Il cattolicesimo e le logiche della democrazia

di Umberto Berardo

Il rapporto tra cattolicesimo e democrazia ha avuto diverse articolazioni sul piano diacronico. La struttura delle chiese dei primi secoli, pur non essendo esse concepite democraticamente come assemblee di diritto umano, sembrava ispirarsi nell’organizzazione e nelle scelte al detto del Maestro “Dove sono due o tre riuniti in mio nome, ci sarò io in mezzo a loro” (Mt 18,20); infatti le comunità di Corinto o di Efeso, ad esempio, sceglievano i loro presbiteri seguendo i criteri del potere sovrano dell’ecclesia delle polis greche.

Successivamente la chiesa romana, strutturata in modo teocratico secondo la distinzione tra un ordine privilegiato del clero rispetto alla molteplicità del popolo dei laici, sostenne con sempre più determinazione che il clero apparteneva agli eletti del Signore e dunque doveva essere scelto da Lui attraverso i ministri della gerarchia ecclesiastica. Una tale concezione della sua struttura, quale venne formandosi con il riconoscimento del primato del vescovo di Roma, divenuto pontifex dell’intero cattolicesimo e sempre più legato al potere temporale già dall’epoca costantiniana, ha portato la chiesa cattolica ad assumere appunto i caratteri di una teocrazia e a rifiutare tutti i tentativi di qualche sviluppo sinodale e partecipativo avutisi in epoca medioevale con il monachesimo e poi con la Riforma, soprattutto con gli Anabattisti e i Calvinisti che riproponevano l’idea protocristiana della chiesa come assemblea dei credenti.

Questa strutturazione interna l’ha portata per secoli a privilegiare anche a livello sociale e politico strutture verticistiche di sedicente origine divina quali quelle di natura monarchica o imperiale. Gregorio XVI con l’enciclica “Mirari Vos” condannava il pensiero liberale e la cultura illuminista che hanno dato origine alla concezione democratica e repubblicana nell’organizzazione dello Stato che già aveva avuto in parte le radici nella Polis greca. Ci sono state perfino epoche in cui i papi hanno incoronato re e imperatori, altre, come quelle del “Sillabo”, in cui i cattolici sono stati invitati ad astenersi dalla vita politica e altre ancora in regime concordatario in cui di fatto si sono avallate dittature con compromissioni e riserbi cui tanta parte del cattolicesimo democratico ha cercato di opporsi a partire già da don Sturzo nella sua opera “Chiesa e Stato” del 1937.

La chiesa cattolica si è legata per secoli al regime monarchico nella convinzione che altri sistemi politici potessero essere destabilizzanti. Ancora con l’enciclica “Rerum Novarum” di Leone XIII, fondamento della Dottrina Sociale, in realtà, pur riaffermando che la chiesa non si identifica con nessun regime politico e non esprimendo una condanna formale della democrazia, se ne osteggiano gli aspetti laicisti e relativisti concernenti l’indipendenza delle leggi umane da quella divina che ovviamente per il cattolicesimo rimane a fondamento di un ordine oggettivo della verità. Resta ancora il rifiuto della sovranità popolare come fonte di una tale legittimità, ma si accetta invece tale principio come metodo di scelta dei governanti.

Le leggi razziali del 1938 furono un elemento di svolta che portò al progressivo distacco della chiesa e dei cattolici italiani dal regime fascista. Già in un radiomessaggio natalizio di Pio XII del 1944 si fanno strada le idee espresse da Maritain nel 1936 con l’opera “Umanesimo Integrale” e si avverte la convinzione che il pericolo per la libertà religiosa e l’autonomia di pensiero non viene dal liberalismo e dai sistemi democratici, ma dai totalitarismi ideologici che mirano addirittura a piegare la libertà e le coscienze. Pur non individuandolo come la fonte originaria della verità, si riconosceva al popolo di esserne il depositario e dunque il soggetto deputato non solo nella scelta dei governanti, ma detentore della sovranità come potere deliberante nelle scelte legislative.

Con la “Gaudium et spes” e più in generale con il Concilio Vaticano II la chiesa continua a sentirsi custode dell’ordine morale e di quello oggettivo della verità, ma sa di essere chiamata ad annunciare il messaggio evangelico in una condizione di pluralismo culturale e ideologico come di autonomia dei sistemi politici. Il terreno comune allora tra la chiesa cattolica e la democrazia è quello legato alla dignità della persona e ai principi di libertà, di fraternità, di eguaglianza e di bene comune che il cristianesimo ha come radici nel Vangelo e trasmette nei secoli con la sua migliore tradizione come motivi fondanti di una comunità indirizzata alla promozione dei diritti del cittadino per la realizzazione dei quali tanto si sta spendendo oggi il pontificato di papa Francesco non solo con i suoi documenti, ma anche con l’invito ai cristiani e agli uomini di buona volontà d’indirizzarsi verso una società fondata sulla condivisione dei beni comuni secondo la logica dell’amore proposta da Cristo con le Beatitudini.

Il cammino fatto in tale direzione è grande, ma ha bisogno di aprirsi al futuro realizzando, come previsto dal Concilio Vaticano II, forme adeguate e reali di partecipazione deliberativa del popolo di Dio all’interno della struttura ecclesiale su temi riguardanti la convivenza religiosa e umana. Questo impegno del cattolicesimo nella promozione di una democrazia partecipativa e deliberante, che oggi è sempre più possibile anche in forme dirette, è davvero utile e importante in un’epoca come la nostra in cui il sistema democratico presenta gravi forme involutive come spesso abbiamo sottolineato. C’è un pericolo neocorporativo nel capitalismo neoliberista, che risiede nel mondo finanziario e in quello delle grandi multinazionali, i quali stanno sgretolando alla radice i diritti umani e il sistema della partecipazione a livello locale e globale e stanno indirizzando il mondo verso forme di democrazia apparente e fittizia dove in realtà finisce per prevalere il potere plutocratico mascherato in istituzioni senza alcuna autenticità deliberativa.

Stiamo tornando all’assolutizzazione del potere in forme mediatiche, telecratiche, tecnocratiche e finanziarie. Tutto è accompagnato da un tentativo di forte ridimensionamento del sistema formativo ed educativo che mira a escludere lo spirito critico e la ricostruzione di principi e valori fondanti il bene comune piuttosto che combattere le gravi ineguaglianze a fondamento della società odierna. Nel suo messaggio “La buona politica è al servizio della pace” del 1° gennaio 2019 papa Francesco mette in luce il quadro fosco e allarmante della politica a livello locale e globale sollecitando al riguardo un rinnovato impegno del mondo cattolico secondo il criterio della laicità e al riparo dalle tentazioni totalizzanti delle ideologie.

Per ricostruire una democrazia sostanziale pertanto diventa fondamentale a nostro avviso anche un dialogo interculturale e interreligioso che abbia a fondamento quello che il cardinale Pietro Pavan nella sua opera “La democrazia e le sue ragioni” chiama “l’universale concreto della dignità umana” intesa come capacità di cercare e raggiungere il vero e il bene a fondamento e servizio dei quali dovrebbe essere sempre la costruzione di una società definita sul primato della persona. Oggi tutto questo richiede certamente la rifondazione adeguata di un’antropologia centrata sulla giustizia sociale come parità di accesso ai beni della Terra per i singoli e per i popoli.

Solo così eviteremo lo svuotamento dei valori politici come la libertà, l’uguaglianza e la fraternità che rischiano di diventare formule vuote in un sistema democratico sempre più in pericolo dove stiamo assistendo a un forte ridimensionamento delle forme d’intermediazione e del potere degli organi istituzionali a partire dallo stesso parlamento. Se i valori e le forme di organizzazione della società in cui viviamo sono incompatibili con i principi a fondamento della nostra esistenza, abbiamo evidentemente il dovere di un impegno per ridare alla politica un volto umano che sembra aver perso.

Lo stesso Papa Francesco di recente ha sottolineato tale esigenza con la proposta di un sinodo a nostro avviso utilissimo sul rapporto tra fede e politica per studiare e ricercare le forme più adeguate per un impegno democratico dei cattolici. Il nostro auspicio è che tale sinodo si apra quanto prima in un momento in cui, come sostiene Enzo Bianchi, priore di Bose, “la presenza dei cattolici nella costruzione della polis in Italia non solo si è affievolita ma è diventata afona”; ci preme anche rimarcare tuttavia che la sinodalità, come sostiene giustamente Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo, non può ridursi a momenti o ad eventi, sia pure importanti, ma deve rappresentare la natura stessa della Chiesa.

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