Montaquila, un borgo e il suo doppio (Roccaravindola)

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Oppure due paesi in uno, ma ora sono forse prevalenti le propaggini cresciute a valle di entrambi gli antichi insediamenti. L’elemento attrattore è stata la strada di fondovalle che porta alla stazione turistica di Roccaraso (ph. Veduta di Roccaravindola Alta)

Montaquila è, dal punto di vista geografico, un luogo particolare. Incominciamo con il dire che nella piana di Roccaravindola c’è il punto in cui la distanza tra i due mari oltre che essere identica è la minore lungo tutto l’asse della Penisola; i 121 chilometri che separano Vasto da Formia sono la misura della larghezza dell’Italia peninsulare più corta. L’Adriatico e il Tirreno sono non solo alla medesima lontananza, ma anche sufficientemente prossimi, circa 60 chilometri, e ciò ha, di certo, conseguenze sulle condizioni ambientali di quest’area.

In verità, gli influssi maggiori sono quelli dovuti al Tirreno perché non vi sono rilievi montuosi interposti, salvo il Roccamonfina, tra la nostra zona e tale mare. Vi è una continuità tra la pianura di Roccaravindola e quella di Venafro e tra quest’ultima, nonostante l’ostacolo, che è comunque di limitata entità, costituito dal vulcano estinto di Roccamonfina, e la fascia costiera domiziana. Una spia del rapporto privilegiato con il versante tirrenico è costituita dalla preferenza degli abitanti del comprensorio per i lidi della Baia Domizia.

Ciò dipende pure, ovviamente, dalla viabilità: oggi che le strade sono preferibilmente di fondovalle (in verità pur in epoca romana come dimostra proprio la Venafrana che è sul sedime della via Latina) e dato che il Volturno sversa nel Tirreno le vie di comunicazione tendono in questa direzione. A proposito di tale fiume è interessante notare, non è un semplice inciso, che esso è l’unico corso d’acqua tirrenico del Molise, governato dal Piano di Bacino del Volturno il quale coinvolge anche la Campania, mentre tutti gli altri hanno un andamento opposto e ciò pure perché ortogonale alla linea di costa tanto tirrenica che adriatica, a differenza del Volturno che nel tratto molisano è, invece, parallelo a questa.

La nostra regione è sempre stata considerata congiunta con l’Abruzzo, oltre che in termini amministrativi (Regione Abruzzo e Molise), pure in quelli geografici, ma ciò è smentito dalla situazione in esame che è un ambito regionale costituente prolungamento, attraverso la piana di Venafro, delle piane campane. Quanto appena detto è valido per la porzione pianeggiante del comune di Montaquila le cui quote superiori sono contigue al Parco Nazionale d’Abruzzo; Colle Alto è, infatti, al confine con Filignano che è invece compreso al suo interno.

Se analizziamo le cose dal punto di vista storico vediamo che Montaquila apparteneva, come l’intero venafrano, alla Terra di Lavoro e non al Contado di Molise fino all’istituzione nel 1806 della Provincia di Campobasso; in precedenza era inclusa nella Terra S. Vincentii la quale, a sua volta, verrà inglobata nella Terra di Lavoro. In definitiva, pure per questo riguardo Montaquila era inserita nell’attuale Campania. Rimane l’aspetto dell’economia per cui, soprattutto la piana di Venafro, vi sono somiglianze con la florida agricoltura della provincia di Caserta la quale coincide con la Terra di Lavoro.

Nonostante la separazione fisica dal resto della superficie regionale, per via dell’ostacolo rappresentato dal Volturno, e la storia, in diverse epoche, distinta Montaquila, intesa quale rifermento di una più ampia area, ha delle indubbie affinità con la restante porzione della regione. Le Mainarde formano una barriera pressoché invalicabile, e ciò le rende un confine naturale; il Volturno, poi, da elemento di divisione è nello stesso tempo, può sembrare contraddittorio, alla stregua di ogni vallata fluviale un fattore di convergenza tra le comunità delle contrapposte sponde poiché interessate allo sfruttamento della medesima risorsa idrica la quale è un bene primario.

Quanto appena detto giustifica l’inclusione di questa terra nel Molise. Ai due lati del fiume, in corrispondenza di Montaquila e della dirimpettaia Monteroduni, la formazione geologica dei monti che ne delimitano la valle non cambia; addirittura, mentre vi è l’omogeneità del substrato tra le entità montane che il corso d’acqua ripartisce, essa non sussiste dentro il massiccio del Matese di cui il pezzo confinante con il Volturno può essere considerato un prolungamento del complesso delle montagne che sovrastano Venafro, Pozzilli e, quindi, Montaquila con nessuna affinità geologica con la rimanente parte del blocco montuoso.

Dalle considerazioni esposte si può riconoscere che tale ultimo centro è in una posizione particolare. Si stava per dire ambigua, perché ambiguità è la parola che viene in mente pensando a questo comune, per la presenza di due nuclei urbani entrambi di origine medioevale, Montaquila e Roccaravindola. L’uno, però, cioè Montaquila è di datazione più tarda, frutto dell’incastellamento di età normanna, l’altro, Roccaravindola Alta così denominata per distinguerla da Roccaravindola Bassa in quanto sta in basso, deriva dall’opera di colonizzazione dell’Abbazia di S. Vincenzo al Volturno; è lecito presupporre che Roccaravindola sia stata fondata dai monaci in virtù del camminamento di ronda, carattere ricorrente nei paesi, vedi Scapoli e Fornelli, soggetti alla dominazione di questo importante centro monastico.

Il monastero alle sorgenti del Volturno si affermò dopo la caduta dell’impero romano quando in Italia si registrava un forte declino demografico con un autentico svuotamento delle lande distanti dai pochi poli del potere sopravvissuti. L’Abbazia sostituì, alla stessa maniera delle cattedrali vescovili nelle città, i riferimenti ormai scomparsi per la popolazione nell’autorità civile, sostituita adesso da quella religiosa; vi fu un notevole impegno per il ripopolamento con la creazione di nuovi insediamenti.

Nelle vicende evolutive di questa realtà comunale l’ultima fase è quella dello spostamento a valle di abitazioni e attività che vanno ad aumentare quanto già esistente nell’agro rurale. Alle contrade di Masseria La Corte, di S. Lucia e della citata in precedenza Roccaravindola Bassa si aggiungono frequenti episodi edilizi favoriti dalla mancanza di una definita regolamentazione urbanistica attratti dal passaggio in questa fascia pianeggiante di importanti infrastrutture di comunicazione, dalla strada “ferrata” con il bel ponte ferroviario novecentesco in cemento armato alla strada “carrabile” di fondovalle che segue la direttrice della antica «via degli Abruzzi», primario collegamento tra la capitale Napoli con le sue province abruzzesi.

 

Francesco Manfredi Selvaggi585 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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