Francesco, un papa coraggioso

di Umberto Berardo

Jorge Mario Bergoglio, dopo le dimissioni di Benedetto XVI, diventa papa della Chiesa cattolica il 13 marzo 2013 assumendo il nome di Francesco. Decide subito di risiedere a Santa Marta invece che nell’appartamento papale del palazzo apostolico.

Le direzioni del suo pontificato in questi sette anni sono state molteplici.

Ha pubblicato diversi documenti su temi fondamentali di natura teologica, etica, ambientale, sociale, umana ed ecumenica.

Ha istituito diverse commissioni per la difesa dei fanciulli dalla pedofilia e per le riforme della Curia, dello IOR, del Codice Penale Vaticano, delle istituzioni economiche ed ecclesiastiche, della pena di morte nel Catechismo.

Su talune sue encicliche ed esortazioni apostoliche, come la “ Laudato si’ ” o “Amoris laetitia” ma soprattutto sulla sua decisa volontà di riforma della Chiesa, su comportamenti ordinari e su diverse dichiarazioni sono nate controversie di natura teologica ed istituzionale in particolare da parte di frange di un cattolicesimo integralista preconciliare, spesso legato a gruppi di potere economico e politico a livello mondiale.

Ad essere sinceri fino in fondo in certe dispute, anche da parte di taluni cardinali, la sensazione avuta al riguardo è quella di chi, per cercare il capello, rovescia dal piatto la minestra per non mangiarla.

Rispetto a tali contrasti le posizioni emergenti sembrano fondamentalmente tre.

C’è chi mitizza la figura del papa, taluni lo criticano violentemente, altri, che Antonio Gramsci definiva gli “indifferenti”, sarebbero favorevoli alla linea di Francesco, ma non si esprimono pubblicamente mantenendo l’ambiguità di chi vuol rimanere nel limbo forse per non compromettere posizioni acquisite in ruoli diversi nella stessa Chiesa.

La prima cosa da fare a nostro avviso è uscire dalla trappola della personalizzazione del conflitto sgonfiandone anche le esasperazioni e spostando piuttosto la riflessione sui contenuti annunciati e incarnati dal papa.

È del tutto evidente che, per fugare certe posizioni semplicistiche o precostituite di natura interessata o di tipo ideologico e perfino pseudo politico, la via migliore è quella di porre l’opinione pubblica davanti a tali questioni suggerendo una lettura personale approfondita dei documenti del pontefice analizzandone in particolare i riferimenti al Vangelo.

Questo chiede lo stesso papa ricordando a tutti, come ha fatto nell’omelia durante la celebrazione eucaristica a Santa Marta il 4 maggio 2020, che il confronto è del tutto legittimo mentre non è accettabile la divisione perché l’unità umile e dialogante nella fede è superiore ai conflitti.

Solo il giorno successivo ha poi elencato alcuni atteggiamenti che ci impediscono di essere cristiani credibili: la schiavitù delle ricchezze, la rigidità nell’interpretare la Legge, il clericalismo, l’accidia, la mondanità nella pratica della fede sostenendo che senza libertà non possiamo camminare verso Gesù.

Bergoglio sta provando a liberare parte della Chiesa da logiche individualiste, criteri neoliberisti e incrostazioni di potere, di ricchezza, di forme istituzionali superate nei dicasteri, negli organismi diocesani e parrocchiali che francamente non ci sembra possano avere più legittimità.

Le innovazioni delineate dall’ultimo Concilio sono rimaste sulla carta o si sono bloccate.

Papa Francesco sta cercando opportunamente di cancellare alcuni aspetti di mondanità nella Chiesa e di spostare l’impegno verso l’idea del servizio umile in particolare nella direzione degli emarginati che lui definisce “gli scartati”.

In questa direzione crediamo occorrerà guardare sempre più all’esempio della Chiesa missionaria e di quanti anche nelle comunità diocesane e parrocchiali cercano di vivere la fede con la testimonianza dell’amore di Dio attraverso la condivisione dei beni con il prossimo che nel lessico cristiano non è il vicino ma ogni persona sentita come fratello o sorella.

Tale necessità di cambiamento è stata sottolineata dal papa in una dichiarazione decisa nella sostanza e chiara nel suo abituale linguaggio penetrante: “La Chiesa deve parlare con la verità e anche con la testimonianza: la testimonianza della povertà. Se un credente parla della povertà o dei senzatetto e conduce una vita da faraone: questo non si può fare. Questa è la prima tentazione”.

È comprensibile come la volontà di superare l’idea di potere nella Chiesa sia difficilmente accettabile per chi lo ha esercitato da sempre.

I riferimenti di papa Francesco sul piano dottrinale sono nel Vangelo, su quello istituzionale nel Concilio Vaticano II e sul modello di stile di vita nell’esempio dell’atteggiamento del buon samaritano.

Sulle riforme strutturali della comunità dei credenti egli agisce per ora con precauzione, pazienza e discernimento fondando l’impegno di ogni cristiano sull’opzione per i poveri, l’apertura missionaria, uno stile di vita sobrio, il dovere per la giustizia, la lotta alla corruzione ma soprattutto alla pedofilia, la collegialità episcopale, la sinodalità con la promozione del laicato e del ruolo della donna, l’attenzione per la fragilità nelle condizioni di sofferenza, l’impegno ecumenico e la cura della natura nell’ambiente e nel territorio dei quali non siamo padroni sfruttatori, ma solo usufruttuari momentanei con il dovere di trasmetterli integri alle nuove generazioni.

Sono schematicamente le finalità presenti in quanto finora abbiamo letto nelle sue profonde encicliche ed esortazioni apostoliche.

La prospettiva dell’amore e della condivisione verso gli emarginati ci appare il cuore della riforma di papa Francesco verso la quale una parte della Chiesa, costituita dai nuovi farisei tradizionalisti, conduce una dura resistenza nell’incapacità di rinunciare a privilegi, degenerazioni di potere e una gerarchizzazione del clero che davvero non ci sembra avere più alcun senso in una Chiesa che stenta a diventare realmente “popolo di Dio”.

Non crediamo affatto di essere paradossali scrivendo che da cristiani abbiamo la necessità di far rompere molti nostri schemi mentali dall’insegnamento di Gesù, dei suoi discepoli e delle prime comunità cristiane il cui stile di vita e le forme aggregative sono state riproposte per l’attualizzazione dal Concilio Vaticano II ed ora da questo pontefice.

Il conflitto aperto nella Chiesa da un certo integralismo cattolico è ancora in atto e non esclude effetti che potrebbero creare problemi di difficile soluzione.

Papa Francesco fa benissimo a tenere una posizione molto saggia che non manca d’interventi mirati per chi li sa leggere all’interno del suo magistero.

La sua figura non solo rappresenta una guida importante per i credenti, ma sta diventando carismatica per quanti, atei o agnostici, ne apprezzano il buonsenso e la razionalità nella definizione di una convivenza tra gli esseri umani capace di promuovere una qualità accettabile dell’esistenza per tutti.

È un pontefice che sempre più appare lento nei movimenti, segnato nel volto, stanco, ma altrettanto fermo e radicato in una fede genuina e in una profonda umanità che emozionano e riescono a coinvolgere chiunque nella riflessione sul senso della vita.

Se questo, come noi crediamo profondamente, corrisponde ad una osservazione oggettiva, non è concepibile alcun silenzio e, pur mantenendo la libertà di pensiero, lo spirito critico e il continuo riferimento al Kerigma, abbiamo al contrario il dovere e la necessità di stare vicini al pontificato di Francesco per sostenerne sistematicamente l’azione avendo come criterio di riferimento alla sua riforma della Chiesa il Vangelo ed il Concilio Vaticano II.

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