Un campanilismo virtuoso
di Francesco Manfredi-Selvaggi
È quello che stimola i Comuni ad avere le attrezzature collettive più belle, cominciando dai Municipi. L’orgoglio civico ha sempre mosso le nostre collettività locali a migliorare l’infrastrutturazione urbana, a volte anche esagerando, cioè sovradimensionando le opere.
Il filosofo francese Derrida ci ha insegnato che non è sempre possibile distinguere i bisogni dai desideri e quale prova di ciò usa l’esempio del gatto per il quale è quasi imprescindibile giocare con il gomitolo di lana, attività che per tale animale è altrettanto essenziale per il suo benessere che il nutrirsi. Trasponendo tale riflessione nell’ambito urbanistico vediamo che la scelta adottata da una comunità di quali attrezzature collettive dotarsi è basata spesso non su criteri utilitaristici, bensì si fonda su aspirazioni rientranti nella sfera delle idealità.
Tra le motivazioni di tale tipo vi è quella dell’orgoglio cittadino e quale caso significativo può essere preso l’Auditorium di Isernia, o meglio la sua grandezza sicuramente sovradimensionata rispetto alla realtà locale, cioè con posti in eccesso salvo che in alcune, poche occasioni. Qualcosa di simile è sempre avvenuto, si pensi alle cattedrali e si pensi ancora al capoluogo pentro che possiede una cattedrale la quale ha una superficie interna, quindi, una capienza che è simile a quella di Campobasso nonostante che quest’ultimo centro abbia una popolazione doppia.
La competizione, beninteso solo di ordine morale, tra le varie civitas può avvenire in campi differenti: ci può essere quel comune che lancia la sfida agli altri su un terreno che esso stesso sceglie, magari perché non riesce a reggere il confronto in altri settori. Agnone che non è sede di diocesi e, perciò, di chiesa che sia cattedra vescovile esibisce il proprio rango attraverso la costruzione dell’Ospedale a cui fornisce un sostegno economico anche il ceto imprenditoriale fiorente nella cittadina altomolisana agli inizi del XIX secolo, lo stesso che aveva promosso la realizzazione della ferrovia Pescolanciano – Agnone, interamente privata.
Forse questa è una delle ragioni della forte opposizione di tanti agnonesi al declassamento dell’Ospedale Civico (l’aggettivo con cui si denomina è indicativo) che ha per loro un valore identitario, rafforza la coscienza di sé di questo agglomerato, è una struttura della quale essere fieri per la sua origine comunale, l’unico nosocomio molisano appartenente ad un Comune. Ricapitolando quanto finora detto, si è orgogliosi, a volte (Isernia) della dimensione dell’opera a volte (Agnone) della singolarità della medesima.
Non ci si trova d’accordo tra le collettività su quale debba essere l’ “oggetto” che sia capace di manifestare più di qualsiasi altro la propria posizione nella classifica degli abitati per dignità, quello che restituisca meglio di tutti il lustro di un luogo; neanche alla casa municipale è attribuita tale valenza. Essa è sempre presente e, pertanto, la sua qualità architettonica potrebbe essere il metro di comparazione della collocazione sociale, per società intendendo non quella formata da persone, ma da enti. Il grado raggiunto dall’aggregato urbano influisce sullo status sociale in senso proprio degli individui che vi vivono. Il municipio contiene una carica simbolica perché la funzione che svolge è quella dell’autogoverno del popolo.
Prima ancora dei caratteri formali di tale fabbricato ad attestare la sua preminenza è l’ubicazione che è costantemente centrale nella struttura urbanistica, salvo pochi episodi quali Busso e Baranello dove è situato nella zona di espansione residenziale. Si tratta questi ultimi, come è evidente, di costruzioni nuove e anche per tale aspetto costituiscono degli episodi isolati in quanto, in prevalenza, si preferisce rimanere negli stabili originari e da citare ci sarebbe un lungo elenco di paesi, da Cercemaggiore a Cantalupo, da Casacalenda a Macchiagodena e così via.
Forse non è solo il fatto che essi sono l’emblema della democrazia e, per di più, diretta a renderli dei “segni” urbani assai riconoscibili, sentendo la gente del posto attaccamento all’immobile in sé stesso, avendo ospitato l’amministrazione comunale da sempre e identificandosi quindi con esso. Il manufatto fisico è in definitiva, qui la personificazione, l’immagine tangibile dell’istituzione. Pure quando gli spazi interni si rivelano insufficienti di fronte alla complessificazione della macchina amministrativa in corso da alcuni decenni, viene confermata la sede storica cui si assegnano compiti di rappresentanza, mentre gli uffici si sparpagliano all’intorno (talvolta in proprietà immobiliari private prese in affitto (è successo a Isernia)) e l’esempio maggiore a questo proposito è quello di Venafro.
Dove proprio il municipio non si può trasferire altrove è in quei Comuni in cui costituisce la “ragion d’essere” della piazza antistante, sorta in funzione di esso e contemporaneamente, come fossero un tutt’uno: è inconcepibile la sola stessa ipotesi che il Comune traslochi dal palazzo municipale originario (a meno che non si trasporti dietro la piazza!) sia a Campobasso sia a Termoli. Non c’è, di certo, da vantarsi dell’aver saputo edificare un’architettura di pregio se il sito dell’amministrazione locale è un ex-convento, acquisito al demanio pubblico con la soppressione degli ordini monastici all’indomani dell’Unità d’Italia, trovandoselo bello e fatto il municipio; comunque essendo per forza di cose i monasteri beni culturali la sede civica non perde la sua propensione a rappresentare una bandiera per la popolazione di quel borgo e ciò si verifica a S. Giuliano del Sannio e a Isernia.
Un’annotazione a lato riguarda gli edifici un tempo municipio e che in seguito hanno perso tale destinazione d’uso ed è quella che essi denunciano tuttora il ruolo svolto in passato, magari per la presenza in facciata della lapide ai Caduti di Guerra che va intesa alla stregua di una bollinatura (si prendano S. Massimo e Ferrazzano); per fare cassa lì si mettono in vendita proponendoli al mercato come abitazioni e ciò fa pensare un po’ a una desacralizzazione.
Nella capitale, in fin dei conti, del Molise il palazzo municipale presenta, per tutto il suo fronte, un porticato, elemento compositivo che rafforza il sentimento di radicamento nel contesto civile oltre che urbanistico in quanto prosecuzione della piazza, che invita alla partecipazione popolare alla gestione della cosa pubblica, ben diverso dalla soluzione che compare nel pianoterra del palazzo del Genio Civile a Isernia, il quale è rialzato dal suolo per cui appare piuttosto quale loggiato aperto e non portico.
Francesco Manfredi Selvaggi643 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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