Ospedale in formato ridotto

di Francesco Manfredi-Selvaggi

È quello di Agnone. È valido per gli ospedali di qualsiasi taglia la necessità di adeguare gli stabili che li ospitano sia per confermarne la funzione ospedaliera sia per attribuire loro altre destinazioni.

Qualcosa bisogna fare perché ormai il nostro patrimonio immobiliare sta diventando vetusto essendo trascorsi in media 40 anni da quando gli attuali nosocomi molisani sono stati costruiti. Una delle principali problematiche è quella dell’adeguamento statico perché le disposizioni sismiche vigenti all’epoca della loro edificazione sono oggi superate. Se non si hanno le risorse economiche sufficienti per procedere ad una messa a norma bisogna, almeno, ripensare il piano di protezione civile per garantire la salvaguardia della vita dei ricoverati (e degli altri utenti) in occasione di eventi tellurici.

Va considerato che trattasi di una utenza per così dire, debole che, di certo, ha difficoltà, in quanto allettata, a seguire le indicazioni usuali come quella dell’evacuazione tramite le vie di fuga. Gli investimenti per l’edilizia sanitaria sono necessari per la sicurezza, anche quella antincendio, e sono opportuni se si tiene conto che gli stabili che abbiamo ereditato impongono elevatissimi costi di gestione; le spese più consistenti sono quelle per il riscaldamento degli ambienti, con il corrispettivo raffrescamento, e la manutenzione edile.

È conveniente rinnovare questi edifici pure per un altro ordine di ragioni che è quello della funzionalità in quanto concepiti secondo modelli organizzativi delle attività sanitarie ormai superati per cui l’ospedale si rivela poco efficiente. Ora ci poniamo un diverso tipo di domanda, collegata alla questione se tale manufatto vada ristrutturato integralmente oppure essere oggetto di limitati interventi di aggiornamento, che è quello se è più proficuo che la struttura continui a ospitare funzioni ospedaliere o essere riconvertita ad un differente uso al quale magari si presti meglio.

In verità, a determinare l’impiego a sede di ospedale è innanzitutto la programmazione regionale della rete ospedaliera nella quale può essere stabilito che il tale nosocomio è ormai superfluo rispetto alle esigenze di assistenza sanitaria per cui va chiuso. La soluzione di trasformarlo, in ispecie il piccolo ospedale, in RSA, residenza sanitaria assistita, da sola oppure inglobata in qualcos’altro come l’“ospedale di comunità” di cui si parla nel POS, piano operativo straordinario, deve fare i conti con il layout esistente poiché la distribuzione delle camere e la loro dimensione, con i lunghi corridoi trattandosi di un ex ospedale, si presta male ad un utilizzo residenziale, sia pure particolare.

Spazi così ampi richiederebbero per il loro presidio (pulizia, sorveglianza, ecc.) tanto personale, un numero superiore a quello degli operatori impegnati nell’assistenza vera e propria ai pazienti e ciò è chiaramente illogico. Questo potrebbe essere il caso in cui l’immobile è da demolirsi, che, secondo quanto abbiamo visto sopra, è l’ultima ratio. Potrebbero sembrare temi, quelli affrontati, di scarsa attualità e, invece, sono all’ordine del giorno. Prendi il caso dell’ospedale di Agnone che appartiene alla taglia minore delle strutture ospedaliere molisane il quale in base al POS non dovrà continuare ad essere quello che conosciamo adesso.

La sua chiusura decisa dal Commissario preposto al risanamento dei conti della sanità nostrana sembra scontata nonostante la protesta popolare e dei lavoratori che vi operano. La determinazione di chiudere gli ospedali dei centri minori, vedi pure quelli di Venafro e Larino, fa scattare manifestazioni di dissenso da parte della popolazione e delle istituzioni locali che ritardano per anni e anni la soppressione del nosocomio, la quale, si ritiene, è comunque ineludibile. Nella cittadina altomolisana l’ospedale è quasi un simbolo e sicuramente la sua valenza semantica è elevatissima perché esso rappresenta, lo dice il nome stesso, il grande valore che all’hospitalitates attribuiva la comunità lì insediata.

Il problema, però, è che i presidi ospedalieri montani, pur costituendo punti di riferimento importanti per la tutela della salute dei cittadini altrimenti costretti a lunghi spostamenti per raggiungere le attrezzature sanitarie, hanno costi di produzione, poiché al di sotto delle soglie dimensionali ottimali, inevitabilmente troppo grossi. È vero che così facendo tutto si sposterà, prima o poi, nelle città, nella nostra realtà Campobasso, Isernia e Termoli, dove, per quanto riguarda i servizi pubblici, si ha già la concentrazione delle infrastrutture sociali e scolastiche, alle quali si aggiungeranno quelle ospedaliere. L’ultimo baluardo della resistenza contro tale tendenza accentratrice è proprio il nosocomio agnonese.

Non è, però, solo una faccenda “biecamente” economica non trattandosi esclusivamente di risparmio, ma di qualità delle cure. Seppure non confermato da dati statistici appare esservi una relazione causa-effetto tra i volumi delle prestazioni erogate e il livello qualitativo delle stesse. Non fosse altro che per il fatto che non vi è scambio di esperienze tra i professionisti in servizio presso entità sanitarie minimali sia in quanto essi sono pochissimi sia, soprattutto, per la quantità di casistica, cioè di patologie, che hanno affrontato.

La malattia, sicuramente ciò è vero per gli anziani, o meglio lo stato di malessere fisico non é sempre riconoscibile con facilità per cui per una diagnosi esaustiva, a volte, necessita l’apporto di più specialisti, ma le specializzazioni aumentano nei nosocomi maggiori. Il bacino di utenza è ridotto e perciò non ha senso l’acquisto di apparecchiature biomedicali tarate per quantitativi consistenti di interventi chirurgici che non vengono raggiunti nei minuscoli ospedali. Il ricovero nel nosocomio del luogo, che sta, si fa per dire, sottocasa, può essere uno spreco di tempo, fattore quest’ultimo essenziale nelle cure, dovendosi trasferire poi l’ammalato altrove.

Francesco Manfredi Selvaggi606 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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