Snello è più bello e più sano?

Abbiamo chiesto a due autorevoli esponenti della società civile di esporci le loro posizioni – naturalmente contrapposte – riguardo al prossimo referendum del 20 e 21 settembre sulla riduzione dei parlamentari. Pubblichiamo di seguito l’intervento di Adele Fraracci

Il dibattito referendario sembra essere concentrato sul dato “estetico-quantitativo”. Dato sul quale pare siano d’accordo in tanti, diffusamente le forze politiche e tanta parte della opinione pubblica; in fondo a essere “pesanti” non va bene, a essere magri è meglio. C’è, tra l’altro, una forza di governo che sulla riduzione dei rappresentanti ne ha fatto un punto d’onore dai tempi dei vaffa day sino all’arrivo al governo con la lega, il m5stelle. Essa potrebbe centrare l’obiettivo oggi che è in compagnia del pd, che sulla carta, come è noto, ha sempre inteso mettere lo zampino per scalfirla dai tempi, sotto altra sigla, della riforma del Titolo V, madre di tutti gli scompensi attuali.

Assottigliare il Parlamento sembra ai più non solo bello ma anche economicamente conveniente; la dieta fatta così, con una sforbiciata lineare al numero dei parlamentari, senza passare dal nutrizionista, appare facile, oltre che comoda dato il “risparmio”, quest’ultimo sopra stimato dalla propaganda.

Ma, al di là dei conti creativi, bisogna fissare il prezzo sul “mercato” e, quindi, la domanda vera è: il veloce dimagrimento sarà garanzia di sana e robusta Costituzione?

In merito, seri dubbi.
Non si può essere sicuri che un Parlamento più snello possa risultare davvero più bello e sano; non si può essere affatto convinti che esso possa correre più speditamente e con risultati migliori; non si può essere certi che la perdita di peso non ne infici la robustezza; spesso, è cosa nota, i dimagrimenti rapidi comportano delle controindicazioni: fanno perdere muscolatura, tono, energia, solidità, forza, equilibrio psico-fisico. E la nostra, non bisogna dimenticarlo, è per Costituzione una democrazia parlamentare, individua cioè nel Parlamento il proprio cuore battente.
Dunque, fare tout court dimagrire l’Assemblea può anche non essere una buona idea in termini democratici, anzi il ragionamento può condurre a una posizione opposta: il peso delle Camere meglio che sia consistente; robusto è meglio che magro. Perciò bisogna votare no.

Il Parlamento deve infatti avere un peso di rappresentatività, il quale è non solo territoriale, ma anche ideal-politico. Il no cerca di tutelare questi aspetti.
Se vince il sì, numeri alla mano, esso determinerà una oggettiva disparità tra i territori, soprattutto al Senato; un esempio? Vi riporto quello classico: “decurtazione della rappresentanza che va dal 57,1% in Basilicata al 14,3% in Trentino Alto Adige”. Il che fa pure intuire che a fronte della decurtazione del cuore democratico parlamentare c’è la volontà di rispondere, con una strizzatina d’occhio di rinnovata approvazione, al disegno che si vuole mettere da tempo al sicuro: il regionalismo differenziato. Per centrarlo c’è bisogno di diminuire il peso del Parlamento e rafforzare ulteriormente quello delle Regioni, con grave nocumento per il sud e grande vantaggio per le regioni ricche. La marginalizzazione del Parlamento nazionale è cioè un passaggio necessario perché il peso possa essere spostato a beneficio degli enti territoriali, oltre che, s’intende, a vantaggio dell’altro centro di rappresentanza che è il Parlamento europeo.

Se vince il sì, numeri alla mano, esso annienterà le minoranze politiche. Ciò significa che tanti cittadini italiani non si sentiranno più rappresentati e saranno condannati alla emarginazione. Potreste obiettare: questo in parte avviene già oggi, al punto che nelle consultazioni elettorali l’astensionismo è alto. Sì, in parte avviene. Tanti cittadini sono stati effettivamente ammutoliti. Col si potrebbe però avvenire ancora di peggio: l’annientamento completo di queste voci, la loro definitiva sparizione.

E allora ragioniamoci su: è inconfutabile che il vero nodo da sciogliere in Italia non è il numero dei parlamentari, bensì la loro qualità; sappiamo bene quali sono stati i processi che hanno condotto a non poter più selezionare una classe politica capace e in possesso di grammatica politica, anzi a dirla tutta spesso essa non possiede neppure i prerequisiti base di grammatica italiana. Tuttavia nessuna forza politica ha avvertito la necessità di impegnarsi a dissodare questo terreno paludoso che vieta da lustri agli elettori di scegliere i propri rappresentanti. Questi ultimi sono scelti dai partiti, meglio dire designati dalle cupole oligarchiche dei partiti: i Parlamentari, ma non solo loro, anche i nostri rappresentanti europei o regionali, sono dei semplici nominati, supini e eterodiretti dai vertici dei partiti o sono degli auto nominati, nel caso abbiano in mano leve economiche o strumenti di consenso. E questo aspetto, che è il vero nodo da sciogliere per ridare linfa sostanziale alla democrazia, perché non è stato posto al centro dell’attenzione dai fautori del si? Perché i fautori del si non hanno innanzitutto pensato alla necessità di inserire correttivi a questo stagnante e realmente antidemocratico meccanismo? Perché non hanno neppure puntato, nella circostanza dell’appuntamento referendario, a varare una legge elettorale tesa quantomeno a togliere le pluricandidature e le liste bloccate?
Il fatto che non abbiano avvertito la necessità di puntare allo scioglimento del vero nodo, il quale non rende snella e davvero robusta la democrazia, e si siano limitati di fatto a sforbiciare e tagliare le Camere senza oculata osservanza per la raffinata architettura della Costituzione, fatta di pesi e contrappesi bilanciati, conduce a capire facilmente che il prodotto sarà il seguente: i nominati saranno sicuramente di meno, ma supini e eterodiretti di più, ancor più lontani dalla identità e dal ruolo fissati dalla nostra Costituzione. Insomma un Parlamentino con un cuoricino appena pulsante di nominati, mentre i veri indirizzi politici verranno dettati altrove: in Europa e nelle Regioni, come abbiamo prima detto, e scontatamente dal Governo.

Fa sorridere amaramente quel tentativo, non si sa quanto ingenuo, dei fautori del si circa la prossima stesura di una nuova legge elettorale dopo la vittoria. C’è chi si appella al proporzionale, meritoriamente. Davvero un sorriso amaro in ogni caso, considerato che la storia insegna che le leggi elettorali sono scritte dai “vincitori” per cercare di continuare a vincere, salvo sbagliare il tiro. E, del resto, neanche una buona riforma elettorale potrebbe rassicurare i sostenitori del no, ammesso che ci sia tempo a disposizione per elaborarla e votarla davvero, perché di fatto la distanza è rappresentata da argomentazioni politiche e valoriali, oltre che tecniche.
Dal ragionamento sin qui fatto, si deduce chiaramente che il si è, in parte, in linea di continuità con il referendum precedente di Renzi e con tutte le modifiche apportate alla Costituzione da destra a sinistra, passando per i tecnocrati alla Monti: rafforzare il potere esecutivo, il quale avrà come interlocutori Europa e Regioni, mentre i cittadini saranno vieppiù estromessi e marginalizzati, assieme al Parlamento ridotto anche quantitativamente. Mentre il vero tema, quello della qualità dei parlamentari e in genere dei rappresentanti, rimarrà intonso, sarà a oltranza scadente. E anzi, a voler sospettare fino in fondo, essere scadenti e sottomessi diventerà sempre più un marchio “di qualità” perché conveniente al disegno del “governissimo”, che cozza, appunto, col parlamentarismo costituzionale.

Non so a voi, ma a me fa specie che questo referendum cada in questa fase così critica e complessa, in cui i cittadini sono alle prese con grandi problemi concreti impastati di precarietà materiale e incertezza spirituale, tra l’altro sotto scacco della paura per il contagio che potrebbe anche portare molti a non recarsi ai seggi; non so a voi, ma a me fa specie che la Costituzione sia stata barattata per far nascere il governo Conte 2 e venga trattata come una merce da mettere finanche in svendita in termini democratici; non so a voi ma a me fa specie che proprio in questa fase storica fatta di sovranismi e grande confusione a livello internazionale e di ideologie irrazionali anche dentro casa nostra, si voglia mettere mano alla Carta, l’unica a essere insospettabilmente antifascista e democratica.

Se si crocetta il si, si sta sbagliando la valutazione oggi e anche quella in chiave prospettica.
Vedete, a essere una favola non è la Costituzione, ma quelle narrazioni che insistono in modo ricorrente sulla necessità di modificare la Costituzione per poter ingenerare processi virtuosi e riformatori, senza però mai sciogliere il vero nodo che si è fatto risaltare in questo articolo. Questo genere di narrazioni le ha raccontate allora Renzi, le dicono ora i fautori del si. A loro si potrebbe indicare un’altra strada: bisogna provare le capacità riformatrici e i processi concretamente virtuosi, solo dopo ci si può accordare, se mai ce ne fosse bisogno, di emendare la Carta.

E tornando a bomba alla domanda iniziale, la risposta inequivocabilmente non può che sequenzialmente essere: snello non è più bello e più sano. Conviene, senza se e senza ma, attenersi alla sana e robusta Costituzione, che ha il suo cuore pulsante nel Parlamento; si evitino percorsi sbagliati, che potrebbero condurci fuori strada e farci finanche rischiare di cambiare il nostro assetto costituzionale. Rischio più che lecito dato l’attuale quadro politico italiano, che trasuda di derive populiste e autoritarie, del tutto dimentiche del patto costituzionale.

0 Comments

Lascia un commento

Login

Welcome! Login in to your account

Remember me Lost your password?

Lost Password