Così vicini, eppure così diversi

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Si mettono a confronto le caratteristiche urbanistiche di 3 centri prossimi tra loro, Salcito, Torella e Pietracupa.

Cominciamo da Salcito che pur nelle sue piccole dimensioni contiene beni storici importanti. Il nucleo storico è posizionato su un’altura come si conviene agli insediamenti di origine medioevale, che, però, è alla medesima quota del punto estremo dell’abitato, cresciuto nel primo Novecento lungo la strada di collegamento con la ex Statale per Trivento. Tale punto è contrassegnato da un’antica croce stazionaria in pietra di pregevole fattura. L’agglomerato urbano, dunque, presenta una forma a V, un tratto, quello novecentesco, in discesa e un tratto, quello del borgo originario, in salita.

Sono due tratti morfologicamente molto diversi fra loro essendo il primo di tipo lineare con le case affiancate al percorso viario, tra l’altro insolitamente largo, quasi un viale per via del filare alberato, mentre il secondo ha un andamento della viabilità in pendenza. Al vertice della V è la piazza e l’ampia cappella (a 2 navate) risalente al XIX secolo di S. Maria delle Grazie sorta come confraternita.

Se da questo lato il borgo sorto nel medioevo appare accessibile, dal lato opposto esso era inespugnabile, e lo è diventato ancora di più in epoca recente a causa della grande frana innescatasi nel 1880 nel vallone che lo costeggia. Al culmine del rilievo vi è la chiesa di S. Basilio che pur essendo la sede della parrocchia è più piccola della chiesa di S. Rocco, in stile tardo rinascimentale che è stata dotata di copertura da poco, la quale è anch’essa sul terrazzo culminale dell’aggregato insediativo il quale ospita pure i ruderi del palazzo marchesale.

Interessanti sono i 2 archi lapidei che consentono l’accesso a quest’area, l’uno a tutto sesto e l’altro di forma ogivale sottostante al campanile; interessante è anche la scalinata che seguendo il perimetro dell’abside della chiesa parrocchiale disegna un arco di cerchio. Passiamo ora a Torella, un classico esempio di insediamento medioevale. È un paese diviso in due in quanto si distende su due colli contigui che si congiungono nell’ampia piazza tangente la strada che da Trivento porta a Frosolone.

Ambedue le parti hanno caratteristiche di insediamento tradizionale con le viuzze strette e in pendenza, ma solo una risale al primo medioevo, è in cima al rilievo che ha il nucleo più antico che vi sono il castello e la chiesa parrocchiale venendo a costituire il polo direzionale, per così dire, del comune per la presenza delle sedi del potere politico e religioso. La chiesa si caratterizza per la presenza del campanile che divide in due la facciata al di sotto del quale vi è l’ingresso all’edificio di culto (in verità l’ingresso abituale è un portale collocato lateralmente), cosa davvero inusuale.

La torre campanaria si conclude con un terrazzo sul quale poggia una struttura metallica che simboleggia quasi la cuspide mancante. La chiesa è dedicata a S. Nicola, ma sull’altare maggiore vi è il corpo di S. Clemente Martire, assai venerato dalla popolazione che ne ha fatto il proprio santo patrono; all’interno di esso vi è una statua della Madonna Incoronata o della Quercia la quale apparve posta sul ramo di un albero a dei pastorelli, un culto molto diffuso nei centri interessati dalla transumanza, a cominciare da Foggia.

La chiesa è affiancata al castello che si fa risalire al periodo angioino per via delle torri cilindriche, anche se, in verità, quelle apparse in Molise durante la dominazione dei D’Angiò hanno un diametro maggiore (es. Riccia e Colletorto). Le torri sono tre, più alte dell’edificio castellano, con la base tronco conica. Mentre le torri sono a scarpa le pareti della magione ex feudale sono dritte rivelando così la sua natura di palazzo signorile piuttosto che di maniero. A evidenziare la mutata funzione di questa struttura che non è più un’opera militare è anche la presenza di due balconate su due dei lati create realizzando in uno dei lati, dov’è la facciata principale, un corpo aggiunto e nell’altro, in via Sottopalazzo, due arcate di sostegno.

La pianta del castello, in questo si differenzia da una costruzione civile, è trapezoidale. Infine, cediamo alcuni caratteri urbani di Pietracupa. Il nome si compone di due parti, un sostantivo, pietra, e un aggettivo, cupa. L’etimologia è incerta perché se è certo il significato di pietra trattandosi di una rupe, lo è meno la qualificazione di cupa. È un termine, piace ricordarlo, che serve ad indicare anche i piatti della prima portata che vengono detti cupi per la loro concavità, in alternativa a fondi che ha il medesimo significato. Dunque, cupa potrebbe stare a sottolineare la presenza di cavità all’interno della roccia, cosa che caratterizza l’enorme masso che costituisce il fulcro, per certi versi, dell’abitato il quale si sviluppa intorno ad esso.

Piuttosto che separare in zone distinte l’agglomerato la morgia (una delle morge dell’omonimo Parco) ne fa da perno perché qui è collocata la chiesa parrocchiale dedicata a S. Antonio Abate alla quale si accede tramite un portico e qui doveva trovarsi il castello perché luogo naturalmente difeso. La torre campanaria che si conclude a terrazzo, quasi una torre di scolta, doveva essere un torrione dell’antica fortificazione. Le grotte disposte alla base della morgia sembra fossero destinate a luoghi di detenzione e di tortura (sono state ricostruite al loro interno alcune macchine di tortura e creato un apposito itinerario di visita), una sorta di sotterranei del soprastante maniero.

La parrocchiale che è in alto è a pianta rettangolare a 3 navate, mentre in basso, una specie di cripta, vi è una chiesetta rupestre di forma circolare, il cui altare è fatto da una macina da mulino nello spirito di una Chiesa dei poveri. Vi è anche un bel crocifisso cinquecentesco e un gruppo scultoreo realizzato in lamina di metallo dall’artista contemporaneo Fernando Izzi. Appena fuori dall’area urbana vi è la cappella di S. Gregorio Papa con la linea terminale del fronte che è curvilinea e due aperture ovali sulla stessa facciata simmetriche rispetto all’ingresso, elementi di gusto manierista.

Francesco Manfredi Selvaggi606 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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