Paesaggio agrario, uno speciale tipo di paesaggio

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Il ministro delle politiche agricole ha avviato un censimento dei contesti paesaggistici caratterizzati da particolari forme di coltivazione. Anche il Molise partecipa a questa catalogazione (Ph. F. Morgillo-La campagna bassomolisana)

Il Ministero per le politiche agricole ha promosso la costituzione di un catalogo dei paesaggi agrari più significativi presenti in Italia; la ricerca ha condotto all’individuazione, finora, di un certo numero di contesti rurali interessanti da questo punto di vista distribuiti in tutte le regioni italiane. È un’indagine che proseguirà nel tempo e non si potrà considerare mai conclusa tanto è ampio il patrimonio paesaggistico connotato da agricoltura tipica nella nostra nazione. Nel Molise dove il territorio è prevalentemente rurale essendo limitata l’urbanizzazione è ancora più rilevante il tema dei paesaggi agrari.

Nella prima tornata della rilevazione ministeriale, alla quale hanno partecipato anche le Regioni, gli Enti locali e le associazioni di tutela inviando segnalazioni secondo appositi format, nell’abito molisano sono state individuate 5 tipologie di paesaggi agricoli per le quali sono indicati gli ambiti in cui sono maggiormente riconoscibili. Per le aree arborate vi sono gli ulivi di Venafro rientranti in un apposito parco naturale, per le colture cerealicole la zona di Melanico nel comune di S. Croce di Magliano frutto dell’azione della Riforma fondiaria, per il latifondo, modalità di gestione di tipo estensivo del suolo vi è la Pista di Campomarino, per la zootecnia non potevano mancare i tratturi con l’attenzione posta all’alto Molise che è un po’, qui da noi, il regno della pastorizia e, infine, le coltivazioni orticole scegliendo sempre ai fini esemplificativi il comprensorio delle Sorgenti di Monteroduni.

Quest’ultimo è significativo anche dal punto di vista della vulnerabilità perché per la sua scomparsa basta che diminuisca, magari perché dirottata verso altri usi, l’acqua di irrigazione senza la quale le produzioni orticole vengono abbandonate. Va precisato che non si tratta di riconoscimenti di paesaggi conclusi estendendosi essi a raggruppamenti di appezzamenti aventi il medesimo ordinamento colturale, seppure non contigui fra loro; vi è, però, un limite dimensionale che è di 2.000 ettari entro il quale si devono trovare le varie superfici con agricoltura conforme al tipo di paesaggio classificato, seppure discontinue.

Che porta dal dicastero delle politiche agricole e non da quello per i beni culturali è spiegabile con l’interesse ormai maturato nella programmazione dello sviluppo rurale ad una visione complessiva della campagna, mirando al sostegno di singole iniziative aziendali, bensì delle unità comprensoriali all’interno delle quali sono comprese. Da progetti a scala di azienda, dunque, a quelli di dimensione territoriale nella considerazione che l’agro rurale non è una semplice sommatoria di imprese agricole necessitando un suo sviluppo complessivo. Una corretta programmazione nel settore dell’agricoltura non basta né la limitazione al «consumo di suolo» all’interno della pianificazione urbanistica e nemmeno l’apposizione di vincoli, derivanti tanto dalla creazione di parchi quanto dalla tutela paesaggistica, per salvaguardare il paesaggio agrario; esso è minacciato più che da fattori esterni da tensioni interne ad esso.

Queste ultime sono di due tipi, l’uno riguardante le zone dove si sono affermate le coltivazioni moderne, l’altro è la diffusione del fenomeno dell’abbandono dei campi nelle aree sfavorite. Modernizzazione equivale a dire introduzione di ordinamenti monoculturali o, al più, bicolturali associata alla meccanizzazione delle lavorazioni. Ambedue questi fatti portano ad una semplificazione del paesaggio: le monocolture hanno portato alla scomparsa della coltura promiscua tradizionale, le macchine hanno imposto la regolarità nella disposizione delle piante, siano esse cereali siano ortaggi, con i solchi che si devono disporre ormai secondo le linee di massima pendenza e con l’eliminazione degli alberi, caratterizzanti la promiscuità delle colture, per favorire il passaggio degli apparecchi.

Tanto l’introduzione dei trattori per i quali i canali di gronda di un tempo costituiscono un intralcio quanto l’arretramento delle agricolture da sempre maggiori porzioni di territorio hanno determinato l’assenza di controllo del deflusso delle acque superficiali. La collina e la montagna per via dell’inclinazione del suolo sono i luoghi in cui si è avuta una significativa ritrazione delle coltivazioni, mentre nelle fasce pianeggianti le nuove produzioni hanno portato ad un impoverimento dell’immagine delle campagne. Non è detto che tutte le forme di agricoltura portino ad un bel paesaggio né che l’inselvatichimento degli appezzamenti agrari conduca alla loro rinaturalizzazione.

Sia l’affermarsi della tecnologia e delle innovazioni agronomiche sia la rinuncia a coltivare le superfici meno produttive ha quale conseguenza, inoltre, la scomparsa di tratti salienti dell’agro molisano; in verità i più significativi erano concentrati in quelle che si denominano aree interne in quanto le pianure erano alluvionabili e malsane. È da sottolineare che la nostra non è l’unica volta in cui l’assetto delle campagne ha subito un rivolgimento profondo, anzi vi sono state frequenti cambiamenti a cominciare dall’epoca romana quando si affermò in alcuni circondari, vedi Sepino, la «centuratio», per passare alla colonizzazione dei benedettini in età medioevale nei propri cospicui possedimenti con la bonifica del suolo e la creazione di abitati, ad esempio la «terra sancti vincentii», proseguendo ai primordi del Rinascimento con l’istituzione della transumanza e, al termine del periodo feudale, nel XIX secolo, con l’affermarsi della mezzadria.

Il 1900 vede il riscatto delle piane, o meglio la «redenzione delle terre», l’espressione ufficiale, specialmente prosciugando gli acquitrini, azione completata con la Riforma fondiaria del 1953. Il Servizio Pianificazione e Gestione Territoriale e Paesaggistica della Regione Molise sta portando avanti il riconoscimento dei siti nei quali sono leggibili caratteri peculiari del paesaggio agrario allo scopo di formulare la candidatura per quelli meglio conservati alla iscrizione nell’apposito Registro ministeriale. Tra questi vi è, sicuramente, l’ambito paesaggistico connotato dal sistema mezzadrile ricadente nel territorio di S. Massimo che, accanto alla qualità del paesaggio, vede la persistenza di impianti edilizi deputati alla gestione delle «tenute» di evidente valore architettonico.

Francesco Manfredi Selvaggi581 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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