Il porto si amplia, anzi si allunga

Il nuovo molo previsto nel progetto di ampliamento del porto di Termoli si protende di molto nel mare. Le conseguenze sul paesaggio.

Il progetto dell’ampliamento del porto di Termoli porterà alla configurazione di un bacino portuale in parte, quella coincidente con l’insenatura assai pittoresca che da sempre è servita da attracco (in verità, c’era anche quella dell’attuale spiaggia di S. Antonio), naturale e per il resto completamente artificiale per via dell’allungamento del molo che si verrà a protendere nel mare aperto. Questo secondo pezzo poiché non più riparato dal promontorio dove sorge il Borgo Antico verrà protetto da un alto muro paraonde (di cui parleremo in seguito).

D’altronde non ci sono soluzioni alternative se si vuole un grande porto presentando la nostra costa requisiti di scarsa portuosità con la mancanza non solo di vere e proprie baie, ma pure di semplici cale con l’eccezione di quelle indicate. Su per giù il disegno dell’ingrandimento del porto segue quello previsto nel Piano Regolatore Generale che è del 1972, il quale contiene pure un porto industriale alla foce del Biferno destinato a diventare un canale navigabile; tale porto ha la forma di un’isola, distanziata dalla terra ferma, forse (non è specificato nei documenti del PRG) per permettere l’attracco di imbarcazioni con un maggiore pescaggio come sono quelle destinate al trasporto di merci.

La necessità di garantire alle navi mercantili un attraccaggio in acque profonde ha portato a destinare la zona più avanzata del porto nella progettazione presentata a questi veicoli, mentre, si fa rilevare, non sembra essa la motivazione dell’estensione del molo nella planimetria dello strumento urbanistico. Emerge nella comparazione la previsione di porto del PRG e quella della proposta progettuale in esame da parte della Regione una cesura nella banchina posta al limite della penisoletta sulla quale sta il centro storico di Termoli che divide l’area portuale che abbiamo definito «naturale» dal prolungamento oltre tale limite, apertura che non compare nell’assetto definitivo, cioè nella fase finale del nuovo progetto, poiché viene chiusa.

È legittimo ritenere che nell’idea originaria non si dovesse trattare di un’ulteriore darsena quella che si è chiamata zona portuale «artificiale», bensì di una sorta di anticamera per i natanti prima di accedere al porto (da cui il varco nella banchina). Proprio per la separatezza fra le due porzioni di porto, quella contigua alla fascia costiera e quella per intero circondata dalle acque, i loro destini, per così dire, possono essere disgiunti, rimandando tale valutazione approfondita degli impatti che il lungo molo che si distende al largo al momento dell’emersione del fabbisogno di attracchi per il traffico commerciale, il quale finora nella cittadina adriatica non è emerso.

Le previsioni a lungo termine (in quanto la fase terminale è programmata per il futuro) vanno evitate, altrimenti si corre il pericolo di sovradimensionare questa infrastruttura e di farne un’opera non fattibile economicamente. Considerazioni analoghe sono comunque nell’atto conclusivo della procedura di Valutazione Ambientale Strategica terminata nel 2012; qui le preoccupazioni sono state innanzitutto di tipo paesaggistico perché il molo da costruire con la sua consistente barriera laterale a protezione dalle onde potrebbe alterare l’immagine del paesaggio costiero.

Uno dei panorami, peraltro, di maggiore valore del nostro litorale, addirittura un tratto identitario, estremamente riconoscibile da diverse angolazioni visuali, anche dal mare nell’approssimarsi alla costa. Questa altura su cui poggia la vecchia Termoli essendo l’unica lungo la linea costiera è ben visibile da distanze. Non si tratta solo di una questione percettiva, ma anche semantica poiché il promontorio è un posto di notevole significato storico e artistico a ragione della concentrazione di monumenti qui presenti, dal castello svevo alla cattedrale in stile romanico-pisano.

Il borgo marinaro costituisce un fulcro visivo per chi osserva da lontano e, nello stesso tempo, è un punto di osservazione privilegiato alla stregua di un belvedere, una sorta di balcone sul mare. L’ampliarsi del porto potrebbe portare con se, se non studiato con accuratezza, un deteriorarsi delle sopradette valenze le quali rappresentano un bene tanto di natura culturale che economica essendo attrazioni turistiche di forte richiamo. Un differente motivo di preoccupazione è di carattere idrogeologico in quanto gli aggetti dei moli, specie se di notevole estensione, sono fattori di interruzione del trasporto sedimentario.

Per capire la portata di questo problema dobbiamo partire dalla considerazione che è il ciclo della sedimentazione a determinare la fisionomia di una costa bassa com’è quella molisana. La costa bassa è una striscia di territorio, sia se larga sia se stretta, di transizione fra la terra ed il mare, ed il confine fra i due è assai mutevole. La costa bassa presenta quale sua caratteristica un litorale sabbioso che si trasforma continuamente in dipendenza del deposito di sabbia dovuto alle correnti litoranee. Si hanno sezioni della costa nelle quali si registra un avanzamento della battigia e in altre di un ritiro.

In base al fenomeno della sedimentazione è possibile suddividere in unità lisiografiche la costa del Molise delle quali quelle situate a nord e a sud sono incentrate sulle foci fluviali, i fiumi, rispettivamente il Trigno e il Biferno, essendo gli elementi che apportano i sedimenti. La terza unità è quella che sta al centro dominata dal promontorio di Termoli, l’unica emergenza morfologica in una fascia litoranea per il resto rettilinea: esso devia i flussi dei sedimenti e tale capacità di condizionare la circolazione dei granelli di sabbia verrà accentuata con la realizzazione del molo. C’è un rapporto stretto, in definitiva, tra paesaggio e processi sedimentari con la creazione delle tre macroaree.

Nel settore posto immediatamente sottoflutto rispetto al porto vi è un tratto di costa alta con la parete riparata dall’azione del mare da un’orlatura sabbiosa; essa impedisce l’abrasione al piede della falesia facilmente disaggregabile in quanto formata da terreni poco resistenti e, pertanto, propensi a franare tanto che si decise di difenderla con un muraglione. Di tutto ciò bisogna tenere conto nella determinazione dell’assetto completo dell’area portuale, con le ricadute ipotizzabili sulla fruizione del litorale il quale negli ultimi decenni si è dotato di attrezzature per il turismo balneare. Per concludere, data la delicatezza dei temi in gioco e considerato che nella programmazione delle attività la fase finale dell’ampliamento del porto è posposta nel tempo si è dell’avviso che vi sia la possibilità di effettuare ulteriori studi sull’incidenza del manufatto sul territorio.

Francesco Manfredi Selvaggi606 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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