Una casa semplicemente compatibile o decoro del paesaggio?

L’illustrazione del metodo seguito dalla Regione nell’istruttoria dei progetti in aree vincolate.

L’istruttoria di un progetto, anche in sanatoria, ai fini della verifica della compatibilità paesaggistica dell’opera, nonostante magari sia stata costruita abusivamente parte, è scontato, dall’esame della sua localizzazione. È il metodo istituito da una deliberazione della Giunta Regionale nel 2005 la quale approva le Linee Guida predisposte dal Servizio Beni Ambientali. Si propone in questo documento, oggetto di un apposito numero del Bollettino Ufficiale, organo di stampa della Regione, che è estremamente diffuso, una lettura degli interventi edilizi articolata in quattro livelli al fine di valutare l’impatto: il primo è quella della «localizzazione», il secondo della «forma» architettonica, il terzo dei «materiali» di facciata, l’ultimo della «sistemazione» esterna. Nelle note esplicative che lo accompagnano viene spiegato, immaginando un diagramma di flusso, che il blocco iniziale, cioè la localizzazione, ha una rilevanza pregiudiziale, nel senso che se essa viene giudicata inammissibile l’ufficio preposto al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica esprime parere negativo; nelle caselle successive eventualmente, mediante prescrizioni, i motivi ostativi tali da impedire l’esito favorevole del processo istruttorio possono essere superati. Per ognuna delle caselle, dei «livelli» dei quali si è detto, occorre analizzare l’incidenza sulle diverse valenze paesaggistiche, da quella storica a quella naturalistica a quella percettiva che sono, del resto, quelle indicate nella legge regionale sulla pianificazione paesistica come componenti del paesaggio.

La percezione che, lo si rimarca, per quanto si esporrà in seguito, va studiata alle varie scale dell’iter valutativo è stata oggetto di un’ulteriore disposizione, questa volta uno specifico decreto assessorile del 1998, che specifica i contenuti che dovranno avere le Verifiche di Ammissibilità Percettiva prescritte dai piani paesistici, a testimoniare la sensibilità che si ha verso tale tema. C’è una coincidenza per quanto riguarda la percezione tra i «livelli» e la distanza dell’osservatore dall’oggetto: più ci si avvicina più si passa da una visione per così dire panoramica ad una lettura di dettaglio e, cioè, dal livello della localizzazione a quello della forma a quello dei materiali. Se si parte dalla condivisione del fatto che è prioritario garantire la qualità visiva per il maggior numero di persone, allora bisogna che le V.A. Percettive vengano condotte dai punti di osservazione principali, mettiamo una strada o uno spazio pubblico, ma ciò vale pure nello screening usuale che si fa per il  nulla-osta paesaggistico. Dipende, di certo dalle condizioni atmosferiche e quindi dalla luminosità e dalla limpidezza dell’aria la quale quando si satura di umidità produce la rifrazione dell’immagine, e lasciando da parte formule poco verificabili (tipo quella della Regione Toscana secondo la quale il Raggio di Visibilità è uguale al prodotto H (altezza) del manufatto per 80) si ritiene che una casa possa percepirsi già a mezzo chilometro di lontananza, riducendosi però la visione alla sua sagoma e alla macchia di colore che viene a formare, più o meno scura.

Bisogna giungere alla distanza di m. 100 per cogliere l’aspetto architettonico e distinguerne i colori e solo arrivando in prossimità ci si può soffermare sulla tessitura materica dei fronti del fabbricato. Le suddette misure com’è ovvio sono teoriche perché non tengono conto della presenza di ostacoli che rischiano di limitare la vista. La percezione dell’edificio da lontano è quella dei suoi connotati essenziali che sono l’altezza, la larghezza e la lunghezza. Questa volumetria per essere accettabile deve essere rapportata al contesto paesaggistico in cui ricade, ben differente se pianeggiante o se la conformazione dei luoghi è un versante, una sommità, una valle stretta dove, peraltro, gli angoli visuali dai quali è percepibile sono sempre pochi. Attraverso l’imposizione di misure prescrittive si riesce nella maggior parte dei casi a raggiungere la compatibilità paesaggistica: per diminuire la sensazione di massa informe si può scomporre il volume figurativamente in parti di grandezza contenuta attraverso l’uso di materiali differenti per ciascuna parte oppure spezzando l’uniformità del prospetto con la piantumazione di alberi con una certa frequenza, evitando, comunque, la formazione di una cortina verde compatta perché si tratterebbe ancora di un volume non articolato , non più edilizio, bensì vegetale. Pure mediante la colorazione si riesce a ripartire le facciate in porzioni di ampiezza contenuta, o scegliendo una tinta simile a quella dell’ambiente circostante ottenere l’omogeneizzazione con il paesaggio.

Come si è detto prima accostandosi all’edificio se ne apprezzano le caratteristiche formali cominciando dall’andamento delle falde di copertura per il quale l’orientamento usuale in sede istruttoria è quello di imporre che il tetto a capanna sia impostato sul lato corto del fabbricato oppure ammettendo solo per i manufatti a corpo semplice il tetto a falda unica o evitando l’inserimento di tettoie affiancate alle case e così via. Per quanto riguarda il livello di analisi successivo si cerca fornendo indicazioni di fornire l’impiego di materiali di rivestimento simili a quelli tradizionali; il pericolo è quello del mimetismo se adottati in modo acritico, perché la riproduzione di modi costruttivi del passato può produrre una sensazione di falso. Senza scadere, comunque, nel vernacolare si ritiene positivo il richiamo alle tecniche murarie del luogo in quanto ciò contribuisce a rafforzare l’identità paesaggistica. Se si parte dalla constatazione che tanti scorci panoramici delle campagne molisane comprendono dimore rurali le quali possono essere considerate alla stregua di un «ornamento» del paesaggio il cui carattere costituente è l’insieme di natura e artificio umano si può condividere il fatto che attraverso opportune prescrizioni, quando il progetto edilizio è carente di tali elementi, si favorisce l’inserimento dell’opera nell’intorno che è l’obiettivo minimo e si prova pure a pervenire ad un abbellimento del paesaggio. In definitiva per la compatibilità paesaggistica si è ritenuto sufficiente il livello della localizzazione, mentre l’impegno istruttorio profuso nell’analizzare gli altri livelli è finalizzato ad un miglioramento dell’opera e, di qui, del paesaggio.

Francesco Manfredi Selvaggi606 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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