la pesca si pratica esclusivamente a Termoli, perché la nostra è una costa che non offre la possibilità di realizzare porti. Essa è rettilinea, salvo il promontorio su cui sorge Termoli (che, appunto, è stata sempre dotato di un approdo portuale idoneo pure per l’attracco di imbarcazioni che trasportano merci, il “caricatoio”, è chiaro di stazza contenuta, senza che vi siano insenature.
Francesco Manfredi Selvaggi625 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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