Il paesaggio in dettaglio

di Francesco Manfredi-Selvaggi

I dettagli costruttivi caratterizzano l’architettura del posto e con essa anche il contesto paesaggistico.

Ci sono alcuni dettagli nell’edificazione di residenze o nella loro ristrutturazione che, pur se piccoli, sono capaci di alterare l’immagine architettonica. Si pensi alla conformazione dell’incasso delle aperture, o meglio se in facciata vi sono rientranze in coincidenza con le porte, perché denunziare lo spessore della muratura o meno è significativo in quanto si dà risalto alla corporeità della parete oppure, all’opposto, con gli infissi a filo facciata emerge una concezione della stessa alla stregua di un velario; nella cultura del costruire radicata in un luogo può prevalere uno dei due modi.

Nella storia dell’architettura vi sono stati momenti nei quali si è affermata la completa uniformità della superficie del manufatto, come nel periodo paleocristiano, e altri dove si è andata recuperando, figurativamente, il valore della materiacità delle cose, del muro in sé stesso non come semplice supporto di decorazioni e ciò avviene a partire dal Romanico quando si ha la riscoperta dell’uomo e delle cose terrene. Per quanto riguarda le cornici a risalto intorno a porte finestre il discorso è diverso e comincia nel Rinascimento durante il quale si riscoprono gli ordini classici, ma è nel Barocco che si fa un diffuso impiego di modanature sui prospetti per movimentarli (se non drammatizzarli) e qualcosa di ciò rimane pure nella nostra produzione edilizia fino al XIX secolo.

Gli ingressi sono un discorso a parte perché qui la cornice si chiama portale il quale è rappresentativo della famiglia che vive in tale casa. Per questa ragione non ha tanto senso la presenza del portale, come pure succede, quando l’entrata all’abitazione è posta al di sopra di una scala esterna, elemento tipico specie delle dimore rurali, poiché lo si vede da distante. Rimaniamo sul tema della scala esterna per dire che essa è sempre ad una sola rampa e serve a differenziare il piano basamentale destinato a servizi e quello soprastante che è abitativo; questo, lo si rimarca, non è un fatto esclusivamente funzionale, bensì appartiene al modo di sentire condiviso sul ruolo dei livelli di un manufatto costruttivo, una questione, in definitiva, culturale.

Ritorniamo ora indietro ad osservare l’ingresso: qualora non vi siano gradini a separare l’interno dall’esterno la porta o portone che sia essa o appare quasi un collegamento tra vani, da uno coperto a uno scoperto, piuttosto che il transito tra uno spazio di vita familiare e il luogo della comunità, con il contrasto tra ambito raccolto e ambito senza limiti fisici. Soffermandoci sempre sull’accesso all’abitazione e osservando ora la sua posizione vediamo che essa è dettata, salvo che nelle villette unifamiliari con giardino, dai rapporti che si istituiscono con la morfologia urbana.

Per comprendere meglio il concetto esposto è forse utile una esemplificazione che è la seguente: nel caso di un complesso edilizio che affaccia su uno slargo con gli ingressi di tutte le unità abitative che si aprono su di esso non è corretto che si sposti l’entrata di una di queste sul retro e lo stesso si può dire di un gruppo di case a schiera con l’ultima (può essere anche una intermedia) che preveda che si debba entrare dal fronte opposto a quello del resto della serie. Passiamo adesso a vedere il rapporto della casa con il clima dal quale ne discendono specifici accorgimenti costruttivi che vanno rispettati, magari attraverso apposite prescrizioni da impartire sia nel caso di progetti di nuova edificazione sia nel caso di una sanatoria, per rispettare modi consolidati nella tradizione locale di adeguamento all’ambiente, se marino se montano ecc., dell’edilizia.

L’adattamento alle condizioni climatiche comporta una certa pendenza del tetto, una determinata ampiezza delle bucature, la sporgenza delle gronde. Queste ultime, o meglio il cornicione, costituiscono a volte elementi caratterizzanti in modo forte il fabbricato tanto, quando sono sostenute da mensole in pietra che quando sono sorrette da “romanelle”, in uno o più filari, che se sono sporti in legno come si vede nelle vecchie caserme del Corpo Forestale dello Stato e nelle stazioni delle linee ferroviarie minori. È una questione importante ai fini della definizione dei caratteri formali di un manufatto pure quella del colore.

Essa si intreccia con altre tematiche trattate in precedenza, relazioni che illustriamo una per una. La prima è quella della facciata in cui le aperture sembrano fessure: la sua colorazione con tinte tenui fa spiccare maggiormente l’oscurità data dalla profondità di tali fessure come le abbiamo chiamate. La seconda è attraverso il colore, differente da quella del prospetto, può sostituire le modanature in pietra o mattone oppure l’intonaco ringrossato per contornare le finestre. La terza è che attraverso una unità coloristica si riesce ad evidenziare l’uniformità di un aggregato edilizio, del tipo di quelle case a schiera di sopra.

La quarta è che le fasce colorate sono in grado di generalizzare un prospetto alla stessa maniera delle partizioni lapidee, a evidenziare l’ingresso che ne è il punto focale, a bloccare figurativamente l’estensione del fronte al posto di cantonali, seppure la pietra viva dei quali sono fatti rappresenta una chiusura della facciata intonacata ben più brusca, un autentico fermo. Ciò di cui si è discusso finora riguarda l’effetto della tinteggiatura in una visione da vicino, mentre in una vista da lontano, per quanto riguarda gli aggregati urbani, non conta la tinta del singolo fabbricato, bensì quella dell’insieme e pure qualora le «stecche» edilizie fossero caratterizzate da una successione di corpi ciascuna con una propria colorazione (come succede, per intenderci, a Burano, l’esempio più famoso, ma siamo in una ben differente realtà) dalla lunga distanza si apprezzerebbe come una macchia coloristica unitaria.

Il colore richiede che ci sia l’intonaco e questo non è detto che ci sia o che ci sia stato su quel prospetto; vi può essere stata applicata una scialbatura con latte di calce e tinta incorporata che non riesce ad occultare completamente la tessitura muraria della parete. Riuscire a riconoscere ciò è un compito gravoso per il valutatore degli interventi da eseguire e, alla stessa maniera, è difficile decidere se la muratura in pietra o mattoni vada lasciata a vista così come vuole lo stile vernacolare, o vada intonacata.

Francesco Manfredi Selvaggi641 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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