Cultivar locali, indicazione paesaggistica tipica

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Non esiste questo riconoscimento, eppure ce ne sarebbe bisogno perché lega meglio i prodotti agricoli al luogo in cui crescono rispetto a quello di Indicazione Geografica Tipica (IGT). Ancora meglio sarebbe sostituire tipica con protetta perché si tratta di varietà meritevoli di protezione insieme al paesaggio di cui fanno parte.

Nel Molise si avverte una sorta di dissociazione tra i prodotti tipici e i paesaggi dai quali derivano. Si prenda il caso della Tintilia, vitigno ormai diffuso in diverse parti del territorio regionale e che, in origine, costituiva una peculiarità della zona centrale della regione. Le vigne, in genere, erano presenti principalmente nel Molise interno, mentre oggi la produzione vitivinicola maggiore è quella della fascia costiera, a cominciare da Campomarino con la cantina Di Maio Norante.

Prima la coltivazione dell’uva era limitata a ridotti appezzamenti di terra dentro l’unità aziendale, destinata com’era, in prevalenza, all’autoconsumo e il sovrappiù al commercio, e adesso vi sono aziende dedicate esclusivamente al settore enologico nelle quali i vigneti hanno assunto dimensioni assai vaste. Ciò si traduce, è evidente, in un cambiamento significativo nelle vedute panoramiche. La specializzazione produttiva con il vino che è diventato in quelle aree quasi una monocoltura si associa ad una semplificazione dei caratteri percettivi alla quale alcuni imprenditori, a cominciare dalla famiglia Mogavero nella tenuta Colle Sereno, hanno cercato di porre rimedio piantando filari di alberi tra i filari, per l’appunto, delle viti.

Questa impresa agricola che è situata nel comune di Petrella Tifernina, quindi non nel Basso Molise, bensì in un comprensorio, il Medio Molise, vocato da sempre alla coltura del vino è esemplificativa del processo di intensificazione, perciò non creazione ex-novo, della coltivazione della vite, partendo da un nucleo preesistente, fatto che è ricorrente in differenti comprensori collinari della regione, vedi il vigneto della ditta Valerio a Monteroduni. Un analogo discorso, quello della separazione tra le tipicità dei prodotti e le specificità dei contesti paesaggistici nei quali vengono prodotti, riguarda il comparto oleario.

Vi è un’eccezione ed è rappresentata dagli ulivi di Venafro rientranti nel perimetro del Parco dell’Ulivo i quali costituiscono addirittura un complesso monumentale per la bellezza e la storicità del paesaggio che essi formano; essi sono posti su un pendio terrazzato con i gradoni sorretti da muretti a secco e hanno, poiché secolari, tronchi di grandi dimensioni mentre quelli impiantati di recente stanno nel piano (se ne sono dovuti espiantare alcuni per il passaggio della Variante di Venafro) e sono di taglia minore.

Si hanno anche, non solo nella propaggine occidentale della regione, nell’ala orientale addensamenti di ulivi con epicentro tra S. Giuliano di Puglia, Colletorto, Larino e S. Martino in Pensilis, disposti su una serie ondulata di colline, mentre nel resto del territorio molisano pur presenti a tratti, risultano meno concentrati. L’olio è sempre di pregio. L’adesione all’associazione Città dell’Olio di molti centri in cui vi è una consistente economia olivicola fa sì che l’immagine dell’oliva locale piuttosto che associarsi a quella della regione, si leghi a quella della rete nazionale dei comuni produttori di olio.

In altri termini, l’identità la si ricerca non nel “distretto” dell’olio molisano, ma a scala più ampia, quella dell’olivicoltura italiana nel suo insieme. Dall’agricoltura, cioè dal vino e dall’olio, ci spostiamo alla zootecnia, alle lavorazioni casearie. Dalle attività agricole a quelle zootecniche e così dalle quote collinari e pianeggianti a quelle montane, perché l’allevamento, quello condotto in modo tradizionale è praticato in montagna.

Le più famose varietà di formaggi della nostra terra sono la mozzarella e il caciocavallo. Partiamo dalla prima nella quale il legame con gli ambiti posti in altitudine, gli unici in cui sono presenti suoli pascolivi, quasi scomparsi nel resto della regione, sembra meno evidente in quanto il latte è in quantità considerevole d’importazione; se, invece, si tiene conto che i rinomati “bocconcini di Boiano” sono formati per oltre la metà del loro peso da acqua e che quella che le latterie locali utilizzano è provenienti dalle sorgenti del Biferno e se si riflette, inoltre, sulla circostanza che quest’ultima è, a sua volta, proveniente dal Matese si può ben comprendere il rapporto strettissimo che tale produzione lattearia ha con la montagna matesina.

Per il caciocavallo il collegamento con le zone in elevazione è immediato perché qui avviene il pascolamento delle mandrie durante la stagione dell’alpeggio. Riscendiamo a valle per menzionare prodotti tipici molisani meno conosciuti (pur conosciute, va segnalato, non si incentiva la coltivazione delle cipolle di Isernia), ma non per questo meno interessanti di quelli finora visti. Il più antico e, nello stesso tempo, il più nuovo in quanto si tratta di una riscoperta, è il farro, il grano dei Sanniti, il quale ha un patrimonio genetico che risale alla notte dei tempi; è opportuno far notare, per inciso, che negli ultimi decenni qui da noi c’è stata una autentica corsa alla ricerca di specialità autoctone dell’enogastronomia che si erano perse in un pozzo davvero senza fondo da cui è possibile estrarre in continuo delle primizie che si erano abbandonate (la patata turchesca ad esempio).

Il tema del distacco tra prodotti tipici e paesaggio il quale è il filo conduttore che stiamo seguendo emerge con evidenza per la totale assenza di interesse per gli areali paesaggistici che li originano, in tale “corsa all’oro”. La disattenzione per il paesaggio è dei giorni odierni, al contrario che nel passato quando il legame con la campagna era più forte e si sapeva, mettiamo, riconoscere da quale luogo veniva quel certo tipo di pera.

Lina Pietravalle nel descrivere in un suo romanzo le pietanze del pranzo ambientato nel palazzo vescovile di Trivento, giunti al momento della frutta con una lunga digressione enumera una serie lunghissima di pere, tra le quali ci sono quelle servite ai commensali, distinguendole in base a quella o a quell’altra valletta oppure rilievo del circondario in cui sono state raccolte; al contrario oggi si classificano sulla scorta del nome popolare ad essa attribuito (pera zingara, pera gelata, ecc.), atteggiamento attento all’antropologia e non altrettanto al paesaggio che, in qualche modo, le ha generate, in definitiva alle condizioni ambientali che sicuramente condizionano le dimensioni dei frutti, il grado di maturazione che raggiungono e così via (i fagioli della Paolina sono di alta collina, per dirne una).

Gli anziani sono abituati, cosa che attualmente si va perdendo, in linea, per certi versi, con quanto si coglie dal racconto della Pietravalle, ad apprezzare un prodotto a seconda del posto in cui è cresciuto come avviene per gli ortaggi degli “orti di Agnone” che era possibile acquistare al mercato e lo è ancora a differenza di quelli della “campagna campobassana” che non erano da meno e che, però, sono diventati introvabili a causa dell’urbanizzazione diffusa che ormai circonda il capoluogo; qui si capovolgevano i termini, erano i prodotti a caratterizzare il paesaggio e non il viceversa.

Francesco Manfredi Selvaggi580 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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