PASSATO, PRESENTE E FUTURO PROSSIMO DELLA SANITA’ MOLISANA

Intervista con Giuseppe Astore

Nel 1995, dopo più di un ventennio di dominio incontrastato della Democrazia Cristiana, il centrosinistra molisano unito e guidato da Marcello Veneziale conquista la maggioranza in Consiglio regionale, accompagnato da grandi aspettative nel senso di una svolta progressista. Da assessore alla sanità, Giuseppe Astore, aveva redatto un Piano sanitario incentrato sull’implementazione della medicina territoriale e sul superamento del modello ospedalocentrico. Il tentativo di riforma però non andò in porto a causa della mozione di sfiducia trasversale presentata per bloccare i piani attuativi e a causa della crisi di governo innescata dal cambio di casacca di Michele Iorio. La crisi sanitaria conseguente all’esplosione della pandemia da covid-19, oltre che ribadire l’importanza di investire nel pubblico, ha messo in luce tutti i limiti dell’attuale organizzazione della medicina, rendendo di nuovo attuali i contenuti del Piano redatto da Astore.
Lo abbiamo incontrato per un’intervista sul passato, sul presente e sul futuro del nostro Servizio Sanitario Regionale allo stremo

di Paolo Di Lella

Andiamo un po’ indietro nel tempo per cercare di capire cosa ha innescato questo circolo vizioso in cui è incappata la sanità molisana per cui prima la cattiva gestione ha prodotto il debito, poi quest’ultimo è stato utilizzato come grimaldello per smantellare le strutture pubbliche. Lei è stato Assessore regionale alla sanità in un periodo cruciale…
Inizio col dire che quando lasciai, nel 2000, c’erano 4 mld (di lire) di attivo, escludendo naturalmente i debiti delle vecchie ASL (prima erano 10 poi passarono a 4) che all’epoca avevano un commissariamento a parte. Da questo punto in poi la situazione inizia a precipitare. Fino all’intervento di Prodi che azzerò i debiti nel 2006 con un grande prestito di oltre 500 mln.
Qualcuno aveva capito che la sanità era un centro di potere da utilizzare; quindi, corruzione e clientele hanno portato a questa situazione. Ma anche il poco coraggio e la totale assenza di programmazione. E non si può fare buona sanità se non si hanno le idee chiare sul modello da portare avanti. L’ultima proposta che portava con sé una visione è stata il Piano sanitario che io presentai nel ’96 e che fu approvato a larga maggioranza. Peccato che quando tentai di applicarlo, venni subito bloccato prima da una mozione di sfiducia trasversale, infine dal ribaltone di Iorio che passò nel centrodestra decretando la fine dell’esecutivo guidato da Veneziale.
Il Piano fu praticamente cancellato, non ufficialmente, semplicemente procedendo per improvvisazioni, senza un progetto. Io potevo pure sbagliare nel dire che Termoli e Larino avrebbero dovuto avere un solo ospedale, così come succede al nord soprattutto nelle zone montuose: in luogo di due ospedali se ne fa uno soltanto, si lavora insieme e senza doppioni.
Quando andai ad accorpare i reparti di radiologia del Vietri e del S. Timoteo ci fu una rivolta. Così come quando andai a nominare Dell’Omo Primario regionale. Quella del primariato dipartimentale fu un’invenzione mia e dell’ex direttore amministrativo di Foggia. Un’equipe formidabile che poteva spostarsi da Campobasso a Isernia, Termoli, etc. La professionalità e l’umanità di Dell’Omo erano qualità riconosciute ben oltre i confini regionali.
A ribaltone avvenuto, invece, abbiamo visto nascere primariati come quello di neurofisiopatologia, una branca che non esiste neanche a Milano, assegnato, guarda caso, ad un congiunto di un “big” della politica molisana.
Veniva così meno l’idea progettuale di legare i nostri spedali a rete e di organizzare i Dipartimenti regionali.

Quali erano i contenuti del suo Piano?
Il Piano lo scrissi con l’aiuto dell’Agenzia sanitaria, peraltro gratuito, come può confermare la dottoressa Bellantano, un genio nel campo della programmazione, che dopo quella esperienza, del Molise non vuole più sentir parlare; mi aiutò molto anche il dott. Sergio Florio; ma anche Nino Stanziale con le sue critiche. Dunque, qual era la rivoluzione del Piano?
Il punto fondamentale è che al centro di tutto non vi è l’ospedale, bensì il territorio, quindi la medicina territoriale. L’ospedale deve essere un punto di assoluta eccellenza, una struttura dove sono concentrate tutte le specialità più complesse, e per questo deve essere più ristretto, proprio perché rappresenta l’ultima chance per il paziente. Così cominciamo a parlare di “presa in carico” del paziente, quello che ancora oggi non si riesce a fare. Oggi un cittadino medio, che non ha una grande cultura istituzionale e sanitaria, specialmente se è entrato nel tunnel della malattia, si sente smarrito, non sa bene dove andare. Allora bisogna fare il progetto alla persona, con percorsi diagnostici definiti, bisogna che il Servizio Sanitario regionale prenda in carico il paziente, dovunque avvenga l’accesso. Oggi siamo al punto che se un paziente necessita di un trasferimento da Termoli a Isernia, dovrà pagare un’ambulanza privata e questo è inaccettabile.
Dunque, di fronte alla mia proposta che metteva al centro il territorio esplose la rivolta, anche tra i medici – che hanno le loro belle responsabilità visto che la gente si affida a loro ad occhi chiusi – che non volevano accettare alcun ridimensionamento a livello di reparti e altro. Per fare degli esempi: il laboratorio analisi di Larino, potenzialmente era in grado di servire l’intera regione, così come accadeva con le sale operatorie che ogni chirurgo avesse la propria… Tenga conto che una sala operatoria costa miliardi. Una TAC non può funzionare due o tre ore al giorno. È tutta questione di organizzazione. Un sistema sanitario più efficiente e sostenibile economicamente è possibile, basta volerlo.
Dicevamo, ci furono scioperi e ribellioni, anche a Larino. Senonché oggi registro con soddisfazione che i Comitati civici mi chiamano per chiedermi come utilizzare il Vietri in funzione della medicina territoriale. Comunque, dopo l’approvazione all’unanimità del mio Piano, proprio quando eravamo sul punto di procedere con i piani attuativi, arriva il ribaltone. Ricordo ancora oggi le parole che pronunciai quel giorno in Aula rassegnando le mie dimissioni: me ne vado per non assistere alla tragedia organizzativa ed economica che si annuncia.
Oggi abbiamo una grande occasione: dal recovery plan arriveranno 7 miliardi per la medicina territoriale. Ora o mai più. Dopodiché bisognerà riorganizzare la rete dell’emergenza; coordinare l’attività di guardie mediche, medici di base e 118; creare le condizioni per la presa in carico del paziente da parte del sistema sanitario. Facciamoci trovare pronti con un progetto che esalti il ruolo del Distretto e della Casa della salute.

Da lì cominciò il regno di Iorio con l’esplosione delle clientele, spese fuori controllo, etc…
Il governo di Di Stasi andò avanti ancora un po’. Non so se per accontentare Ruta, fatto sta che il presidente affidò la sanità a Vincenzo De Marco. Poi, come tutti sappiamo, si insediarono Iorio e Vitagliano e da lì cominciò ad accumularsi il debito che raggiunse le cifre di cui abbiamo sentito parlare, quasi 1 mld di euro.

Poi in quegli anni ci fu pure lo sbarco dell’Università Cattolica… Qual era la ratio di quell’operazione?
Era il ’94 se non erro. L’operazione fu condotta dall’on. D’Aimmo, che allora era anche il mio punto di riferimento politico, con la benedizione di De Mita. Il deputato molisano sfruttò l’ultima legge di finanziamento della Cassa del Mezzogiorno. Devo dire che l’avvento della Cattolica parve a tutti, compreso il sottoscritto, un’occasione eccezionale. L’obiettivo dichiarato era quello di servire un bacino di 5 milioni di utenti, mettendo fine ai viaggi della speranza verso le strutture del nord. Purtroppo, quello che possiamo dire a distanza di molti anni è che si è rivelata di fatto una struttura doppione rispetto all’ospedale pubblico che già avevamo nel capoluogo.
La mia opinione – è bene chiarirla visto che si è diffusa l’idea che io sia un difensore agnostico della Cattolica – è che deve assolutamente rimanere a patto però che costituisca una vera eccellenza, che persegua cioè quella vocazione dichiarata alla nascita. Lo stesso discorso vale anche per l’IRCCS Neuromed, l’altra grande struttura privata che abbiamo in regione (per cui sappiamo che è obbligatoria la contrattazione): se vogliono lavorare in regime di “convenzione” con il pubblico devono rappresentare l’eccellenza e rispettare le regole, cioè fare solo ricoveri appropriati. E qui comunque entrano in gioco anche i controlli, che sono indispensabili. Un altro elemento decisivo per mantenere in equilibrio il rapporto pubblico-privato è la contrattualizzazione del budget tra la Regione e le strutture private. Bisogna che le strutture accreditate facciano rigorosamente quello che serve piuttosto che fatturare prestazioni non concordate. Devono essere legate a rete con le strutture pubbliche, questo è il punto.

Infatti è proprio l’extra-budget l’elemento che ha fatto saltare tutti gli equilibri, non è vero?
Senz’altro, anche se c’è da distinguere tra quello utilizzato per le emergenze, che è ammissibile, giustificato, a volte necessario, e quello utilizzato per attività ordinarie o non necessarie. Anche qui il problema è sempre quello del controllo. Il privato accreditato può funzionare bene solo se sottoposto a controlli rigorosi. Nella nostra regione tutto ciò è mancato, se è vero come è vero che sono stati effettuati spesso e volentieri rimborsi a pie’ di lista, senza le necessarie verifiche. Nel Molise abbiamo raggiunto quasi il 50% di ricoveri inappropriati.

In questo senso, entriamo un po’ nel merito del “caso Neuromed” di cui la stragrande maggioranza dei posti letto è riservata ai pazienti provenienti da fuori regione. In questo caso abbiamo il problema relativo ai rimborsi che le Regioni di provenienza dei pazienti dovrebbero corrispondere all’Asrem e che però sono oggetto di controversie in quanto anche in questo caso viene contestata l’appropriatezza dei ricoveri
Come ho detto prima, il requisito fondamentale richiesto ad una struttura come quella di Pozzilli è l’eccellenza delle prestazioni erogate. Dopodiché bisogna legiferare a livello regionale: vanno banditi i concorsi per assumere il personale e fatti i necessari controlli sul rispetto dei contratti stabiliti. Il tutto regolamentato con una legge regionale.
C’è da dire, comunque, che il numero di posti letto accordati a Neuromed mi pare eccessivo se pensiamo che il Besta di Milano, l’ospedale specializzato in neurochirurgia, ha meno di cento posti.
Entrando nello specifico della sua domanda, quello che mi sento di dire è che, fatta salva la libertà di scelta del paziente rispetto alla struttura da cui ricevere le cure, vanno combattute le scie clientelari per cui si assume il primario di Roma che porta con sé una decina di suoi pazienti. Questa è la logica da combattere, mentre la scelta deve avvenire sulla base della qualità dell’offerta medica e dei servizi che vi gravitano intorno, perché no, compresi i servizi alberghieri e di ristoro.
Detto questo, uno dei criteri per valutare l’eccellenza di una struttura è la capacità di attrarre pazienti da fuori regione. In questo caso sento di dovermi contrapporre alla vulgata secondo cui il flusso di pazienti dalle altre regioni costituirebbe un fattore negativo. Ma scherziamo? Io personalmente ho sempre lottato affinché una regione come la nostra, in cui l’emigrazione è sempre in aumento, puntasse sull’attrattività. L’argomento principale dei detrattori della mobilità attiva è che la Regione anticiperebbe i rimborsi dovuti alle strutture dalle Regioni di provenienza per poi ottenerne la restituzione soltanto parzialmente e con molto ritardo. Ebbene non è esattamente così. A fine anno si fa la cosiddetta compensazione; al massimo anticipi per un mese o due. Poi è chiaro che – torniamo sempre a quel punto – se tu non eserciti il controllo sull’appropriatezza delle prestazioni fornite – poi non puoi meravigliarti se la regione da cui proviene il paziente cerchi di tutelarsi.
Dobbiamo considerare coloro che vengono da fuori una ricchezza, non una spesa. Vorrei ricordare che noi ogni anno importiamo circa 80 milioni di euro. Davvero vogliamo e possiamo rinunciarvi?
O preferiamo continuare a ingrassare la Lombardia? Anzi, io credo che anche gli ospedali pubblici debbano porsi l’obbiettivo di realizzare la mobilità attiva. Il sistema sanitario regionale potrebbe diventare una risorsa anziché un peso per le finanze regionali.

Poi però c’è anche un’altra questione da porre. Il proprietario di Neuromed è l’eurodeputato Aldo Patriciello che in Molise politicamente qualcosa conta, diciamo così. Lei non ravvede un conflitto di interessi tra la sua attività imprenditoriale in campo sanitario e il suo ruolo politico, considerando soprattutto il fatto che in Molise la spesa sanitaria vale l’80% di quella complessiva?
Su questo siamo tutti responsabili dal momento che gli abbiamo permesso di spostarsi da un campo all’altro condizionando di fatto le politiche in materia sanitaria e non solo di tutti gli esecutivi che si sono succeduti negli ultimi 15 anni.
In Molise, pur di far fuori Astore, il centrosinistra ha pescato Frattura direttamente dalle liste di Forza Italia e lo ha messo a capo della coalizione… è chiaro che queste contraddizioni rappresentano delle fessure in cui qualche personaggio politicamente spregiudicato può infilarsi.

Se il governo Frattura deve fare il Piano sanitario e il suo principale alleato in Consiglio è il gruppo che fa riferimento al proprietario di una delle maggiori strutture sanitarie accreditate, cosa può uscirne?
Che danno 130 posti a Neuromed (ride). Vada a vedere quante riabilitazioni ha ottenuto e di che tipo…

Eh appunto, questo è un problema politico serio però…
Indubbiamente, però questo dipende dalla forza politica che hai. Ci sta che Patriciello cerchi di tessere relazioni positive con tutti, ma nessuno ti obbliga ad allearti con lui.

Dopo Frattura è arrivato Toma che forse è espressione ancora più diretta di Patriciello…
Frattura una parvenza di programmazione in ambito sanitario l’aveva pure data tutto sommato, solo che ha fatto l’errore di non opporsi al Balduzzi, cioè all’idea di assumere le dimensioni di una regione come unico criterio per stabilire il livello di assistenza da erogare. Allora dove stanno la libertà e l’autonomia delle Regioni? Siamo d’accordo che la Regione debba cercare di razionalizzare la spesa ma deve anche avere una propria agibilità politica, la possibilità di seguire la propria ricetta. Io non sono mai stato d’accordo con l’idea che il piccolo non possa avere una propria amministrazione. Guarda gli USA: ci sono Stati che fanno 500 mila abitanti come il Wyoming e Stati come la California che ne fanno 38 milioni. Allora bisogna concludere che ciò che manca è la perequazione. Ci vuole un’autonomia basata su un’attenta e ragionata perequazione, fatto sempre salvo il principio che si riservi allo Stato la difesa del diritto universale alla salute.

Per la prima volta, come Commissario per la sanità il Governo ha nominato un esterno piuttosto che affidare il ruolo al Presidente eletto della Regione. È sfiducia nei confronti di Toma o cosa? Tra l’altro lo stesso Toma sembra non volersi rassegnare al fatto di non poter avocare a sé quelle prerogative
L’ho conosciuto soltanto di recente. Devo dire che è una vergogna che un uomo di Stato arrivato qui per svolgere il proprio dovere, nel nostro interesse, venga relegato in una stanza senza collaboratori, perfino senza un usciere che possa fare da filtro all’entrata del suo ufficio, ma soprattutto ostacolato nella sua azione, fin dal primo giorno, dal presidente della Giunta e dai vertici Asrem. Invece di essere sostenuto nella redazione del nuovo Piano sanitario, si cerca di umiliarlo in ogni modo.

Il caso di Larino mi pare significativo. Giustini aveva scelto l’ex ospedale “Vietri” come Centro Covid regionale, una soluzione che avrebbe permesso di evitare la commistione tra pazienti Covid e malati cronici
Non per niente quel volpone di Iorio si era affrettato a benedire questa soluzione. Sinceramente anche a me pareva una buona idea, anche se la mia proposta era quella di fare un centro a fisarmonica – cioè con la possibilità di aumentare e ridurre velocemente i posti letto – sotto all’ospedale di Termoli, se non altro per dotare il centro dei servizi necessari come la cardiologia. In questo modo avremmo potuto anche ospitare pazienti provenienti dall’Abruzzo e dalla Puglia, per lo meno da quelle zone lontane dagli ospedali.

Si è fatto un’idea di cosa sia successo a Roma, del perché il Ministero non abbia avallato il progetto di Centro Covid presentato dal Commissario?
Beh, è evidente che qualcuno ha manovrato… Mi riferisco naturalmente al presidente della Regione. Si evince anche da qualche sua dichiarazione.

Sì, ma perché il Ministero non difende il Commissario nominato dal Governo?
Questa domanda dovrebbe girarla a chi dalle nostre parti poteva fare qualcosa e non lo ha fatto; sto pensando ai Consiglieri regionali ma, soprattutto, alla delegazione parlamentare. Avrebbero potuto intervenire in Aula con un’interrogazione e mettere il Ministro spalle al muro.
E poi, quando mai si è visto che un sub commissario si mette contro il Commissario?

Tra l’altro il viceministro Sileri è del M5S; i Consiglieri e i Deputati del Movimento eletti in Molise ci hanno parlato? Il Consigliere Andrea Greco è entrato nel Vietri e ha girato un video di denuncia, mentre il senatore Ortis si è incatenato sotto al Ministero… Dunque, c’è un problema di comunicazione tra i rappresentanti locali e i vertici del Movimento o cosa?
Non saprei, io voglio sperare che si siano parlati e che il Ministero sia al corrente di tutto. Tra l’altro sono venuti qui anche gli ispettori ministeriali. Mi auguro abbiano fatto un rapporto sulla mancanza di percorsi separati, sui reparti di medicina e di chirurgia infettati, sui lavori programmati a maggio e non ancora iniziati, etc.

E invece si è fatto un’idea del perché il governo regionale si sia opposto al Centro Covid di Larino?
Io penso che abbia prevalso la considerazione che un Centro Covid separato avrebbe posto l’ospedale del capoluogo in una posizione di svantaggio; invece sarebbe accaduto l’esatto contrario.
Il Cardarelli di Campobasso, libero dal Covid, sarebbe stato il punto di riferimento per tutte le patologie complesse, invece oggi la gente ha paura e preferisce rinunciare alle cure.

Che a lei risulti, ci saranno state anche pressioni da parte dei medici del Cardarelli riluttanti a viaggiare da Campobasso a Larino?
Non lo so con certezza, ma posso dire che è alquanto plausibile. Quando fai il riordino di un sistema sanitario, in generale, è inevitabile potenziare una parte e ridurre un’altra, il che significa comunque determinare degli spostamenti di personale… Ecco perché alcuni medici tendono ad essere un po’ conservatori rispetto ai tentativi di riorganizzazione.

Così si spiega anche la posizione del Comitato pro Cardarelli che è entrato subito in rotta di collisione con gli altri comitati?
Sissignore, proprio così.

Per concludere, se c’è una cosa che questa pandemia ci ha insegnato è che il modello ospedalocentrico è superato e che invece bisogna potenziare la medicina territoriale. È la rivincita sua e di quelli che come lei che hanno sempre sostenuto questa visione? Forse potrebbe tornare in auge il suo piano, che ne dice?
Sicuramente andrebbe attualizzato. Comunque il punto importante, oggi più attuale che mai, è che per ogni paziente va fatto un progetto ad hoc che passi attraverso l’ospedale o meno. Oggi noi siamo bravissimi a erogare determinate specialità, meno bravi nell’affrontare l’emergenza vera costituita dai malati cronici. Bisogna avvicinarsi a loro potenziando l’attività dei medici di famiglia, puntando sulle attività di prevenzione e creando strutture di cura a bassa intensità, dove possano fare le terapie senza allontanarsi troppo da casa. L’ospedale deve essere l’ultima opzione. Anche il Molise, come tutte le regioni, ha diritto ai Livelli Essenziali di Assistenza che devono essere erogati in egual misura su tutto il territorio nazionale. Lottiamo sì per l’autonomia regionale, ma lasciamo allo Stato il compito di vigilare sull’eguaglianza dei cittadini. Mi sembra che sia questo, in definitiva, l’insegnamento che possiamo trarre dalla pandemia.

Grazie davvero, per la disponibilità e per la chiarezza
Grazie a voi e buon lavoro.

Paolo Di Lella100 Posts

Nato a Campobasso nel 1982. Ha studiato filosofia presso l'Università Cattolica di Milano. Appena tornato in Molise ha fondato, insieme ad altri collaboratori, il blog “Tratturi – Molise in movimento” con l'obiettivo di elaborare un’analisi complessiva dei vari problemi del Molise e di diffondere una maggiore consapevolezza delle loro connessioni. Dal 2015 è componente del Comitato scientifico di Glocale – Rivista molisana di storia e scienze sociali (rivista scientifica di 1a fascia), oltre che della segreteria di redazione. Dal 2013 è caporedattore de Il Bene Comune e coordinatore della redazione di IBC – Edizioni. È autore del volume “Sanità molisana. Caccia al tesoro pubblico”. È giornalista pubblicista dal 2014

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