Oratino: una piazza come sommatoria di spazi distinti

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Per via della croce viaria potrebbe essere scambiata per un luogo di mercato, per via del monumento ai caduti in un parco della rimembranza (senza alberi), per via della presenza della residenza feudale nello slargo che sempre antecede un palazzo nobiliare, per via del percorso che conduce al centro storico una fascia può essere intesa quale prosecuzione della strada carrabile che conduce al paese (Prospetto del Palazzo Ducale)

La piazza di Oratino è veramente grande e per questa sua ampia dimensione si pone in netto contrasto con il contiguo nucleo medioevale. Quest’ultimo, che è distinguibile con chiarezza per il suo perimetro tendente al circolare come si conviene agli agglomerati di quell’epoca, è connotato da tutt’altra tipologia di spazi pubblici: anche qui c’è una piazza, ma è una semplice piazzetta e come questa che è una piazza ridotta ai minimi termini così le strade sono strette, oltre che tortuose.

Poca luce penetra all’interno mentre è estremamente luminosa la piazza che sta al di fuori, luce che significa pure maggiore igienicità dell’abitato per via della migliorata circolazione dell’aria, obiettivo che cominciò a diffondersi in tutta Europa a partire dal XVIII secolo. I duchi Giordano, assai avvertiti culturalmente, di certo lo conoscevano; l’esigenza dell’ariosità si legava all’altra, nata nello stesso periodo, del verde. Una definizione compiuta del verde pubblico la si trova nella confinante Campobasso dove si ha una sistematizzazione di tale concetto nel Borgo Murattiano: qui le piazze, sul modello degli squares londinesi, sono dei giardini.

Un indizio della volontà dei Giordano, i quali devono sicuramente aver avuto un ruolo determinante nella configurazione di questa piazza, di creare uno spazio a verde è la presenza del lungo loggiato sulla facciata del palazzo che volge in questa direzione. Un utilizzo a giardino pubblico che può essere durato a lungo come testimonia il Monumento ai Caduti che, per legge doveva essere ricompreso in un Parco delle Rimembranze in cui ogni albero era in ricordo di un soldato morto. La lettura di questo luogo quale piazza è contraddetto dal suo essere in pendenza, cosa non comune, anche se, in verità c’è un precedente in Italia che è Piazza del Campo a Siena: è un ulteriore argomento a favore dell’ipotesi che tale slargo sia nato per fini diversi.

A favore della tesi che, invece, costituisca una piazza nel senso proprio del termine è la sua stessa collocazione all’esterno del cuore antico dell’insediamento abitativo in quanto nuova funzione urbana, pure questa come i giardini frutto di una ideologia urbanistica affermatasi in età moderna, non compatibile con i caratteri morfologici del centro preesistente; l’idea di piazza come quella più tarda dei viali, che qui, però, non vi sono, si manifesta contemporaneamente al formarsi della classe borghese (non per niente la piazza è un po’ il simbolo dell’Italia dei Comuni).

Piazza o mercato, quest’ultimo lo proverebbe la croce stazionaria che sta nel mezzo, l’area di cui si parla denuncia un processo, estremamente moderno, di specializzazione delle parti urbane, il preludio alla Zonizzazione odierna. In base ai principi dello zoning le varie attività sono isolate, mentre in passato tutto si teneva insieme contribuendo a dare vita ad un sistema; questa piazza per il suo essere fuori scala non colloquia con l’aggregato storico ponendosi quale gesto irripetibile. È un unicum che non si confronta con il tessuto consolidato e che porta addirittura, per il suo peso visivo, ad un ribaltamento dell’immagine del paese acquistando una predominanza figurativa.

Esagerando forse la piazza assume la sua forte riconoscibilità per contrasto con il borgo antecedente, cercando la contrapposizione e non la fusione. Ad iniziare dal Rinascimento la storia insediativa non è più fatta di stratificazioni, bensì di giustapposizioni con introduzioni di elementi nuovi piuttosto che nella maglia dell’edificato fortificato ai suoi margini. Tornando alla dimensione se questa è una piazza o qualcos’altro è da mettere in rilievo che ad avvalorare la lettura quale piazza vi è il suo disegno regolare, un rettangolo, e il suo essere un ambiente chiuso, delimitato com’è da tutti e quattro i lati da edifici.

In effetti vi sono strade di accesso che, comunque, non fanno perdere al luogo le sembianze di un enorme cul de sac. Le vie d’ingresso sono 5 delle quali 4 stanno negli angoli della piazza e solo una, coincidente con la porta urbica è in mezzo ad una delle cortine edilizie che racchiudono la piazza che, ad ogni modo, rimane anch’essa continua perché tale apertura è inserita in un corpo di fabbrica, il quale peraltro doveva fungere da torrione di protezione. I percorsi viari hanno all’incirca la medesima sezione, salvo uno che conserva quella della strada provinciale la quale si sovrappone al vecchio tracciato che conduceva all’Oratino originaria passando attraverso la porta cui si è fatto cenno.

Sarà questo il motivo per cui l’accesso è più largo, altrimenti non ci si spiega la differenza di dimensioni tra i due percorsi che fiancheggiano il palazzo ducale il quale, si approfitta del ragionamento in corso per parlarne, per via della sua tipologia a corte non ammette l’addossamento di edifici. In definitiva, abbiamo lo sbilanciamento della piazza da tale lato il quale provoca uno scostamento del suo asse di simmetria che non risulta centrato sul portone della residenza nobiliare. Si è evidenziata la regolarità della piazza che non significa, va precisato, che i suoi lati, a prescindere dalla lunghezza, abbiano uguale pregnanza; sono quelli corti a prevalere, uno per la porta urbana, il secondo per il palazzo ducale che lo occupa interamente (ad esclusione delle strade).

In generale gli edifici che prospettano sulla piazza non si pongono in competizione con il palazzo del feudatario che anche per tale aspetto è il fulcro compositivo di questo spazio. Se la creazione della piazza fosse stata voluta per valorizzare la veduta del prospetto del palazzo l’operazione non potrebbe essere considerata ben riuscita in quanto le dimensioni tanto dilatate di quest’ambiente finiscono per deprimerla un po’ invece di metterla nella giusta evidenza. È da valutare l’opportunità di distinguere, mediante una differente pavimentazione, quella porzione della piazza che può essere intesa quale slargo a servizio dell’ingresso al palazzo, che è poi la porzione pianeggiante. Allo stato delle cose la piazza appare come platea di un unico fatto architettonico di rilievo, mentre sarebbe opportuno sperimentare una sua articolazione, magari destinandone una parte a verde pubblico.

Francesco Manfredi Selvaggi579 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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