Il vescovo Bregantini è solidale con Mimmo Lucano. Lui lo conosce bene

di Alberto Tarozzi

Non conosce mezze misure il vescovo di Campobasso Giancarlo Bregantini, protagonista con Mimmo Lucano di tante battaglie, tra cui le marce contro le mafie, quando era vescovo della Locride. Venuto a conoscenza degli arresti domiciliari del Sindaco di Riace, Bregantini esprime ufficialmente profonda amarezza e dolore pensando al sindaco e  alla comunità del paese e della Calabria tutta, dove, per 14 anni, è stato Vescovo . Vicinanza e solidarietà, a conforto dell’ amico Mimmo e per tutti i fedeli della zona.

Convinto “che l’agire di questo sindaco, coraggioso e tenace, sia stato fecondo di bene e fortemente progettuale”. In, un itinerario a tratti anche rischioso, “spesso dovendo scontrarsi con logiche di comodità o di interessi malavitosi”. Per lui Lucano rappresenta la figura di un uomo lungimirante, “un sindaco che ha capito che solo valorizzando gli immigrati si porterà beneficio ai nostri cittadini italiani. Non uno contro l’altro, ma solo insieme”. Il vescovo non manca neppure di sottolineare la spinta profetica di Lucano,che lo portava a guardare ben oltre i ristretti steccati del paese”.

Fiducia nella magistratura, come non potrebbe, ma con l’avvertimento di quanto sia necessario lo spegnersi dei toni. Fin qui le parole di un vescovo, che laicamente ci sentiamo di condividere, parole che giustamente non si limitano ad esaltare l’umanità di una persona, ma ne sottolineano la progettualità lungimirante e profetica.

In effetti, Mimmo Lucano non è un brav’uomo un poco fesso, ma carico di umanità che senza rendersene più o meno contro ha violato la legge ingenuamente e che va difeso contro un ministro reazionario. Non è una bottiglia molotov da lanciare contro il fronte dei cattivisti respingenti, per lasciare che bruci e si esaurisca da sola, una volta passata la prima fiammata. Non è un buonista da arruolare limitatamente all’abolizione della Bossi Fini, adesso che i problemi per i rifugiati vanno ben oltre gli ostacoli di quella legge, che mirava a colpire una forma di migrazione tradizionale che poco ha a che vedere con gli sbarchi e che oggi si sta riducendo.

Mimmo Lucano è una persona che si è occupato degli sbarchi a partire dal 1998, quando al massimo potevamo rimirarci nello specchio della nostra buona coscienza per avere accolto qualche migliaio di albanesi in Puglia, magari affogandone pure un centinaio, per fatale combinazione, nel 1997, nel canale d’Otranto. La grande colpa di Mimmo Lucano è stata quella di coniugare l’umanità all’intelligenza. E intelligenza significa capire le situazioni drammatiche per saperle affrontare e risolvere.

Significa capire che una legge non funziona, ma non solo una legge, badate bene e ficchiamocelo nella testa. Non solo una legge, ma tutto l’apparato di norme applicative, disposizioni transitorie e trafile burocratiche che ne sono seguite in disordine sparso, non funziona.

E allora ci sono due cose da fare. La prima è sporcarsi le mani con l’esistente, capire che quella legge “presenta tantissime lacune e tante interpretazioni” (come dice Mimmo) e allora devi cercare quelle più elastiche e utilizzarle. La seconda è che nessuna legge che esprima un conflitto tra gli interessi di questo o di quell’altro gruppo o classe sociale è stata mai modificata senza conflitti, lotte che comportassero, al limite, una violazione della legge medesima. La legalizzazione dello sciopero la si è ottenuta mettendo sul piatto della bilancia i rapporti di forza costruiti e modificati scioperando, quando lo sciopero era illegale. Questo, ogni tanto, varrebbe la pena di ricordarselo.

La disubbidienza civile è un’altra cosa e, anche se Lucano ne parla, lui con Pannella ha ben poco a che vedere. Il disubbidiente soffre e ostenta il suo sacrificio per fare uscire chi vuole difendere da una situazione di sofferenza. Mimmo Lucano sa benissimo che se avesse ostentato le proprie eventuali infrazioni, anziché tenerle al coperto, coloro che intende proteggere sarebbero stati fottuti seduta stante. Se si comportasse come Pannella, che si è battuto per altri tipi di diritti, non sarebbe coerente, sarebbe cretino.

E Mimmo Lucano, ci dispiace per chi vorrebbe che fosse tale per usarlo, come bersaglio o come molotov, tutto è fuorché cretino. Avrà commesso errori, ma vi assicuro per averlo conosciuto, cretino non lo è per nulla. In 30 anni che si sente parlare di sviluppo locale, come strategia che sappia coniugare le esigenze di componenti sociali e culturali differenti, non mai si è vista realizzare, in Italia, come a Riace, una costruzione socialmente così coesa di interessi pur sulla carta differenti. Fortune lo ha collocato tra i 50 personaggi più importanti al mondo per la sua capacità di produrre idee nuove e tradurle in pratica, non perché si tratta di un bonaccione con la lagrima sul viso.

Qualcuno parla di Modello Riace: basta intendersi, sulle parole. Se per modello si intende un santino da riprodurre su scala industriale, per illuminare di luce riflessa i quattro angoli del mondo, quanto fatto a Riace non è un modello. Nel resto del mondo non ci sono le prostitute nigeriane che sono arrivate a Riace e non vogliono tornare a sottomettersi ai magnaccia e devi aiutarle facendo i salti mortali perché il rimedio non sia peggiore del male; non ci sono i mille occhi puntati a vedere se violi qualche norma, naturalmente senza metterti un soldo in tasca; non ci sono giudici pronti a montarti addosso un castello di accuse delle quali l’80% risulta poi costituito da aria fritta; non c’è la ‘ndrangheta che aspetta il momento buono per farti fuori.

E neppure ci sono le attività commerciali da rivitalizzare, le scuole da riaprire con nuovi scolari, i laboratori artigianali nei quali far confluire saperi lontani. Da riprodurre tale e quale ci sarebbe, è vero, lo spirito di umanità, ma solo con quello ci fai le filastrocche che non incantano chi si trova il rifugiato sotto casa, mentre si sta facendo una canna per far passare un tempo che non passa mai, nell’attesa di un giudizio di assenso o di diniego che nemmeno Kafka saprebbe prevedere.

Con l’intelligenza puoi fare molto di più, con la conoscenza dei tuoi luoghi, con l’ascolto di chi ti racconta la sua storia puoi andare molto più avanti. Un modello? Forse no, magari un modo di affrontare le cose senza stancarsi mai di studiare il proprio territorio e le tracce di chi proviene da un altrove sconosciuto. Sperimentando il nuovo, correndo il rischio dell’errore, come un Galileo qualsiasi, che invece delle stelle guarda in faccia i propri simili. Ma l’intelligenza è una risorsa scarsa. L’umanità la puoi ritrovare, sui bordi della strada, un giorno o l’altro. L’intelligenza, una volta perduta o sconfitta o sciupata, non la recuperi più.

Per questo Riace deve vivere, con o senza Mimì capatosta. E’ il titolo di un libro dedicato a Lucano qualche mese fa. Ma a lui il titolo non lo entusiasmava, perché il cambiamento non è il frutto delle capacità di un singolo, ma il frutto di una sforzo collettivo. Riace deve vivere, perché l’intelligenza profusa in 20 anni, da Mimmo e da altri, per costruire quella realtà, non vada dispersa. Perché allora ci resterebbero solo le giaculatorie tra buonisti e cattivisti, tra accoglienti e respingenti. E di quelle facciamo sinceramente a meno.

Mimmo Lucano una persona intelligente che si è trovato a dover lavorare con una normativa astrusa che definisce “balorda” e ha deciso di provare a rivoltarla come un guanto, interpretandola in maniera elastica a favore dei più deboli. Non un buonista da baraccone, che crede che cancellare una brutta legge come la Bossi Fini metterebbe d’incanto le cose a posto, ma un operatore sul cui lavoro tutti, non solo a sinistra, avrebbero dovuto e potuto riflettere. Sui suoi successi e. perché no?, sui suoi errori (ovvio che è da 20 anni che deve fare le barricate e qualche cavolata può essere sfuggita anche a lui).

Non troppa simpatia per chi adesso e solo adesso si è accorto di lui per utilizzarlo come se i finanziamenti gli fossero stati tagliati solo in presenza del governo attuale. Dalle intercettazioni pare che Lucano non fosse entusiasta di Minniti. Lasciamo a ciascuno di decidere se questa sua opinione, di un calabrese su di un altro calabrese, faccia parte dei suoi errori. Ricordiamo solo che molti anni fa il grande meridionalista Guido Dorso scrisse che il sud d’Italia poteva essere salvato da 100 uomini di ferro. Ci restano da trovare gli altri 99.

Fonte: Alganews

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