Le mutazioni del lupo: serenità e consapevolezza nel nuovo lavoro discografico di Lino Rufo

Il settimo disco di Lino Rufo è il disco della serenità. Lo si sente dalle prime battute del brano d’apertura e dalle prime parole che vengono cantate «Quante strade ho attraversato / nella mia vita che non vale niente / messa a confronto con la ricchezza / di tanta gente».

Rufo non rinuncia ad osservare i movimenti degli uomini. Quelli visibili perché concreti e quelli profondi dell’anima che si possono solo intuire. Non rinuncia, inoltre, a cogliere le piccolezze umane («…il dispiacere è solo un fatto di dovere…») che esistono inevitabilmente ma che vanno accettate e persino perdonate.

Il disco – registrato ai Forward Studios di Grottaferrata – si avvale della partecipazione di musicisti di valore tra cui il giovanissimo Yuki Rufo che arrangia e partecipa, con perizia e gusto, alla ricerca del suono giusto per vestire i dodici brani del disco.

In modo più strutturato del solito – è, questo, un vero concept album -, Lino Rufo racconta la storia di un uomo e dell’Uomo: buio e luce, profondità e altezze vertiginose, abbracci desiderati e difficoltà di comunicazione… incapacità all’ascolto dell’altro («Voglio un mondo migliore senza tante parole»).

Tutto ciò utilizzando il punto di vista naturale e genuino di un lupo che prova a capire e a vivere con gli uomini ma, alla fine, preferisce tornare alle sue sorgenti e ai suoi boschi. Solo in quella dimensione primigenia il lupo può godere del rapporto profondo con se stesso e trovare, finalmente, la felicità.

Il blues? Certo che c’è il blues in questo lavoro. Non potrebbe essere diversamente per un musicista che fa di questo genere la cifra distintiva della sua vita. Non potevano sparire da un momento all’altro le tante ore di condivisione nelle sale prove di ogni dove o le infinite serate passate nei locali a suonare e a stabilire contatti artistici e umani.

Ma, oltre al blues, in «Mutazioni del lupo» c’è la firma di un autore italiano e di un musicista vero che viene dalla tradizione migliore dei nostri songwriter. Le canzoni di Lino Rufo danno piacere estetico e fanno riflettere, chiedono di essere cantate insieme e, nello stesso tempo, sembrano scritte per ognuno dei singoli ascoltatori: sono abiti di mille taglie e mille colori insieme che ognuno può indossare.

È il disco della serenità anche per le nuove interpretazioni di canzoni come «Fuggo» che, nella versione lenta proposta in questo disco, acquista significati ulteriori dando conferma dell’esistenza di una polisemia infinita nei lavori poetici di qualità. Quella di Rufo è una serenità senza resa. Il cantautore chiede ancora una volta ai suoi simili di emozionarsi, di aprirsi, di abbracciare l’altro.

Chiede, soprattutto, di non smettere di sperare nella felicità che, «all’improvviso», da un momento all’altro, può arrivare perché l’Uomo, nonostante le sue piccolezze, ha corpo e mente, cuore e pensiero, costruiti per «un mondo migliore».

«Le mutazioni del lupo» mostrano una consapevolezza nuova. Come se tutto ciò che è stato vissuto e sofferto, goduto e patito, abbia alla fine prodotto un condensato di nuove acquisizioni che danno equilibrio e forza, energia capace di sostenere i viaggiatori della vita nel loro tentativo sempre frustrato di trovare se stessi e una Verità certa e definitiva.

Il monologo finale, recitato da Francesco Pannofino, indica una strada: tornare alla propria essenza, a ciò che si è. Non senza, però, aver provato prima a condividere con gli altri, avvicinare gli altri, parlare agli altri, mettere la propria anima accanto alle infinite anime, distratte o distrutte dalla vita, che si muovono nel mondo. Per non rinunciare a ciò che siamo, a quella dignità umana e serena che Lino Rufo ha sempre desiderato e cantato.

Giovanni Petta76 Posts

È nato nel 1965 in Molise. Ha pubblicato le raccolte poetiche «Sguardi» (1987), «Millennio a venire» (1998) e «A» (2016); i romanzi «Acqua» (2017), «Cinque» (2017) e «Terra» (2021) ; il saggio giornalistico «L'Italia delle regioni, il Molise dei ricorsi» (2001) e, con lo pseudonimo di Rossano Turzo, «TurzoTen« (2011) e «TurzoTime» (2016). Allievo di Mogol, ha inciso «Non crescere mai» (1993), «Trema terra trema cuore» (single, 2003), «Il bivio di Sessano» (2012). Ha diretto le testate «Piazzaregione» e «L'interruttore». Ha coordinato l'inserto molisano de «Il Tempo».

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