Campania: una maggioranza in leasing

Periodicamente alla ricerca di un caudillo, l’ha cercato prima con Bassolino, poi con una destra corale, infine l’ha trovato in De Luca, perfezionandolo oggi con il consenso a valanga del capoluogo partenopeo, che ancora rimaneva ostaggio dell’altra imitazione peronista che è De Magistris

di Michele Mezza da ytali.com

Se si guarda al nuovo consiglio regionale campano verrebbe da dire che la montagna ha partorito il topolino. Dopo tutto questo trambusto – sei mesi di show da mattatore, uno sfoggio di liste a sostegno senza precedenti, con quindici simboli e 750 candidati a caccia di voti per lui, e un travaso netto di circa sei/settecentomila voti da destra alle sue liste, che riducono l’opposizione a nani elettorali – alla fine il nuovo console della Campania Vincenzo De Luca, porta a casa solo un consigliere in più. 

Da 31 la sua maggioranza, che ha raccolto quasi un milione di voti in più rispetto a cinque anni prima, arriva a 32, togliendo un solo seggio alla destra che scende da tredici a dodici, con i Cinque stelle che, precipitati al dieci per cento dopo essere arrivati a sfiorare il cinquanta, rimangono ibernati con i sette consiglieri eletti nel 2015. Il pallottoliere elettorale gela i baldanzosi entusiasmi di chi parla di Uragano De Luca.

In effetti un vero terremoto c’è stato. La legge elettorale nelle sue cineserie contabili smorza gli effetti, ma la società li registra tutti.

La Campania è la prima regione argentina d’Italia.

Il primo territorio dove i partiti sono occasionali ed eccentrici taxi, come diceva Enrico Mattei che spiegava di usarli e pagarli quando gli servano, per poi abbandonarli. Il fenomeno peronista non è limitato a questa regione, anche in Puglia, o nello stesso Veneto, si sono avvertite queste scosse che hanno sbriciolato i partiti identitari, come il Pd o la Lega.

Ma nel regno di De Luca siamo al paradosso. 

In pochi mesi, contando sulla visibilità, ma anche, e soprattutto, su un accorto sistema che trasforma l’emergenza sanitaria in un modello di spesa sociale distribuita e trasversale, dove la riorganizzazione della sanità ha permesso l’accordo con i popolari di De Mita e di Cirino Pomicino, il governatore ha smantellato tutti i radicamenti organizzati nella società: dai presidi sociali residui della sinistra ai grumi di interessi dei ras locali nelle varie provincie, fino addirittura alla rappresentanza di emotività come quella della Lega sull’immigrazione o dei Cinque stelle sull’assistenzialismo.

Ma questo miracolo non sarebbe potuto accadere se non fosse stata la stessa società civile a sollecitarlo e promuoverlo. La Campania è periodicamente alla ricerca di un caudillo. L’ha cercato prima con Bassolino, poi con una destra corale, infine l’ha trovato in De Luca, perfezionandolo oggi con il consenso a valanga del capoluogo partenopeo, che ancora rimaneva ostaggio dell’altra imitazione peronista che è De Magistris, del tutto cancellato in questa tornata elettorale. Basterebbe dare una scorsa ai cognomi degli eletti e controllare da che parte fossero cinque anni fa. Impressionante: si ritrovano metà del gruppo consigliare di Forza Italia e sezioni consistenti di Fratelli d’Italia armi e bagagli con il vincitore, che ha vinto perché c’erano loro.

La Campania è una regione che potremmo definire a-fordista, dove le esperienze industriali degli anni Sessanta e Settanta, dall’Alfa Sud alla mitica siderurgia di Bagnoli, hanno rappresentato vere e tipiche cattedrali nel formicaio. Le fabbriche funzionavano, e producevano anche spezzoni di cultura operaia che hanno civilizzato il territorio, come si ricorderà in occasione del colera nel ’72 e della cacciata di Gava nel ’76. Ma attorno alle fabbriche rimanevano indisturbati i formicai dell’intermediazione amministrativa e bottegaia, basata sul permanente scambio politico.

Napoli, come grande città europea, ha trovato una sua storia sociale quando fabbriche e università si sono sintonizzate in quella stagione di grande cultura della trasformazione: da Valenzi a Bassolino sindaco. Poi la sconfitta della dismissione, come la chiamò Ermanno Rea, dell’acciaieria di Bagnoli. Da allora in città, e su tutta la dorsale vesuviana, si è sviluppato un consistente sviluppo di aree di ricerca e applicazioni tecnologiche, ma senza riuscire a incontrare un pulviscolo di imprenditori o di sbocchi industriali. Dagli anni Novanta la Campania è rimasta stretta nella morsa della spesa pubblica discrezionale, e la politica è sempre stata un tavolo di negoziato per contrattare questo o quell’investimento. 

Oggi, con la crisi definitiva della forma partito, e soprattutto con quella estraneità fra politica e società in cui ognuno sembra avere un orologio diverso, De Luca trova campo libero. Nel cratere lasciato dall’implosione del Pd, De Magistris gli ha arato il terreno, con nove anni di sindacatura senza regole e senza programma, solo con una micro-negoziazione permanente, categoria per categoria, esercente per esercente, centro sociale per centro sociale. De Luca ci aggiunge l’emergenza covid e mira a trasformare tutta la contrattazione della spesa pubblica a un’assicurazione sulla vita per ognuno dei quattro milioni di campani: voi fate quello che vi serve, io vi garantisco sicurezza e flusso di cassa. Bingo.

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