Iraq. Yazidi, solo 4 condanne a 7 anni dal genocidio

di Sara Lucaroni

Nell’agosto del 2014 il dramma nella zona di Sinjar per mano del Daesh. Sono ancora 2.871 le persone scomparse, la comunità chiede giustizia

Il 3 agosto è stato l’anniversario dell’attacco genocida dello Stato Islamico contro la popolazione curdo-yazida, 2014, FONTI DI PACE, con altre associazioni, ha preso parte al progetto di costruzione di un ospedale a Sinjar (in arabo) Shengal (in curdo,) inviando un contributo di 10.000 euro.

Ricordiamo che più di 5000 persone indifese (donne, bambini ) sono state assassinate dallo Stato islamico, e che analogo numero di persone è stato sequestrato, torturato o venduto come schiavo. Omicidi, stupri, decapitazioni, deportazioni di donne e bambini, islamizzazione forzata, schiavitù, un’enorme massa di persone costretta a fuggire dalla propria terra: queste le esperienze vissute dal popolo yazida, e questi numeri sarebbero stati assai maggiori se non fossero intervenuti in aiuto a quel popolo il PKK curdo di Turchia e l’YPG – YPJ curdo di Siria. Queste organizzazioni eroicamente,  perdendo molti loro combattenti, hanno creato un corridoio umanitario grazie al quale sono defluite centinaia di migliaia di civili yazidi.

Un passo importante è oggi il riconoscimento del genocidio del popolo yazida, operato dai Parlamenti di Belgio e Olanda. Nel rimanente dell’Occidente, al contrario, quei combattenti sono stati considerati un fastidio politico e sono stati abbandonati. Sicché l’esistenza e l’attività criminale dello Stato islamico non sono mai cessate, anzi esso si sta espandendo in Africa. Non solo: quei combattenti sono stati obbligati a farsi carico di oltre 60.000 elementi dello Stato islamico prigionieri (tra cui europei), nell’attesa infinita dell’istituzione di un tribunale internazionale che li giudichi.
Qui di seguito potete leggere una interessante nonché isolata voce oggi pubblicata dal quotidiano l’Avvenire.

L’ultima, la quarta condanna di questo tipo, è dello scorso 22 luglio, ad Amburgo: Omaima A., affiliata al Daesh e rimpatriata, ha avuto quattro anni per favoreggiamento di crimini contro l’umanità nei confronti di due donne yazide. Era già stata condannata con il marito nell’ottobre 2020, mentre sul banco degli imputati era già finita l’amica Sarah O., anche lei moglie di un membro del Califfato, che quelle due donne le aveva «acquistate» a Raqqa, in Siria. È di aprile sempre dello scorso anno invece la storia di una bambina di 5 anni lasciata morire di sete, incatenata ad una finestra sotto il sole da Jennifer W. e suo marito Taha A.J. a Falluja, in Iraq, comprata al mercato delle schiave con sua madre.

Entrambi sono ancora sotto processo. È la Germania il Paese che per primo ha risposto alla richiesta di giustizia che la minoranza yazida grida dal 3 agosto 2014, giorno dell’attacco dei miliziani islamisti sul Sinjar, del massacro di 5.000 uomini perché «miscredenti» e del rapimento di 6.700 donne e bambini.
Nel settimo anniversario di quello che le Nazioni Unite indica ufficialmente come «genocidio», conta solo inchiodare alle proprie responsabilità gli autori di omicidi, rapimenti, stupri, torture e riduzione in schiavitù. Sono ancora 2.871 le persone scomparse. Ma la morte, nonostante le fosse comuni ancora da scavare, non è mai il primo pensiero.

In queste ore un’altra ragazza è stata ritrovata: tornano alla spicciolata dal campo di al-Hol in Siria, mescolate alle «mogli del Califfato», o dalle abitazioni di chi le schiave le rivende ai loro familiari per migliaia di dollari. La ricostruzione poggia sugli sforzi di Ong che recuperano scuole, cliniche e servizi per le famiglie che ritornano e sopperiscono ai bisogni del 75% di quei 355mila sfollati che ancora non sono in grado di lasciare le tende.

Da quasi tre settimane la «Martyr’s Foundation » ha aperto un ufficio a Sinjar per risarcire i familiari delle vittime del Daesh: 200 casi già accettati, stipendio mensile di 800 dollari, ma chi arriva spesso non ha più i documenti personali per aprire il fascicolo. Il team investigativo Onu a maggio ha individuato i nomi di 469 membri del Califfato che a Sinjar hanno commesso crimini. Quattro condanne sono ancora poche.

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