Alle acque il bacino sta stretto
di Francesco Manfredi-Selvaggi
La dimensione ottimale per il governo delle acque, lo si è scoperto da poco, non è più quella per singoli fiumi, bensì per aggregazione tra questi
A seguito di Direttive emanate dall’Unione Europea si è avuta una autentica rivoluzione nella gestione dei bacini idrografici. L’Autorità di Bacino dei fiumi Trigno, Biferno, Fortore è ormai sparita rientrando nell’Autorità di Distretto Centro-meridionale e con essa è scomparsa l’Autorità di Bacino Nazionale che era quella del Volturno. L’Autorità di Bacino che interessava il Molise, va detto, non era propriamente Interregionale perché non si occupava di un unico bacino a confine tra più regioni, ma di tre bacini distinti (anche se a livello di acque sotterranee il Trigno e il Biferno sono, nel loro tratto terminale, comunicanti) il cui denominatore comune è che c’è sempre il nostro territorio regionale; in qualche modo si può dire che l’ambito dell’Autorità di Bacino presente qui da noi era un minidistretto.
Si è parlato di elemento unificante riguardando fiumi molisani, ma non è desumibile da ciò che fossimo di fronte ad un organismo preposto a tutti i corpi idrici del Molise poiché non includeva il Sangro invece ricompreso nell’Autorità del Tevere. A proposito di questo aspetto, considerato che il Sangro che è stato parte del Bacino del Tevere ora appartiene all’Autorità di Distretto dell’Italia Centrale, è da evidenziare che la delimitazione dei distretti è stata effettuata per aggregazione di bacini idrografici e non per regioni, impedendo così politiche a scala regionale unitarie in materia idrica e idraulica.
Oltre a non tener conto dei confini regionali i distretti, almeno quelli dell’Italia peninsulare nella quale siamo collocati, non badano neanche al fatto che all’interno di uno stesso distretto vi sono aste fluviali dirette verso mari differenti. Per rimanere al Molise, vediamo che il Distretto in cui siamo inseriti, comprende tanto il Volturno che sversa nel Tirreno quanto gli altri corsi d’acqua molisani che vanno nell’Adriatico. Sembra che la suddivisione distrettuale non si sia importata dei criteri idrologici.
Lo ha voluto l’Europa e sarà perché nel resto del continente trattandosi prevalentemente di distese pianeggianti i fiumi sono grandi e, quindi, i bacini di dimensioni estese, dimensione alla quale devono uniformarsi tutti, pure in aree come quella appenninica dove il tormentato assetto geomorfologico porta ad avere una rete idrica estremamente parcellizzata e, di qui, piccoli bacini idrografici. C’è, però, un vantaggio nella creazione delle Autorità di Distretto che è quello del coordinamento presso di essa delle varie strutture che si occupano dei temi connessi al governo delle acque.
A cominciare dai settori preposti alla difesa del suolo e alle risorse idriche delle Regioni. Una qualche frammentazione di competenze si è avuta anche a livello centrale con la gemmazione, in base alla legge 183 del 1989 dello storico Servizio Geologico d’Italia che risaliva al 1873 quando si chiamava «regio ufficio geologico» e di 4 Servizi Tecnici nazionali, l’Idrografico e Mareografico oggi sostituito dai Centri Funzionali presenti in ogni Regione che, invece sarebbero dovuti essere appendici di questo, il Sismico, attualmente alla Protezione Civile che da quando è nata, oltre un quarto di secolo fa, va occupando sempre più numerosi campi d’attività, il Servizio Dighe diventato Registro Italiano Dighe e, appunto, quello Geologico in seguito ricompreso nell’ISRA.
Un ruolo in materia lo hanno pure i Consorzi di Bonifica a dimostrazione della congerie di soggetti e, di conseguenza, del rischio di disomogeneità nelle strategie di azione alle quali l’Autorità di Distretto si vuole opporre. Quasi ad attenuare la centralizzazione dei bacini, vale a dire dei fiumi, nell’Autorità distrettuale vi è stata la comparsa con apposita disposizione normativa della figura giuridica del Contratto di Fiume del quale si è parlato molto pure qui da noi in convegni e manifestazioni, in verità solo in quelli senza che vi sia stata finora alcuna iniziativa in sede istituzionale e, del resto, è concepito che sia proposto dal basso.
Esso serve a regolamentare gli usi delle acque di un singolo fiume attraverso un accordo tra i molteplici portatori di interesse (agricoltori, pescatori, canonisti, ecc.) e non si può ritenerlo un atto né di pianificazione, né di programmazione, bensì di governance. Che sia necessario ricomporre i conflitti che si generano sugli impieghi della risorsa idrica è dimostrato dalle opposizioni che in più di una occasione si sono avute per la concessione di acqua ad imprenditori del comparto idroelettrico; queste sono contestazioni, per così dire, in “negativo”, mentre mancano quelle in “positivo”, magari per il recupero di un vecchio mulino.
L’acqua è una questione di primaria rilevanza sia in senso negativo che positivo, per continuare a utilizzare questi due termini, e la evidenza di ciò ce la offre il basso Molise il quale ha, da un lato, un problema di eccessiva quantità di acque, un modo per dire che è soggetto ad inondazioni come quella del gennaio 2003, e, dall’altro lato, di scarsità di acque a scopo potabile e per l’irrigazione, scarsità che è stata superata con la realizzazione dell’invaso del Liscione (per quella da bere è in costruzione l’Acquedotto Molisano Centrale che permetterà alla popolazione costiera di approvvigionarsi dalle sorgenti del Biferno e non più dall’invaso di Guardialfiera).
In definitiva, l’impegno deve essere quello di predisporre una organica politica delle acque che nella nostra regione non sono una risorsa scarsa, ma un bene mal distribuito tra Molise interno e fascia litoranea e per far questo basterebbe una autorità di bacino regionale. Se, però, si tiene conto che dal territorio molisano avvengono verso altre regioni, cioè Campania e Puglia, trasferimenti di acque sotterranee a favore della prima (quella del Matese da Boiano e quella del S. Bartolomeo da Venafro) e superficiali per la seconda dal lago di Occhito è facile comprendere che bisogna andare oltre la dimensione regionale.
È indispensabile, è evidente, che occorre superare pure la divisione per bacini con il traverso come già avvenuto delle acque del Sangro, del quale il Rio Torto che contribuisce ad azionare la grande centrale idroelettrica di Rocchetta al Volturno è un affluente, nel Volturno e che si vuole attuare tramite impianto di sollevamento delle acque del Liscione, quindi del Biferno, nel bacino idrografico del Fortore in cui rientra la piana di Melanico a fini irrigui. Di qui l’esigenza di una gestione “distrettuale” se non sovradistrettuale nel caso del Sangro che si ricorda non sta nel Distretto dell’Italia Centromeridionale, bensì in quella Centrale.
Francesco Manfredi Selvaggi628 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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