Si valorizza tutto, ma non il paesaggio agrario
Potrebbe essere la prossima frontiera delle strategie di valorizzazione quella della promozione del paesaggio agricolo, specie quello tradizionale.
La valorizzazione del paesaggio nella nostra regione ha riguardato tanti aspetti dello stesso, ma finora non quello degli assetti agrari storici come quelli delle zone di bonifica della Riforma Fondiaria o quelli determinati dall’economia mezzadrile del XX secolo. Si permette che i progetti di valorizzazione che negli ultimi decenni sono stati tantissimi e che le prime opere realizzate hanno costituito una novità assoluta in quanto l’attenzione in precedenza era rivolta tutta verso le emergenze maggiori, di carattere storico-monumentale. Del resto in Italia ancora tardano ad affermarsi un turismo curioso di nuove mete, in posti della Penisola poco noti.
Le tipologie delle iniziative sono molto varie vanno dalle consuete aree attrezzate con panche e punti cottura alla predisposizione dei bivacchi per cavalli lungo i tratturi, dal restauro dei rifugi montani all’apposizione della segnaletica escursionistica lungo la fitta rete di sentieri, dalla realizzazione di aree faunistiche (quella dell’orso a Pizzone) alla nascita di raccolte museali, dall’allestimento di nuovi giardini botanici (a Castellino sul Biferno) al rinnovo di esistenti (il Giardino della Flora Appenninica), dall’ideazione di parchi letterari (quello di Guardialfiera e Casacalenda) al concepimento di parchi archeologici (Altilia), dalla definizione di percorsi e belvedere panoramici all’individuazione di parchi fluviali, dall’attrezzamento di boschi al fine di farne parchi avventura (Chaiuci e Campolieto) alla configurazione delle sponde dell’Invaso del Liscione per finalità turistiche (pensando anche alla navigabilità del lago) all’approntamento di un cavo per il volo sospeso sulla gola del Quirino, dal recupero delle testimonianze di archeologia industriale (la Fornace della Taverna di Cantalupo); ci sono poi tutti gli interventi fatti per la fruizione da parte dei visitatori dei siti della rete ecologica.
Come si vede vi è un ampio ventaglio di proposte progettuali che hanno riguardato pressoché tutti i settori di interesse turistico: l’eccezione è rappresentata dai paesaggi agricoli tradizionali, se si esclude il Parco dell’Olivo a Venafro e al tentativo compiuto nell’agro situato tra Castellino e Morrone. Questa lacuna va colmata se si vuole incrementare l’attrattività del territorio molisano con ulteriori occasioni di visita. Qui da noi le politiche di sviluppo sono incentrate sulla messa in valore delle risorse endogene, non facendo ormai conto solo sul sostegno da parte dello Stato; si dovrà fare leva principalmente sul patrimonio culturale che è assai vasto per cui il tema del paesaggio, e, in definitiva, la questione della pianificazione paesistica acquistano nuova centralità.
Nell’ottica esposta , quella del paesaggio come bene da cui partire nel disegno delle strategie di crescita regionali, risulta poco comprensibile ricondurre all’autorità centrale le competenze sulla tutela come è avvenuto con il Decreto Settis. Accanto alla copianificazione Stato-Regione per la redazione dei piani paesaggistici si dovrebbero apportare tavoli di concertazione più ampi che coinvolgano gli enti locali invece di affermare il centralismo sia regionale che statale. Bisogna passare, inoltre, dalla pianificazione a tavolino, il vecchio, caro tavolo da disegno, a processi di governance come, ad esempio, quello dei «contratti di fiume».
Ritornando al tema dei paesaggi agrari è evidente la necessità della partecipazione ai momenti decisionali delle aziende agricole oltre che di tutti quei componenti delle comunità del posto che, seppure non in via principale, praticano l’agricoltura, essendosi diffuso il fenomeno del lavoro “part-time” nel settore primario; altri soggetti da coinvolgere sono le persone che stanno all’interno dei programmi sostenuti dalle istituzioni pubbliche di «agricoltura multifunzionale» la quale non persegue unicamente l’obiettivo della produzione di beni alimentari, bensì pure quello, mettiamo, della creazione di occupazione per le fasce deboli, tipo i giovani immigrati o individui con qualche disabilità.
La prima cosa da fare per il recupero dei paesaggi agrari storici è quella di approfondire la conoscenza dei loro caratteri originari anche mediante la mobilitazione dei sapori locali, soprattutto attingendo al ricordo degli anziani. Poiché le pratiche agricole sono escluse dall’obbligo di acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica è scontato che per i paesaggi agrari nella pianificazione paesistica si dovrà provvedere unicamente all’individuazione di misure di valorizzazione la quale, in base alla Convenzione Europea del Paesaggio cui il Codice Urbani si è conformato, appartiene alle azioni che devono essere contenute in ogni piano paesistico.
Appartiene alla valorizzazione, ma nello stesso tempo risponde alle esigenze di assicurare il godimento da parte di chiunque del paesaggio il quale è un «bene comune», e non un fatto privato dei proprietari terrieri che tendono a recintare i propri fondi escludendo il passaggio di altri, il favorirne la percorribilità. L’obiettivo è l’accessibilità a questo particolare bene comune che può essere perseguito mediante il ripristino di antichi viottoli a servizio dei campi coltivati da percorrere a piedi, in bici o a cavallo. Senza giungere all’esproprio bensì regolamentando con accordi l’uso di questi tracciati si permette l’osservazione ravvicinata della campagna e delle colture impiantate.
Alcune delle tantissime strade interpoderali realizzate dalle «società semplici», cioè dal consorzio dei confinanti di fondi, ben 5.000 chilometri, possono essere trasformate in piste ciclabili. Se non proprio piste di sci di fondo, durante il periodo invernale è possibile pensare a dei tracciati battuti per la pratica dello sci di fondo, un modo diverso per osservare l’agro nelle zone in quota quando innevate; il problema, a questo proposito, è che l’agricoltura di montagna è stata la prima a sparire trattandosi la fascia appenninica di quell’«osso» contrapposto alla «polpa» descritto da Giustino Fortunato. Rimangono, comunque, percepibili i muretti a secco che cingevano le parcelle agrarie oggi abbandonate. Va precisato, infine, che il consentire il transito nei sentieri tra gli appezzamenti agricoli non significa permettere alle persone di fruire di “esternalità”, alla stregua, per intenderci, del panorama per un automobilista di passaggio, quanto di immergersi nel paesaggio agrario, un’esperienza molto interessante.
Francesco Manfredi Selvaggi643 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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