UTOPIE E DISTOPIE MOLISANE

Editoriale del numero di aprile-maggio-giugno
di Antonio Ruggieri

L’utopia non è quello che non c’è; è quello che non c’è ANCORA.

Ci sembrava potesse essere questo il compendio essenziale ma auspicioso del progetto politico/culturale al quale lavoriamo da sempre, ma dall’ottobre 2001 sotto l’intitolazione de “il Bene Comune”.

Eravamo e siamo convinti che la nostra piccola regione, al centro di processi planetari (la pandemia è solo il più eclatante e ineludibile) che ne hanno squassato e ne squassano l’assetto sonnacchioso e ritardatario figlio del sottosviluppo assistito che ha indirizzato e governato la nostra modernizzazione di media incidenza, abbia necessità urgente di una classe dirigente capace di elaborare e mettere a punto un progetto, una visione per il suo futuro.

Potremmo diventare una piccola comunità competente in grado di valutare con rigore e senza enfasi la sua condizione, mettendo a frutto le opportunità territoriali e antropologiche di cui disponiamo.
Una città/regione della quale i 136 comuni che la compongono potrebbero diventare quartieri differenti, ognuno con una sua particolare vocazione.

Tutto il Molise è un’area interna che per essere valorizzata ha bisogno di una pianificazione colta, aggiornata e innovativa, libera da quella liberista adesso al capolinea, che ha polarizzato i servizi, le attività produttive e le residenze.

Dobbiamo ripensare il nostro sistema infrastrutturale, quello turistico e della formazione, dando vita a esperienza innovative, casomai adottate in altri territori con caratteristiche simili al nostro.

Dobbiamo dare impulso a nuove attività produttive puntando con maggiore decisione sull’economia sociale, promuovendo e premiando le imprese che operano con questo spirito e mettendo fuori gioco quelle speculative che dissipano risorse ambientali e finanziarie.

Potremmo diventare la capitale d’Italia del turismo a piedi, svolgendo un’operazione di marketing territoriale che rilancerebbe sul piano dei contenuti e della proposta il clamore mediatico di cui abbiamo goduto l’anno passato, col coronavirus che imperversava.

Abitiamo in un territorio fra i meno antropizzati d’Europa, ospitiamo una manifestazione come “cammina, Molise!” che nei suoi ventisette anni di attività ha portato migliaia di visitatori nella nostra regione e deteniamo il brano di tratturo meglio conservato rispetto all’Abruzzo e alla Puglia, che potrebbe diventare un’infrastruttura sostenibile e suggestiva per l’offerta postmoderna del nostro turismo lento e consapevole.

E’ qui che l’utopia si mostra in affanno, azzannata da una distopia sordida e cieca che in una indefettibile sindrome autolesionistica ci impantana nelle opzioni peggiori che adottiamo.

Il Parco nazionale del Matese è ancora al palo, prigioniero di ritardi e procedure che ne inibiscono la funzione rigenerativa che potrebbe svolgere per il Molise centrale martoriato.

Si affacciano progetti mostruosi e faraonici nello stesso tempo, in totale e palese contrapposizione con gli orientamenti del sistema turistico regionale fissati anche dal Piano Strategico Territoriale costato oltre un milione di euro.

Anche solo prendere in considerazione l’ipotesi di realizzare “South Beach” sul litorale di Montenero, con i 5 milioni di metri cubi di cemento che minaccia, tradisce che viaggiamo a vista, che tiriamo avanti alla giornata, senza un’idea chiara di come vogliamo governare il nostro territorio e quali opportunità dare a quelli (sempre meno) che lo abitano.

Sta qui il cuore di vetro della nostra distopia: l’assenza conclamata di visione da parte della classe dirigente – della politica innanzitutto – orientata ad occuparsi (in maniera oltretutto non sempre irreprensibile) del particolare e dell’ordinario.

La nostra crisi di defuturizzazione non potrà essere scongiurata aggregando quello che resta del Molise all’Abruzzo, come propone di fare da ultimo anche l’onorevole Patriciello.

La responsabilità di definire il progetto per il futuro della nostra comunità è un compito ineludibile della nostra classe dirigente e in qualche modo è la funzione più nobile e feconda della politica.

Questa responsabilità non sarà scongiurata e neanche lenita da revisioni istituzionali che promettono di aggregarci all’Abruzzo, a Benevento (il Molisannio) o a Foggia (la Moldaunia).

Possiamo diventare una “comunità competente” capace di mettere a frutto le sue vocazioni meglio conclamate oppure sparire, risucchiati nel gorgo di processi planetari dei quali comunque siamo parte.

Quello che diventeremo dipende da noi.

Che lo sappiamo oppure no.

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