Un paesaggio svincolato

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Si tratta di quegli insiemi paesaggistici quali la fascia costiera, i laghi (di Guardialfiera e di Occhito), i fiumi che nella loro essenza sono mutevoli. I vincoli in queste situazioni ambientali non producono effetti e la natura, pur in loro presenza, continua a fare il suo corso.

È quasi commovente, nel senso che fa tenerezza, lo sforzo del professor Galasso autore dell’omonima legge, oggi Decreto Urbani, di salvaguardare i capisaldi del paesaggio italiano, tanto essi sono soggetti a mutamenti inevitabili per cause naturali. Infatti se su quelle antropiche si può intervenire, appunto apponendo il vincolo paesaggistico, su quelle dovute al dinamismo che è intrinseco al mondo della natura, no.

Si prenda la linea di costa per la quale scatta l’obbligo di richiedere l’autorizzazione agli uffici preposti alla tutela per effettuare qualsiasi intervento entro 300 metri dalla stessa linea la quale si tenta di cristallizzare realizzando le barriere frangiflutti presenti lungo tutto il litorale molisano. Quest’ultimo rientra nella tipologia della costa bassa, quella sabbiosa la quale è soggetta nel tempo ad avanzamenti ed arretramenti, ben diversa, dunque, dalla costa alta che, invece, è fissa; va fatto osservare a proposito di quest’ultima che neanche la falesia su cui sorge una parte del centro abitato della Termoli moderna ha la propria terminazione, verso il mare, immutabile e lo dimostrano i crolli subiti anche in anni recenti in località Riovivo e la necessità di dover realizzare a protezione delle case di via Cairoli importanti murazioni.

La superficie marina in epoca post-rinascimentale ha occupato una striscia di, in precedenza, terraferma e la testimonianza è rappresentata da tracce di una struttura portuale di fattura aragonese che stanno subissate appena a largo a nord della cittadina adriatica. I porti sono le prime opere a rimanere coperte per l’innalzamento del mare; medesima sorte dovette subire nel periodo tardo antico la città di Buca. Gli antenati dei termolesi attuali dovettero scegliere di installarsi lì dove c’è il borgo medioevale perché un’emergenza rocciosa, non scalfibile dalle onde, la quale oggi appare come un promontorio, ma che in passato poteva assomigliare ad un isolotto a causa degli acquitrini presenti nell’entroterra.

Essere circondata dall’acqua era, peraltro, una garanzia di difesa per questa città. In definitiva, il blocco calcareo sul quale poggia la Termoli vecchia è l’unico punto stabile della fascia costiera e fa sì che il nostro centro sia l’unico insediamento in prossimità della distesa marina, mentre altri tentativi, vedi Buca, se è mai esistita, sono falliti in breve. C’è linea di costa e linea di costa perché c’è anche quella costiera dei laghi per cui vige la medesima misura di protezione dei m. 300 dal suo limite.

I bacini lacustri presenti nel Molise sono di origine artificiale e ciò nonostante vengono considerati componenti primarie del paesaggio, di un paesaggio che è quello odierno, non quello di appena 50 anni fa e per tale aspetto contraddicono l’idea di fondo del prof. Galasso di conservazione dei caratteri originari del sistema paesaggistico della Nazione.

Il perimetro degli invasi varia, sale o scende, in relazione alle esigenze di utilizzo, l’irrigazione, della risorsa idrica in essi contenuta e, dunque, per effetto dell’azione dell’uomo. Questa appena citata è una cosa governabile, imponendo, non è il caso in questione, limitazioni, mentre, riprendendo il ragionamento fatto all’inizio sull’ineluttabilità della trasformazione del paesaggio per cui non c’è provvedimento vincolistico che tenga capace di bloccarla, l’evoluzione del contesto naturale con lo scivolamento a valle delle particelle terrose dai versanti sovrastanti il lago rischia di provocarne l’interramento.

È un processo ecosistemico al quale si è fatto fronte al momento della costruzione della diga del Liscione con il rimboschimento dei pendii mediante alberi di conifere che, però, ora stanno invecchiando. Salendo la quota di fondo si avrà, conseguentemente, a parità di volume d’acqua invasata, un innalzamento delle sponde e, quindi, la variazione dei contorni dello specchio d’acqua. All’interno delle categorie dei beni paesaggistici elencate nella L. Galasso ve n’è una che non rientra nei beni ambientali propriamente detti, bensì tra i beni culturali ed è rappresentata dalle aree archeologiche.

Sarà per via dell’età remota della loro formazione queste sono state incluse dal provvedimento legislativo predetto tra gli elementi costitutivi del paesaggio. Pure i tratturi, i quali sono presenti nel territorio regionale fin dalla preistoria, fanno parte dell’archeologia. La rete tratturale pone una questione particolare essendo essi “segni” permanenti del paesaggio pure se, in quanto suolo erbaceo, hanno notevoli affinità con i fatti ecologici i quali, invece, sono contrassegnati da dinamismo, il che, prima o poi, ne modifica l’immagine (lo abbiamo constatato per il mare e per i laghi).

Solitamente un prato su cui non si pratica il pascolo in un arco temporale significativo si riempie di cespugli e di arbusti, preludio al suo divenire bosco, un po’ come succede per i seminativi abbandonati, visibili in gran numero, ormai, nelle campagne molisane. Sia una superficie prativa sia un campo coltivato sono espressioni della civiltà umana e lo spopolamento dell’agro con la diminuzione che ne segue dei contadini permette loro di ritornare alla condizione naturale, o meglio seminaturale perché ci vorrà tempo affinché le piante pioniere diano vita ad un’unità boschiva vera e propria.

Con i tratturi la progressione degli strati vegetazionali, da quello erboso a quello arbustivo fino a quello arboreo, non avviene, perlomeno in molteplici tratti; sarà per la compattazione del terreno dovuta al passaggio di migliaia di capi di bestiame per migliaia di anni (moltiplicati per 2, l’andata e il ritorno della transumanza), ma la struttura floristica è rimasta invariata, altro che dinamicità della natura. I tratturi per tale caratteristica rientrano tra i tasselli più fermi del paesaggio.

L’usura del cotico erboso dovuta al calpestio delle greggi nei segmenti in pendenza avrebbe dovuto provocare erosione superficiale che non c’è stata forse perché le piste tratturali ufficializzate da Alfonso il Magnanimo per evitare il pascolamento brado che è erosivo sono state selezionate quali le maggiormente solide dal punto di vista idrogeologico, in grado di consentire il transito senza problemi delle pecore.

Francesco Manfredi Selvaggi606 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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