Finalmente il vero Mino Pecorelli. A 45 anni dalla morte

Da qualche anno, finalmente, si parla di Mino Pecorelli in maniera totalmente diversa. La sua figura umana e professionale è stata giustamente rivalutata e il suo giornalismo – non si capisce perché non sia stato fatto prima – apprezzato e, anzi, riconosciuto come anticipatore di quel lavoro di inchiesta che tanto è in voga ai giorni nostri.

La metafora di tutto ciò è la modifica dell’apparato iconografico a corredo delle notizie sulla sua persona. Non più l’unica brutta fotografia, presa da una serie in cui faceva boccacce scherzando con sua madre, ma foto attestanti senza ombra di dubbio il bell’uomo, prestante ed elegante, che era.

E con nuove foto, ricordiamo il giornalista di Sessano del Molise a quarantacinque anni dalla sua morte.

“Forse sarebbe cambiata tutta la narrazione successiva, se avessero usato, invece di quella bruttissima e ormai famosa, una qualsiasi tra le altre foto che erano a disposizione di investigatori e stampa subito dopo la sua morte” – dice così, non senza rammarico, Valter Biscotti, uno degli avvocati di famiglia.

“Il riconoscimento alla sua professionalità – dice Giulio Vasaturo, legale della Federazione Nazionale Stampa Italiana, che si è costituita parte civile – avrebbe dovuto avvenire molto tempo prima. Per molti aspetti, è stato un innovatore”.

Claudio Ferrazza, avvocato di Stefano Pecorelli, il figlio del giornalista, riferisce degli approfondimenti necessari su quanto emerso dalle sentenze relative alla strage di Bologna. Si cerca ancora dappertutto.

Tuttavia, a distanza di tanto tempo, ciò che era emerso nel processo di Perugia sembra essere la tesi più verosimile, anche se i racconti di Buscetta non erano, purtroppo, sostenuti da prove concrete.

Nessuna condanna e nessuna certezza dopo quarantacinque anni. Tuttavia, la tenacia con cui Rosita Pecorelli, la sorella di Mino, ha cercato per così tanto tempo la verità ha prodotto qualcosa di molto più importante di un arresto. Oggi, Mino Pecorelli è riconosciuto da tutti come un giornalista vero. Un giornalista che andava a cercare la notizia e la pubblicava per primo. Che aveva fonti di informazione che tutti vorrebbero avere: politici, militari, alti prelati, industriali, colleghi giornalisti, appartenenti ai servizi di intelligence civili e militari.

Gli si riconosce la capacità di aver creato una fitta rete di relazioni, il possesso della logica necessaria per incrociare efficacemente i dati, la capacità di leggere i bilanci delle aziende. Attraverso tutto ciò comprendeva, capiva, rilevava e rivelava le cause di ciò che la maggior parte dei cittadini, e la maggioranza dei giornalisti, riusciva a osservare solo nei suoi effetti, nelle conseguenze.

E tutto ciò, per Rosita, per una sorella che ha visto morire violentemente suo fratello, a cinquant’anni, nel pieno della vita e della professione… tutto ciò per Rosita, per la famiglia intera e per gli amici, è un risultato importante. Persino commovente.

Giovanni Petta76 Posts

È nato nel 1965 in Molise. Ha pubblicato le raccolte poetiche «Sguardi» (1987), «Millennio a venire» (1998) e «A» (2016); i romanzi «Acqua» (2017), «Cinque» (2017) e «Terra» (2021) ; il saggio giornalistico «L'Italia delle regioni, il Molise dei ricorsi» (2001) e, con lo pseudonimo di Rossano Turzo, «TurzoTen« (2011) e «TurzoTime» (2016). Allievo di Mogol, ha inciso «Non crescere mai» (1993), «Trema terra trema cuore» (single, 2003), «Il bivio di Sessano» (2012). Ha diretto le testate «Piazzaregione» e «L'interruttore». Ha coordinato l'inserto molisano de «Il Tempo».

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